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Può esserci un populismo di sinistra?

Traduzione dell’articolo di Jacob Hamburger pubblicato su Jacobin Magazine con il titolo “Can There Be a Left Populism?” (29 marzo 2018), che ricostruisce (parte) del dibattito europeo sul populismo di sinistra.

[…] Nonostante la parola sia associata con i peggiori elementi della destra, alcuni a sinistra hanno abbracciato a loro volta il populismo come la corrente del futuro – nessuno più accuratamente e più coerentemente della filosofa belga Chantal Mouffe. Sin dai primi anni della premiership di Margaret Thatcher, lei e il suo defunto marito, Ernesto Laclau, hanno sostenuto che il centro-sinistra contemporaneo si è perso. Mentre la svolta neoliberista iniziava a prendere piede – erodendo le protezioni sociali, creando una forza lavoro pauperizzata e precaria, e arricchendo piccole oligarchie – Mouffe criticava i social-liberali della Terza Via come Tony Blair e Bill Clinton per avere adottato una politica di “consenso” che non è riuscita a dare voce al discontento delle persone. Mentre la distruzione sociale portata avanti dal neoliberismo si intensificava negli anni, i partiti “de-politicizzati” di centro-sinistra – sostiene Mouffe – non hanno saputo fornire un’alternativa efficace.

Il risultato – sempre secondo Mouffe – è che siamo attualmente nel bel mezzo di una crisi, nella quale le istituzioni politiche non sembrano più adatte a dare voce alle richieste popolari – una crisi che ha come unica soluzione il “populismo”.

La nozione di populismo di Mouffe deriva dalla sua interpretazione della democrazia come un regno del conflitto, in cui gruppi avversari lottano l’uno contro l’altro per un controllo egemonico del terreno politico. La politica democratica non riguarda il consenso, ma stabilire un “noi” contro un “loro”. Mouffe sostiene che la destra lo ha compreso da tempo, quindi la sinistra deve mettersi in pari se vuole avere un futuro. Ma per Mouffe e i movimenti europei che l’hanno presa a riferimento – inclusa Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e la France Insoumise in Francia – il populismo di sinistra è più di una necessità per sopravvivere: se la sinistra avrà successo nel creare movimenti che parlano al “il popolo”, contro l’oligarchia dell’1%, Mouffe è convinta che non solo potrà sconfiggere il populismo razzista e xenofobo dell’estrema destra, ma potrà anche creare un nuovo ordine politico oltre il neoliberismo.

Le tesi di Mouffe sono state messe in discussione a sinistra. Durante il primo turno delle elezioni dello scorso anno, in Francia, uno degli interlocutori abituali di Mouffe, Jean-Luc Mélenchon della France Insoumise, è stato a due punti percentuali dallo scontrarsi con Emmanuel Macron al secondo turno. Ma nelle ultime settimane di quella campagna, il sociologo francese Eric Fassin ha scritto un breve ma incisivo pamphlet che esortava la sinistra ha rifiutare la strategia populista che Mélenchon aveva abbracciato. Come sottolinea il sottotitolo del libro, Fassin è convinto che il populismo sia essenzialmente una forma di “risentimento”, e quindi un fenomeno di destra che non ha alcuna cittadinanza nella lotta della sinistra contro il neoliberismo e il razzismo. “[…] Non esiste un populismo buono per la sinistra”, sostiene.

Fassin condivide buona parte dell’interpretazione di Mouffe della crisi democratica causata da decenni di depoliticizzazione neoliberista […] e non ha alcun problema con la concezione della politica democratica come essenzialmente conflittuale. Il suo rifiuto del populismo di sinistra è tuttavia una critica inconfondibile delle implicazioni pratiche della teoria di Mouffe e Laclau. Fassin non è più solidale di Mouffe con la recente storia dei partiti socialdemocratici tradizionali – in un precedente scritto criticava duramente la svolta a destra del Partito Socialista francese sotto François Holland e il primo ministro Manuel Valls. Ma è convinto che la ricostruzione di Mouffe dimentichi che il neoliberismo non fu la creazione di “social liberali” come Blair e Clinton (o Barack Obama ed Emmanuel Macron), ma piuttosto dei “populisti autoritari” Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Storicamente, scrive, il populismo è “un’arma al servizio del neoliberismo, non contro di esso”.

La teoria di Fassin non è che i populisti di sinistra odierni sono thatcheriani in incognito e nemmeno che, necessariamente, le loro azioni getteranno le basi per ulteriori conquiste del neoliberismo o della destra. Piuttosto, sostiene che la strategia politica difesa da Mouffe ha come premessa un tentativo senza speranza di conquistare e portare a sinistra un certo tipo di elettore di destra. Molti movimenti populisti contemporanei – inclusi quelli della sinistra – si presentano come tentativi di superare la divisione fra destra e sinistra. Potrebbero difficilmente fare altrimenti, dal momento in cui il populismo cerca di riformulare i termini della lotta politica come un’opposizione “verticale” fra i potenti e “la gente”, una categoria che non può essere limitata in maniera plausibile alle basi tradizionali dei partiti di destra e di sinistra, sia che venga definita secondo schemi ideologici o sociologici. Mouffe e i suoi alleati, quindi, non stanno cercando solo di criticare le istituzioni tradizionali della sinistra per avere perso il contatto con il popolo. Puntano a costruire una base sociale completamente nuova per la sinistra, una che sia indipendente dai partiti già esistenti, dai sindacati, dalle associazioni e che includa tutti coloro che si sono impoveriti e si sono allontanati dalla politica dopo decenni di neoliberismo. Fra le fila dei disaffezionati, Mouffe e i politici a lei vicini sostengono che ci siano molti che hanno sostenuto i movimenti populisti di destra. Nonostante buona parte degli elettori di estrema destra siano sinceramente razzisti, xenofobi o neofascisti, i populisti di sinistra generalmente sono convinti che è sia possibile che necessario fornire una forma d’espressione alternativa e anti-razzista per la rabbia che sentono queste persone. Dal momento che, a differenza del populismo di destra, il populismo di sinistra comprende la vera causa di questa rabbia – ossia il neoliberismo e le sue conseguenze – e quindi sostiene che il suo messaggio alla fine risulterà più potente a coloro che, altrimenti, voterebbero per Trump, Farage, Le Pen.

Fassin obietta che questo elemento del pensiero populista di sinistra non sia solo empiricamente falso, ma anche politicamente utopistico. Sostiene che la visione comune dei sostenitori di Donald Trump come americani che sono stati “lasciati indietro” dalla globalizzazione neoliberista sia una finzione. L’elettore tipico di Trump non era un operaio disoccupato, ma piuttosto un uomo bianco di classe media, medio-alta.

Ma anche se fosse vero che gli elettori di estrema destra stessero esprimendo un rifiuto del neoliberismo – che Fassin riconosce sia più vicino alla realtà nel caso del voto per la Brexit – il sociologo francese è convinto che ci sia un difetto strutturale nella strategia dei populisti di sinistra per conquistare questi voti. Come Mouffe e Laclau, Fassin crede che sia essenziale prendere in considerazione il ruolo delle passioni e delle emozioni in politica. Le passioni che egli identifica dietro il sostegno per i movimenti di estrema destra, tuttavia, sono fondamentalmente inconciliabili con quelle della sinistra, populista o meno. L’estrema destra è motivata da ciò che Fassin chiama “risentimento” – in parole povere: “l’idea che ci sono altri che si stanno godendo ciò che è mio e che se non me lo sto godendo è colpa loro” […].

Per Fassin, questo risentimento è una caratteristica distintiva del mondo contemporaneo. In larga misura, deriva dalla creazione di una classe relativamente privilegiata in termini economici che nonostante ciò non ha ciò che Pierre Bourdieu chiamava il “capitale culturale”. I membri di quella classe – rappresentati brillantemente dal romanziere Michel Houellebecq con i suoi molteplici protagonisti maschi e bianchi – sentono una profonda insicurezza, che produce una risposta emotiva violenta. Odiano sia i liberali altamente istruiti perché gli sbattono in faccia il loro elitarismo culturale e i loro valori progressisti, sia le classi svantaggiate che queste élite “coscienti” sembrano prendere più in considerazione di loro.

Non è quindi un mero incidente storico se il populismo ha giocato un ruolo chiave nella costruzione del neoliberismo sotto i governi di destra degli anni ’80. Come retorica e prassi politica, il populismo è strettamente culturale, spiega Fassin, il che lo ha reso uno strumento perfetto per i politici di destra come Reagan, Thatcher e Trump. L’intenzione primaria della destra durante gli ultimi quattro decenni è stata di mobilitare la classe media bianca a beneficio dell’élite neoliberista, e il populismo culturale ha reso possibile presentare questo progetto come una difesa del “popolo” contro i liberali decadenti e le classi svantaggiate delle minoranze etniche.

Fassin, quindi, liquida l’idea dei populisti di sinistra secondo i quali c’è una base di sostenitori di estrema destra la cui rabbia può essere deviata dai movimenti populisti razzisti verso quelli egalitari. Non c’è nessun desiderio inconscio di giustizia economica sotto il voto per Donald Trump e il Front National, solo risentimento verso coloro che sono percepiti come culturalmente superiori e inferiori dal punto di vista razziale. Per Fassin, il populismo è semplicemente risentimento. La sinistra può rivestire quanto vuole le proprie idee di una retorica populista – può, ad esempio, personalizzare la propria critica del neoliberismo denunciando i membri dell’“oligarchia” e la loro visione del mondo. Ma Fassin insiste che se la sinistra sceglie questa strada, sacrifica le proprie idee e modalità per una retorica di guerriglia culturale che è nata nell’estrema destra, ma che non potrà mai soddisfare il risentimento e le insicurezze di cui l’estrema destra si nutre.

Nel suo libro in uscita, Per un populismo di sinistra, Mouffe non nomina mai Fassin, ma risponde ad alcune delle sue critiche. […] Mouffe distingue fra le istituzioni della sinistra e i suoi valori. Nonostante il populismo di sinistra debba radicalmente mettere in discussione le prime, spiega, deve rimanere saldamente legato ai secondi per differenziarsi dal populismo di destra. Cosa ancora più importante, Mouffe chiarisce che, contrariamente alle accuse di Fassin, non crede che il populismo di destra sia un movimento di resistenza contro il neoliberismo, né nega il sincero razzismo di molti dei suoi sostenitori o la sofferenza che questo ha il potenziale di causare. Tuttavia, insiste sulle sue posizioni, ossia che l’estrema destra odierna è davvero una risposta sincera contro le forme di “post-democrazia” che il neoliberismo ha contribuito a generare, se non una reazione contro il neoliberismo stesso. C’è quello che lei chiama un “nucleo democratico” nelle richieste dei populisti di estrema destra, un nucleo che i populisti di sinistra devono “orientare […] vero obiettivi egalitari”.

Nonostante da alcuni punti di vista Fassin e Mouffe abbiano più cose in comune di quanto entrambi vogliano ammettere, la loro divergenza sul livello di porosità fra destra e sinistra è cruciale. Relativamente a ciò, la critica di Fassin aiuta a identificare cosa c’è di così originale nel populismo per la sinistra contemporanea – ma anche perché potrebbe non rappresentare la salvezza come credono i suoi sostenitori.

I difensori del populismo di sinistra sono convinti che nelle “post-democrazie” neoliberali di oggi, la strategia e la retorica populista rappresentano l’unica strada verso politiche di sinistra di successo. Nonostante Mouffe si sia impegnata più di chiunque altro per fornire tesi coerenti per questa posizione, ha la tendenza a ribaltare il proprio ragionamento. […] Ad esempio, all’inizio di Per un populismo di sinistra, afferma chiaramente che i partiti socialdemocratici tradizionali “sono diventati troppo integrati con l’egemonia neoliberista” per rappresentare una vera alternativa di sinistra al neoliberismo. Ma nel corso del libro, elogia il populismo di Jeremy Corbyn […]. E nonostante Bernie Sanders abbia scelto di candidarsi nel 2016 alle primarie del partito Democratico e abbia poi fatto campagna per l’ultra-centrista Hillary Clinton, leggiamo che è anche lui è “chiaramente” un populista di sinistra.

E non è chiaro se i movimenti continentali che s’ispirano alle idee di Mouffe abbiano o meno una strategia comune con Corbyn e Sanders (che sono comunque molto diversi l’uno dall’altro). Fassin aiuta a chiarire le importanti differenze fra le figure anglofone – nonostante Kevin Kühnert, leader dei giovani dell’SPD, potrebbe essere aggiunto alla lista – e i movimenti di sinistra esplicitamente populisti in paesi come Spagna e Francia. Non è solo la questione relativa al fatto che Sanders e Corbyn lavorano con e all’interno di partiti tradizionali; entrambi i leader hanno cercato di portare quei partiti a sinistra fornendo un messaggio al passo coi tempi che può mobilitare basi chiaramente di sinistra. […] Corbyn e Sanders sono […] più efficaci nell’identificare quali elettori stanno dalla loro parte, nel mettersi in contatto con loro e offrire loro ciò che vogliono. Forse, non sono tanto populisti quanto semplicemente ottimi politici – migliori almeno dei centristi dei loro partiti.

Movimenti come Podemos e la France Insoumise, d’altro canto, hanno un obiettivo più ambizioso. Seguendo l’idea di Mouffe di rimpiazzare il divario fra destra e sinistra con un’opposizione fra il popolo e le élite, rendono una loro priorità far appassionare alle cause di sinistra quegli elettori il cui orientamento è fondamentalmente di destra. Nonostante questi tentativi di superare le definizioni tradizionali di destra e sinistra possano avere un qualche successo, Fassin suggerisce che la sinistra non abbia bisogno di rompere così radicalmente con le sue istituzioni tradizionali e con le sue basi sociologiche. Questo per dire che è possibile abbracciare alcune delle riflessioni filosofiche di Mouffe e Laclau – la natura conflittuale della democrazia, il ruolo delle forze egemoni in politica – senza abbracciare il populismo e le sue sviste. […]

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