Rossi al Teatro Vittoria

Enrico Rossi: “La nostra battaglia”

Buongiorno e benvenuti a tutti, care compagne e cari compagni. Siamo qui perché abbiamo fatto un lavoro, abbiamo scritto un volumetto, “Rivoluzione socialista”, che abbiamo presentato in centinaia di assemblee in Italia e siamo stati incoraggiati ad andare avanti da tanti compagni e anche da molti giovani. Abbiamo dato vita ad una associazione, Democraticisocialisti, che ha già migliaia di iscritti e che ha elaborato una bozza di manifesto che oggi consegnamo e presentiamo a tutti per la discussione.

Non pensavamo certo che questo incontro si sarebbe trasformato in un confronto così largo e partecipato, ci scusiamo per qualche disfunzione e inefficienza. Però voglio dire prima di tutto, grazie a te Roberto che lo hai proposto, grazie a te Michele e grazie a tutti voi per essere venuti così numerosi. E grazie soprattutto a coloro che sono venuti da fuori con sacrificio e tanta passione.

Noi siamo mossi dall’inquietudine verso il presente, questo virus non ce lo siamo tolti ancora di dosso. Dall’insoddisfazione verso il presente e verso la situazione politica. E dalle risposte finora inadeguate che il mio Partito ha dato. Vogliamo lottare, sappiamo di vivere un momento grande e terribile della storia del mondo e del nostro paese, ma non abbiamo perso la volontà e la speranza di trasformare questa nostra Italia.

Il nostro nemico, si chiaro, è la destra, quella mondiale e quella italiana, nelle sue diverse espressioni. Ha detto Michael Waltzeril populismo oggi è possibile grazie all’austerità e all’indifferenza per la sofferenza della gente che il neoliberismo ha incoraggiato. I demagoghi populisti sostengono di volere migliorare la sorte di queste persone, ma non c’è nessun miglioramento reale perché non fanno nulla per modificare i rapporti di potere dell’economia liberista”. “Il populismo – dice Waltzerpuò essere però spaventosamente efficace nel perseguitare i presunti nemici del popolo: gli altri, che vengono eletti a capro espiatorio. Gli immigrati, le minoranze”. In altre parole la destra è pronta con l’ideologia di Trump, che tanto successo sta avendo in Europa e anche in Italia, a raccogliere il consenso, sfruttando e manipolando il disagio sociale che essa stessa ha prodotto con le sue scelte.

Siamo sicuri di non avere nulla da rimproverarci? Io credo, e mi sento parte di questa autocritica, che abbiamo accettato troppo supinamente il mondo così com’è. C’è stato un eccesso di moderazione, un’acquiescenza verso il mercato che ha finito poi per invadere ogni aspetto della vita, a tratti anche uno smarrimento ideale e un allontanamento dalla rappresentanza e dalla tutela di quei ceti popolari che sono per noi la missione fondamentale del nostro impegno politico. Diciamo la verità: oggi i giovani, i disoccupati, i lavoratori, i ceti medi, ma anche i titolari di imprese che versano nell’incertezza, le persone, si sentono soli e umiliati e non vedono in noi una forza in grado di produrre un cambiamento portatore di giustizia. Siamo stati identificati con il sistema.

Bene, noi siamo convinti e siamo qui per questo: che occorre una svolta politica. Abbiamo bisogno di un partito partigiano che in modo netto sta dalla parte dei lavoratori e del lavoro. Da qui noi ripartiamo. Quindi non possiamo essere che favorevoli alle richieste di rivedere i voucher, di ridurre la quantità enorme di forme contrattuali, correggere i meccanismi degli appalti. Io oggi vedo così il mondo del lavoro: fortemente frammentato. Lavoro nero, precario e illegale che si diffonde sempre di più e sostituisce quello regolare. Ritmi di lavoro che aumentano in tutte le aziende, autosfruttamento che cresce nel vasto mondo delle partite iva. C’è bisogno di un nuovo processo di riunificazione del lavoro. Ci sono proposte in questo senso e noi dobbiamo impegnarci a discuterle e ad attuarle con il metodo del dialogo sociale e del confronto con i sindacati, di cui una forza come la nostra non può fare a meno. Troppa contiguità e vicinanza con i potenti rende poi difficile parlare con i lavoratori. E se esalti Marchionne non devi meravigliarti se poi un precario ti sente distante.

I GIOVANI AL PRIMO POSTO – Al primo posto io vorrei mettere anche un bisogno urgente di un’azione straordinaria a favore dei giovani esclusi dal lavoro, la cosiddetta “generazione perduta”, di cui tanto si parla e per la quale non si è fatto ancora nulla. Nella sanità, nell’assistenza, nell’ambiente, nella cultura, nei centri per l’impiego dobbiamo fare piani per il lavoro per assumere subito migliaia e migliaia di giovani. O pensiamo che bastino le politiche dei bonus ai diciottenni?

Dove trovare i soldi? Io sono un amministratore attento: a invarianza di spesa, nella pubblica amministrazione si può assumere un giovane ogni tre lavoratori che vanno in pensione, e si può anche risparmiare per assumere giovani riducendo il numero pletorico dell’alta dirigenza e gli stipendi esosi che sono più alti rispetto a tutto il resto d’Europa. Pensiamo ai nostri figli!

Invece sono state fatte politiche basate sul sostegno dell’offerta e sono stati agevolati i ceti più elevati con detassazioni generalizzate, a famiglie e a imprese. Nonostante l’aumento della spesa pubblica e del debito, l’Italia è cresciuta meno di quanto avrebbe dovuto. Siamo agli ultimi posti in Europa, per questo e per tante altre cose. Pierluigi Ciocca, ex direttore del centro studi della Banca D’Italia, scrive così: “Se il Governo Renzi avesse volto in opere pubbliche 1 punto di PIL, cioè circa 17 miliardi, nel 2016 l’aumento del prodotto sarebbe stato del 2,5%, invece del misero 1%”. Sarebbero stati creati, aggiungo io, centinaia di migliaia di posti di lavoro stabili.

In questi anni non è che non si sia speso, ma abbiamo speso male. Si è voluto puntare sugli incentivi, sugli sconti, sui bonus, sulle decontribuzioni, mentre le famiglie aspettavano il lavoro per i loro figli. L’OCSE ci dice che dobbiamo investire, e che se lo Stato non investe anche i privati non si muovono. Dal 2007 a oggi – è un dato impressionante – il nostro Paese ha perso mille miliardi di investimenti tra pubblico e privato, che corrispondono a una massa di tre milioni di posti di lavoro. Abbiamo perso anche, evidentemente, un’enorme capacità produttiva del sistema. Qui la ragione della crisi. Siamo un grande paese che impoverisce sempre di più. Il Mezzogiorno arretra più di altri territori e subisce una nuova emigrazione di massa, di giovani che lasciano il Mezzogiorno.

BISOGNA ASCOLTARE LA SOFFERENZA – Occorre dire la verità agli italiani, altro che raccontare e comunicare. Occorre ascoltare la sofferenza, vedere i problemi reali e strutturali di questo paese, e costruire un progetto serio di sviluppo basato tra un patto nuovo tra istituzioni, lavoratori e impresa sana e dinamica che investe e crea occupazione. Impresa sana, non capitalismo parassitario della rendita e della speculazione edilizia che produce disastri ambientali. Quel capitalismo che prende i soldi e fugge, come è avvenuto al Monte dei Paschi, lasciando poi i cittadini a pagare il conto. E noi non possiamo neppure sapere i nomi dei responsabili delle cento più grandi società insolventi. Noi quei nomi li chiediamo. Dobbiamo considerare nostro avversario questo capitalismo immorale e irresponsabile. E invece dobbiamo allearci e considerare nostri amici e fratelli quegli imprenditori, e sono tanti, che sentono la responsabilità sociale verso i lavoratori, che impegnano le loro risorse e se stessi, la loro intelligenza, per il lavoro e per la qualità dei loro prodotti. Questi sono i nostri alleati, con i lavoratori del nostro Paese.

Su un punto, e non lo si è fatto, sulla povertà si sarebbe dovuti intervenire per motivi di giustizia e di eticità, ma anche per doveri costituzionali. Vi ricordate? I doveri inderogabili di solidarietà che la nostra Costituzione richiama. La legge sulla povertà c’è, ma troppo tardi e troppo poco finanziata. Diciamo la verità: si è preferito togliere l’IMU anche a chi, come me, poteva pagarla e non sappiamo cosa rispondere a un lavoratore disoccupato che si trova senza reddito dopo avere perso ogni protezione sociale. Questa è la situazione. Io dico che si attivino subito, anche con contributi di solidarietà, i sette miliardi necessari che servono per i nostri quattro milioni e mezzo di cittadini che versano in povertà assoluta. Dobbiamo intervenire subito su questo punto.

L’Italia cresce meno dell’Europa, lo abbiamo detto, ma investe anche meno della media europea in ricerca. Lo hanno denunciato ieri l’altro i ricercatori. È quello della ricerca un settore dove dal 2008 a oggi si sono persi 10.000 posti di lavoro e un miliardo di risorse. Qual è il futuro se non investiamo i ricerca? Anche le spese per la scuola sono state ridotte: dal 4% del PIL del 2009 al 3,5% del 2015. La spesa sanitaria in questo paese è ormai inferiore alla media europea e per molti è diventato un problema economico l’accesso alle cure. Non ci si cura perché non si hanno i soldi. Le nuove risorse che sono state messe sono ancora insufficienti, e il farmaco contro l’epatite C è razionato: uno scandalo per il nostro Paese! Eppure io sono sicuro che alla Sanità sono stati chiesti più tagli che non alle spese militari. Si fa qualcosa sulle pensioni, ma non si toccano le pensioni d’oro: 33.000 pensioni, in gran parte non contributive, per una spesa di 3 miliardi e 300 milioni. Intanto, com’è noto, l’evasione fiscale, al di là dei recuperi e dei condoni, permane a livelli altissimi, con un dumping insopportabile a danno di tanti imprenditori corretti e di tutti i cittadini onesti.

LOTTA ALLE DISEGUAGLIANZE – Oxfam ci dice che le diseguaglianze in Italia sono tali che, ormai, l’1% degli italiani possiede il 25% della ricchezza, mentre aumenta il divario con la parte più povera della popolazione. E in questa situazione di diseguaglianze crescenti abbiamo pure partecipato a un dibattito nel quale si è avanzato una proposta scandalosamente di destra: la flat tax. E cioè una riduzione degli scaglioni, contraria al principio costituzionale della progressività, ben spiegato da un liberale, Einaudi, dicendo: “con le stesse dieci lire, il povero ci compra la ministra, mentre il benestante una poltrona a teatro”.

Ma le disuguaglianze si mostrano anche in altre forme, forme inedite, nuove, che noi dobbiamo saper cogliere. Anche i processi processi di privatizzazione hanno lasciato al dominio della logica degli utili, per rispondere all’azionariato, settori decisivi per la vita dei cittadini. Penso all’elettricità, ai recenti episodi che si sono verificati nelle zone colpite dal terremoto, alle poste, ma anche allo stato delle ferrovie. Interi territori del Paese si sentono così abbandonati, com’è accaduto agli artigiani durante la stretta creditizia e ai commercianti colpiti da una legge che indistintamente ha liberalizzato tempi e regole nel settore. Si poteva fare diversamente. Si ha avuto cioè un fenomeno di privatizzazione che ha interessato maggiormente i quartieri a basso reddito, le periferie, le aree più povere e interne, le quali si sentono anche minacciate dal fenomeno delle migrazioni su cui non si è ancora intervenuti a sufficienza in termini di migrazioni.

Ci sono nel nostro paese 450.000 immigrati irregolari. Invisibili, sono stati chiamati. Frutto delle leggi Bossi-Fini e Maroni, questi campioni della democrazia. Che si aspetta, anche sotto il profilo della sicurezza, a far emergere questa realtà e abolire il reato di clandestinità? Che si aspetta a trovare i modi per integrare e legalizzare una forza lavoro così ampia soggetta a uno sfruttamento brutale e a disposizione dell’influenza della criminalità. Questo, a mio parere, è il modo migliore, se lo facciamo, per costruire sicurezza e legalità. Se invece si insegue la propaganda della destra vi assicuro che i tempi non saranno mai maturi e i nostri valori saranno travolti.

Bene, benissimo sulle unioni civili. Ma perché siamo così prudenti nel reato di clandestinità e sullo ius soli, quando i nostri figli vanno a scuola con i figli degli immigrati? Io credo che se seguiamo, con queste chiavi di lettura, la geografia del voto, che ci ha tanto penalizzato, da diverso tempo in tanti appuntamenti, e se abbiamo la forza di guardare in faccia la realtà, è facile comprendere le ragioni delle nostre sconfitte recenti.

Ora noi siamo chiamati a dire la nostra idea dell’Italia e del futuro. Io credo che dobbiamo farci coraggio, perché nella società italiana c’è un grande fermento e credo anche una grande disponibilità al cambiamento.

Noi siamo qui perché intendiamo rinnovare la cultura politica e il programma del Partito Democratico. Invece, ci si chiede di fare un congresso, per modo di dire, in poche settimane, una conta per riconsegnare nel più breve tempo possibile la guida del Partito al segretario. Noi non ci stiamo. Il PD è per sua natura un partito plurale e di centro-sinistra. Se si pensa di abolire la sinistra o se si vuole che essa finisca per non contare nulla, la responsabilità della spaccatura ricade su chi non vuol capire.

In questi anni abbiamo perso centinaia di migliaia di militanti, milioni di elettori di sinistra e di giovani, che guardano da un’altra parte. Abbiamo bisogno di loro per tornare a vincere e cambiare il Paese, abbiamo bisogno di far capire che questo è un partito aperto, che può esserci ancora spazio per loro, che possono tornare a iscriversi, che si riaprono gli albi degli elettori per verificare e validarne gli iscritti e per evitare che si ripetano ogni volta quegli episodi malefici che hanno delegittimato le primarie agli occhi di tanti italiani perbene. Ci serve semplicemente un percorso normale nell’interesse del Paese e del Partito.

Io credo che il Governo deve essere sostenuto e messo in condizioni di ben lavorare fino alla scadenza della legislatura. Gli italiani vogliono vederci al lavoro per loro, a tutti i livelli, e questo noi dobbiamo fare sostenendo il Governo e proponendo al Governo di fare cose utili e importanti per il Paese, come quelle a cui ho accennato.

Penso che la conferenza programmatica proposta dal compagno Orlando si debba fare e che debba essere un momento serio di elaborazione sui contenuti e sulla concezione e organizzazione del Partito. Ci sono state su questo proposte, anche di Fabrizio Barca, su una direzione collegiale, sul ruolo dei circoli, sui metodi di selezione interna; e queste proposte a me paiono interessanti, possono essere una base comune da sottoscrivere tutti.

Nella foto: Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza sul palco del Teatro Vittoria

Il congresso lo abbiamo chiesto subito per avere tempi normali e adeguati alla discussione complessa che dobbiamo fare. Non è una questione di date, non siamo noi ad avere l’ossessione delle date. È una questione di democrazia, perché noi non siamo disposti a partecipare ulteriormente alla trasformazione del PD nel Partito di Renzi. Aggiungo che se il segretario, accentuando il carattere leaderistico della sua guida, vuole fare in Italia – e ci sono gli accenni – ciò che Macron sta facendo in Francia, cioè costruire una forza né di destra né di sinistra, adottando cioè un’agenda economica neo-reaganiana, questa forza, allora, bisogna dirlo chiaramente, non sarebbe più il PD. La spaccatura sarebbe nei fatti, e a fare la scissione sarebbero gli elettori di sinistra più di quanto non sia già avvenuto.

Se poi si pensa che, fatta questa operazione, si devono aprire alleanze con il centro-destra, con Verdini e magari con Forza Italia, lo dico con chiarezza e preventivamente, noi non ci stiamo. Il PD vive se al suo interno vive se al suo interno vivono e si confrontano, con pari dignità, aree diverse: un’area moderata, liberal, di centro, e un’area di sinistra, che a me piace chiamare socialista, derivante da varie ispirazioni culturali. Un’area più attenta ai problemi della redistribuzione della ricchezza e dell’eguaglianza sociale.

Nella foto: Platea e galleria del Teatro Vittoria piene in ogni ordine di posti e pubblico in piedi

I DEMOCRATICISOCIALISTI – Per questo io e tanti compagni ci siamo per creare un’associazione, Democraticisocialisti, e proponendo l’attualità degli ideali e dell’orizzonte di giustizia che il socialismo democratico evoca a partire dalla critica della società dell’economia. Una critica che, a differenza delle altre, è razionale. Una critica razionale del capitalismo, che noi negli ultimi tempi abbiamo troppo disertato e che invece proprio la Chiesa di Papa Francesco ci propone da un punto di vista morale, quando parla di vite di scarto, di mutamenti climatici, di migrazioni, di un capitalismo senza freni che fa del profitto l’unico scopo. Cosa aspettiamo a confrontarci con questa elaborazione? Noi, che siamo il Partito Democratico.

In tutto il mondo occidentale, in Europa, nel centro-sinistra è in corso un dibattito su questi temi. E anche uno scontro aspro: superare le politiche di austerità, porre regole alla finanziarizzazione dell’economia, applicare la Tobin tax, applicare una patrimoniale sulle ricchezze più grandi, colpire i flussi di denaro verso i paradisi fiscali, impegnarci a unificare il fisco a livello europeo.

Nello foto: Gli interventi di Enrico Rossi e degli altri oratori sono stati seguiti anche all’esterno del Teatro Vittoria

Io credo che noi non dobbiamo dire la frase insulsa che noi diamo all’Europa più di quanto prendiamo. Questo è l’inizio per spaccare tutto. Se vogliamo un’Europa sociale e dei lavoratori, attenta alla parte più debole dei cittadini europei, dobbiamo chiedere, come voleva Jaques Delors, che si raddoppino e non si diminuiscano le risorse per le politiche di coesione sociale, altro che il piano Juncker. E dobbiamo chiedere che si tolgano tutti gli investimenti dal fiscal compact e ci si impegni a considerare veramente cogente e a realizzare non solo i tetti di spesa che vengono imposti al deficit, ma gli obiettivi veri del programma 2020 che è stato elaborato.

Negli USA, Bernie Sanders ha sentito la necessità di indicare nel socialismo roosveltiano un’ispirazione forte per rispondere alle ingiustizie e trovare una strada nuova per lo sviluppo. Dice Sanders: “Le persone non sono veramente libere quando non sono in grado di sfamare le loro famiglie. Le persone non sono veramente libere quando sono disoccupate o sottopagate, quando sono esauste per le troppe ore di lavoro. Le persone non sono veramente libere quando non hanno il diritto alla salute. Il socialismo democratico significa che dobbiamo creare un’economia che funzioni per tutti e non solo per i ricchi”.

Molti, anche da noi, ormai parlano di eguaglianza, alcuni si spingono di parlare di redistribuzione della ricchezza, ma io sono convinto che solo i principi e i valori del socialismo ad esprimere l’impegno, forte, per cambiare il mondo e trovare un nuovo equilibrio tra capitalismo e democrazia.

Ecco, noi chiediamo di poter discutere di questi problemi, di queste idee, per elaborare proposte per cambiare il nostro paese, l’Italia. Questo è ciò che chiediamo. Se questo ci verrà negato sarà compito nostro, assieme tanti altri, dare inizio a una nostra storia, senza rancore, con serenità. Noi ci aspettiamo un gesto di responsabilità.

Ci auguriamo che cambiando si possa proseguire insieme, con una direzione collegiale, sotto lo stesso tetto, con una politica nuova e più alta. Se non sarà così, però, nessun patema. Anche perché in futuro dovremo continuare a confrontarci con rispetto e a collaborare per il bene del Paese.

Ma una cosa deve essere chiara a tutti: noi non stiamo parlando di date, di calendario, ma stiamo parlando di idee, di valori, di ideali, a cui non vogliamo rinunciare, e per i quali vogliamo continuare a batterci.

Nel link di Radio Radicale,  l’intervento di Enrico Rossi presentato da Peppino Caldarola

 

Commenti