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Prima le persone. Noterella sul migrante/rifugiato

1 – Una conversazione tra generazioni

Chiosando il recente evento: Vent’anni di Q. Sul rapporto tra ricerca storica e narrativa, tenuto all’Archiginnasio di Bologna, potremmo assimilare “Prima le persone” ad un testo che, nell’intersecarsi tra ricerca storico-costituzionale e politica militante, narra dei nuovi conflitti culturali, emergenti con propri tratti, postdemocratici, lungo il distendersi dell’ autobiografia nazionale del paese.
La narrazione ha alla sua base la cronaca dell’ assunzione del decreto sicurezza, (voluto dal ministro Salvini), da emblematizzare come punto di rottura della “civil conversazione” sancita nella Costituzione italiana. Che il populismo stia diventando un sussiegoso pericolo eversivo lo mostra peraltro a tutto campo, secondo i narratori, la menomazione della dignità sociale su cui si impernia il decreto.

Per questo aspetto Giovanni Maria Flick, Enrico Rossi, lo stesso “giovane” curatore Pasquale Terracciano, possono considerarsi al pari del collettivo bolognese Luther Blisset, più sopra richiamato, come gli pseudonimi di una dissidenza vasta e indiretta di cittadini, anche distanti da una immediata partecipazione politica, accomunati comunque dal rifiuto dei meccanismi di propaganda e di imbarbarimento della sfera dell’opinione pubblica. Nel richiamo alle tradizioni della civiltà europea, l’ intitolazione, “Prima le persone”, va considerata alla maniera di un appello per la difesa di un regime di convivenza democratica, quasi una modalità di intestare la collaborazione a sinistra – non ancora organizzata in rapporti di forza – da parte di più di una generazione di militanti e di studiosi, anomali nella loro stessa identità di sinistra .

2 – Per un nuovo umanesimo

A tale proposito, mettendo l’accento su un rinnovato “impegno nella questione sociale” l’intero collettivo, autori, curatore, etc, sembrano venire da lontano – dall’esaurirsi delle grandi identità collettive dei “partiti operai” – e condividere le premesse di un “nuovo umanesimo”, di una “terza modernità” – già variamente indagate, peraltro da Paolo Prodi. Riconoscono l’insufficienza di una efficace azione di integrazione da parte dei governi di centrosinistra e narrano con i loro noms de plume quanto oggi la partecipazione politica si stia sfaldando a favore di un ordine plebiscitario che fuoriesce – per dirla ancora con Prodi – dal “dualismo costituzionale tra politico e sacro”.
Su questa base, il brand postdemocratico della “diversità” del migrante/rifugiato, è riportato significativamente non più al soggetto in sé e per sé, oppresso ma redentore e all’origine di una futura umanità, come secondo le più nobili aspettative novecentesche di massa, ma ad un personaggio anch’esso del tutto contemporaneo, proprio del “rapporto sacrificale” vittima–carnefice, tratteggiato nel modello “moderno” dell’ Olocausto .

Lo scritto di Flick espone, in questo quadro, il problema del migrante lungo un orizzonte teorico e storico, direi, di un effettivo patriottismo costituzionale, all’altezza della svolta globalizzante. Quello di Rossi si inscrive in un orizzonte simile, svolto tuttavia mediante gli atti di una netta, decisa, concreta politica di opposizione e di alternativa, legata ai bisogni delle masse. Nella cura di Terracciano sembra far capolino la memoria e l’intersezione di un orizzonte profondo di sinistra plurale, con le sue presenti aspettative—che affondano le loro radici nelle pratiche civili e istituzionali della storia (non solo) della Regione Toscana.

Nella foto: La copertina del libro di Giovanni Maria Flick e Enrico Rossi “Prima le persone, Castelvecchi Editore

3 – Le aspettative di oggi e il presente del 1938

L’opinione pubblica, si legge nel testo, è spesso condotta a immaginare una differenza molto netta tra i rifugiati e gli altri migranti”.
In effetti nel brand del migrante/rifugiato, nella sua “moderna” condizione, si percepisce variamente un’esperienza, un’emozione, un insieme di relazioni drammatiche e perturbanti, efferate e distruttive dei diritti civili, che rimandano in Italia al presente del 1938. Allora si diede luogo alla Dichiarazione sulla razza; mentre oggi si assiste, invece, alla dichiarazione di reato penale – senza l’accertamento della magistratura – per il soccorso del migrante.

Per finire, è doveroso rilevare di questo lavoro collettivo, che la stessa iniziativa della pubblicazione, non si offre nella sua interezza come aspettativa di una avanguardia, di una élite, sulla scorta delle pratiche di disobbedienza civile, bensì come esercizio senza affettazione di garanzie costituzionali. Si fa riferimento come per “grazia dal contrasto” (Zibaldone) all’articolo 134 della Carta e, in materia, ad una proposta di legge della regione Toscana sui “diritti samaritani” legati alla sopravvivenza, alla dignità e all’integrazione democratica del migrante/rifugiato.

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