Tsipras

Syriza, un congresso per salvare la Grecia e il partito

Giovedì è iniziato il secondo congresso di Syriza. Si concluderà domani con l’elezione del nuovo comitato centrale e del presidente del partito. È il primo congresso dopo che Syriza è diventato forza di governo. Lunedì scorso, a Salonicco, ho incontrato alcuni dirigenti del partito e abbiamo intrapreso un confronto su molti dei temi che sono al centro del congresso. Questo è il resoconto.

L’incontro è in via Egnatia, all’angolo con via Aristotele. Via Aristotele è una via lunga, che termina nell’omonima piazza; la piazza dà sul mare e ospita una statua in ottone del filosofo greco, lucidata in alcuni punti dal passaggio dei turisti e dai loro continui tocchi. La zona è ricolma di fast food e negozi di brand internazionali, di lusso e non. Tutto attorno una città consunta, dove la crisi ha picchiato duro e ha lasciato segni evidenti. Il contrasto fra l’insegna nuova di Starbucks e le insegne del resto della città non può non saltare all’occhio; le ultime sembrano uscite dalla fine degli anni ’90 o dall’inizio degli anni 2000. Sospese nel tempo. L’impressione è di aver viaggiato non solo mille chilometri a sud-est, ma anche a ritroso di qualche anno. Sono gli effetti delle politiche di austerità, che ancora continuano a essere imposte, a forza, sulla penisola ellenica, bloccandone la crescita — senza però mai sfavorire veramente i più ricchi.

Rifletto su tutto questo mentre varco il portone e prendo l’ascensore per raggiungere il terzo piano dell’edificio in via Egnatia 76. Lì ha sede il coordinamento territoriale di Syriza.
Avevo scritto qualche giorno prima, spiegando che sarei stata di passaggio a Salonicco e che mi avrebbe fatto piacere incontrare qualche dirigente locale del partito, confrontarmi, fare un po’ di domande. Dopo una breve attesa, mi accolgono Katerina Notopoulou, Dimitris Arkoudis e Miltos Ikonomou, rispettivamente membro del Comitato Centrale di Syriza, membro del CC della giovanile del partito e coordinatore del partito a Salonicco. Vengono tutti dalle diverse “tendenze” che hanno formato Syriza, prima come coalizione e poi come partito vero e proprio. Si stanno preparando al secondo congresso, che eleggerà il nuovo Comitato Centrale e il nuovo presidente – Alexis Tsipras è quello uscente. L’ultimo congresso, quello costituente, si è tenuto nel 2013. In questi tre anni è cambiato tutto.

«Ora siamo al governo – inizia Katerina – e questo ci porta a dover ripensare il partito. C’è molta insoddisfazione nella base e negli elettori per il fatto che abbiamo dovuto accettare i memoranda dell’Europa. Uno degli obiettivi che ci poniamo con questo congresso, infatti, è riuscire a coniugare al meglio partito e governo. Abbiamo necessità di migliorare la comunicazione fra i due e di far pesare maggiormente le decisioni prese dal Comitato Centrale». «Insomma – spiega Dimitris – dobbiamo elaborare una strategia per il futuro». Syriza, passando da forza di opposizione a forza di governo, ha subito necessariamente una trasformazione, ma i dirigenti del partito sono intenzionati a governare questo processo e a non farsi sopraffare.

«Dobbiamo prenderci cura del partito – interviene Miltos – perché il governo è solo una fase nella storia, mentre il partito deve rimanere ed essere il nostro strumento per continuare la lotta». Katerina fondamentalmente concorda, ma ci tiene a precisare: «In questo momento, però, è importante non perdere il governo, perché significherebbe perdere la Grecia». E decreterebbe la fine di Syriza e del fronte di resistenza al l’austerità e al neoliberismo che, seppur con tutti i compromessi accettati obtorto collo, rappresenta.

Prendono ad esempio il PASOK, per le cose da non fare. Il PASOK ha svuotato completamente il partito di ogni energia, piazzando tutta la propria classe dirigente in ruoli di governo o come membri dello staff istituzionale. Questo, e le politiche applicate, hanno portato al collasso del partito. «Se non ti prendi cura delle radici, poi la pianta finisce per morire. E non vogliamo che questo accada anche al nostro partito» chiosa Katerina.

Chiedo a Katerina, Dimitris e Miltos a chi guardano, al di fuori dei partiti della sinistra europea. Jeremy Corbyn è un nome, «perché ha dimostrato che i partiti possono essere cambiati dai suoi militanti» dice Dimitris. E aggiunge, subito dopo: «E poi c’è Costa, in Portogallo. Abbiamo accolto molto favorevolmente la sua apertura ai partiti della sinistra radicale. Restiamo fermamente ancorati all’interno della sinistra europea, ma non possiamo che accogliere positivamente il dialogo con i partiti socialdemocratici che non guardano verso il centro». Miltos tiene a specificare, mentre fuma a una sigaretta rollata con una cartina rosa, che il «compagno presidente e primo ministro Alexis Tsipras ha partecipato alle riunioni del PSE solo come osservatore e solo perché la situazione è drammatica e quella contro l’austerità è una battaglia comune. Ma non abbiamo alcuna intenzione di confluire nel PSE. La nostra collocazione è e rimane la GUE».

Colgo la palla al balzo: «Ma voi come vi definite? Alcuni dicono eurocomunisti, altri socialisti, altri socialdemocratici…». Dimitris sorride: «Comunisti! Ci definiamo senza ombra di dubbio comunisti». Su questo, nonostante le varie “tendenze” da cui provengono e un congresso alle porte, sono tutti d’accordo.

L’incontro, intervallato da brevi discussioni in greco in vista del congresso e svariate domande sulla situazione italiana e sul Partito Democratico, è vicino alla sua conclusione. Guardo l’orologio, mi rendo conto che abbiamo parlato più di un’ora e mezzo. Azzardo un’ultima domanda, dopo averla soppesata per quasi tutto l’incontro: «Ma voi pensate che l’Europa sia riformabile?» «Sì – mi risponde subito Katerina – anche perché non c’è alternativa. Siamo ancora qui anche per questo. La vera domanda è un’altra: ce la lasceranno da riformare, l’Europa? Perché di questo passo, continuando a portare avanti queste politiche, rischia di disgregarsi prima».

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