Idea_Socialista

Analisi per arrivare ad una nuova idea socialista

Stiamo attraversando un periodo storico di estrema prostrazione di ideali, l’impoverimento della dialettica politica ha trasformato lo scenario del Paese in un scontro violento. La crisi economica strutturale del sistema capitalistico, l’impoverimento dei ceti bassi, la scomparsa della classe intermedia, il fenomeno – malgovernato dall’Europa – dei flussi migratori, ed ora usato politicamente in maniera propagandistica, hanno prodotto il completo scollamento fra le istituzioni, i partiti, l’amministrazione dello Stato ed il resto del Paese, lasciando il campo all’autoreferenzialità dei singoli, ai talk show, ai click sulla Rete, alle bufale nella comunicazione, divenute oramai mezzo di lotta politica.
Tutto questo caratterizza la società e determina la crisi delle leadership. Oggi possiamo dire che la ‘cosa pubblica’ in Italia è governata tra ignoranza e improvvisazione, con la consacrazione della crisi di rappresentanza politica nelle istituzioni.

L’Italia è vittima dell’antiparlamentarismo e del populismo. La situazione è tanto incancrenita che produce violenza dialettica e materiale, tanto che i partiti tradizionali sono oramai corpi che vivono staccati dalla realtà: oltre che per loro mediocrità, perché colpiti da una propaganda considerata anticasta. Quelli della vecchia sinistra sono i più penalizzati. Una volta visti nel tempo e nelle fabbriche come portatori di umanesimo e di solidarietà, oggi hanno perso le loro doti del progressismo socialista.
In un quadro di sconquasso generale del nostro Paese sembra corretto aprire una riflessione e una discussione sui motivi di questo stato di emergenza. In un dibattito che dovrebbe aprirsi a sinistra, anche fare autocritica, vorremmo capire se siamo sulla soglia dell’abisso, sul punto di uno smembramento o solo all’inizio di un serio dibattito per decidere il cambiamento.

In un’analisi coraggiosa su ciò che avviene in Italia, Alessandro Barbano afferma che “il primo sintomo è la crisi della delega, nella quale i rappresentanti dei cittadini sono eletti senza vincolo di mandato”. Alla delega classica di una volta si è sostituita la suggestione della democrazia diretta e dell’autodeterminazione, dove «uno vale uno» e dove emerge, non tanto chi ha maggiore merito e maggiore competenza, ma chi si propone, sapendosi destreggiare meglio all’interno del gruppo e raccoglie più “like” internettiani.

Quando «i diritti diventano meri poteri», infatti, appare giusto tutto ciò che è possibile. I diritti prevalgono sui doveri, sostituiti da crescenti pretese soggettive che arrivano ad offuscare gli obblighi di ogni cittadino, considerati persino antidemocratici: è opinione comune che la meritocrazia sia in contrasto con la democrazia.

Partendo da una lettura scorretta della Costituzione, osserva Barbano, si fa largo la possibilità di ottenere una libertà sconfinata, pretendendo sempre nuovi diritti, finora non contemplati dalla legge o dalle consuetudini. Ciò comporta una perdita di autorità, che non si limita all’indebolimento della sola figura paterna, ma coinvolge l’intero sistema dei valori e lo svilisce. L’assenza di valutazione sembra cancellare le differenze, ma in realtà le esalta. Compiacere i desideri altrui per ottenerne il consenso è alla base di ogni populismo e non è un caso che i movimenti di quel genere riscuotano oggi tanto favore. La massa prevale ideologicamente, benché priva di un’idea portante, che non sia quella di protagonismo. Non più una massa oppressa dallo Stato autoritario, abituata ad obbedire a una comunicazione univoca, ma svincolata da ogni potere ed ideologia, che vaga senza direzione in un universo liquido.

Per Barbano la nuova categoria del “dirittismo” è figlia di una sinistra orfana di un’ideologia autorevole e perciò condannata a ricercare altrove forme di rassicurazione collettiva. Il richiamo ai diritti è un catalizzatore di consensi, capace di sollevare l’indignazione pubblica e richiamare princìpi etici apparentemente indiscutibili, dietro cui si nascondono interessi non certo universali. Un dramma, perché al contrario “nella società democratica il diritto sta in piedi se ad esso corrisponde un dovere. Altrimenti, il diritto diventa una pretesa irrealistica di pochi contro tutti. Esattamente quello che è accaduto in Italia“.

Anche le scienze sociali hanno la loro parte di responsabilità. “La sociologia — scrive Barbanoche ha rinunciato a essere pensiero critico e si è ridotta a ‘valutazione’, ha finito per soggiacere a poteri che la usano nel peggiore dei modi”. In realtà è proprio perché la sociologia moderna ha rinunciato a essere valutativa che ha tralasciato il merito. La sociologia che ha prevalso finora seguiva l’impostazione fornita da Max Weber: l’esclusione di ogni valutazione e di giudizio di merito, nell’assoluto convincimento che solo l’obiettività dell’osservatore (non implicato nel processo) possa garantire la scientificità dei risultati. Un proposito in buona fede, che però ha prodotto una scienza preda facile di poteri occulti e di abili manipolatori politici. Rinunciando di fatto — come ha scritto Luciano Gallino in uno dei suoi ultimi lavori — proprio allo “spirito critico”. Mancanza a cui ha cercato di porre rimedio Zygmunt Bauman, l’ultimo grande sociologo della modernità, che conclude la secolare impostazione weberiana, riconducendo la sociologia alla sua originale matrice, richiamata da Barbano, di critica della società.

Di fronte a questo sfaldamento generalizzato, Alessandro Barbano auspica il recupero della sovranità perduta. In effetti il rifiuto dell’idea stessa di sovranità è uno dei tratti distintivi di una modernità in declino. È, infatti, sempre più difficile ricondurre la tecnica sotto il dominio della politica. La tecnica innovativa sfugge ai controlli e si presta a essere cavalcata dai movimenti populisti che la gestiscono irresponsabilmente, modificando e contraddicendo finalità e posizioni di principio, secondo la ben nota modalità di ogni social: vivere momento per momento, senza memoria né coerenza.
La denuncia appassionata di Alessandro Barbano nel suo libro “Troppi diritti” non risparmia quegli “accademici votati alla supremazia di un’élite che maschera, dietro la censura delle manchevolezze altrui, una sottile vocazione antidemocratica”. L’obiettivo “è quello di indebolire la politica, consolidando un movimento civile trasversale ai partiti e portatore di una precisa visione della società”. Una società — è la conclusione — a cui manca il riferimento a una sovranità indiscussa.

Quali la cause di tutto ciò? Noi ne avanziamo una. Trenta anni fa, attraverso una rivoluzione giudiziaria, venivano sistematicamente estromessi dallo scenario politico italiano, l’ideale democratico-cristiano, quello laico dei repubblicani, dei liberali e dei socialisti. Tutti basati sulla antichità del nostro paese, dal risorgimento alla guerra di liberazione. Tutti basati su ideali e su un modello di società umana costruita per combattere il sopruso, lo sfruttamento, la povertà, l’indigenza fisica e morale, e la solidarietà verso chi è più debole. Ecco in quel tempo, nei primi anni ’90, nasceva in Italia la “gogna mediatica”, che iniziava quell’esercizio di odio di classe che oggi è esploso in maniera diffusa in tutto il Paese.

Oggi la democrazia italiana, dopo un’esperienza basata soprattutto su vani tentativi di serie e concrete riforme, ha bisogno assoluto di riaprire il dialogo politico basato, non sulle emotività del momento e sullo spontaneismo della piazza, ma su una nuova etica della politica. Oggi l’Italia sente il bisogno dell’idea socialista, ma soprattutto sente che è tornato il momento di rivivere con nuove idee la società; per lavorare a favore di un clima sociale e di pacificazione del Paese, per sconfiggere il populismo e il sovranismo deideologizzato di marca grillina e leghista.

 

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