MARCO_CAPPATO

Il caso Cappato e l’ipocrisia di Governo

Una notizia passata sotto traccia negli ultimi giorni è quella dell’intervento del Governo dimissionario nel giudizio di legittimità costituzionale sul reato di aiuto al suicidio promosso dalla Corte d’Assise di Milano durante il processo a Marco Cappato. Per difendere le prerogative del legislatore e l’articolo che punisce l’istigazione al suicidio da un eventuale smantellamento, fa sapere il Ministero della Giustizia. Peccato che non sia così: la scelta di Gentiloni e Orlando non è giuridica, ma politica. E sbagliata.

L’articolo 580 del codice penale punisce, alternativamente ma equiparandoli, l’istigazione e l’aiuto al suicidio. Due condotte profondamente diverse, considerato che la prima consiste nel determinare o rafforzare la volontà suicida mentre la seconda riguarda le agevolazioni di qualsiasi tipo fornite al soggetto che decide di darsi la morte. Tuttavia la normativa italiana sul tema, mai cambiata dal 1930, punisce allo stesso modo chi spinge una persona a suicidarsi e chi, come Cappato, si limita a non lasciare solo un uomo che ha già fatto la sua scelta in piena consapevolezza ed in assoluta libertà.

«Se da cinque a dodici anni vi sembran pochi», verrebbe da dire. Una sanzione che si comprende solo se osservata nel contesto in cui fu scritta: il fascismo, che in nome dei doveri dell’individuo verso lo Stato attribuiva alla vita un valore sociale e pretendeva quindi di poter “superare” la volontà del singolo nello scegliere tra vita e morte. Una visione paternalistica del cittadino, del tutto incompatibile con l’ispirazione personalistica del sistema costituzionale repubblicano.

Eppure l’idea della vita come bene non esclusivamente dell’individuo pervade ancora tutta la normativa italiana. Anzi, si è spostata dall’idea di bene collettivo a quella (forse finanche più pericolosa) di “dono di Dio“. L’aver messo sullo stesso piano concettuale aiuto e istigazione al suicidio ne è solo un esempio clamoroso, talmente eclatante da essere finito di fronte alla Corte costituzionale. I profili di possibile incostituzionalità rilevati sono chiari e semplici: l’equiparazione tra aiuto e istigazione al suicidio e la sproporzione della pena rispetto al disvalore sociale rappresentato dall’aiuto al suicidio.

Non serve essere raffinati giuristi per capire che una sentenza di accoglimento da parte della Corte colpirebbe solo le condotte di agevolazione della volontà suicida, e non l’istigazione. Nella più auspicabile delle ipotesi potrebbe essere sancita l’incostituzionalità dell’aiuto al suicidio, mentre gli altri due casi presi in considerazione dalla norma (determinazione e rafforzamento della volontà suicida) resterebbero immutati. Ma allora perché Gentiloni e Orlando difendono a spada tratta una norma palesemente iniqua e figlia di una visione distante anni luce da quella che dovrebbe appartenere ad un Governo progressista?

Difendere la funzione del legislatore? No di certo, altrimenti l’intervento nei giudizi di legittimità costituzionale da parte del Governo sarebbe sistematico. Difendere un comune sentire che ancora vede il suicidio come gesto inaccettabile e deprecabile? Impossibile, considerato che negli ultimi anni l’opinione pubblica ha manifestato più volte un evidente cambio di rotta sul tema della libertà di scelta. Basti pensare al gesto di Tiziana Siciliano, che si è rifiutata di incarnare l’accusa contro Marco Cappato, agli appelli che si sono susseguiti in queste settimane, alle quindicimila firme raccolte in poche ore proprio per chiedere a Gentiloni di rinunciare all’intervento.

L’unica spiegazione plausibile allora è che Gentiloni ed Orlando abbiano scelto di fare l’ennesima concessione all’area moderata e cattolica delle loro correnti e di aderire all’idea che la vita sia un dono divino a cui non possiamo rinunciare. Non ai nostri termini, almeno. La stessa impostazione culturale e politica che ha portato Paola Binetti ad opporsi alla legge sul testamento biologico, o il governo Berlusconi ad approvare un decreto legge incostituzionale per bloccare l’esecuzione delle volontà di Eluana Englaro.

E allora basta nascondersi dietro paraventi giuridici, il Governo ammetta pubblicamente che la sua scelta è stata squisitamente politica e ne accetti le conseguenze. Questa decisione è inopportuna (perché effettuata dopo aver già presentato le dimissioni) e sbagliata. Gentiloni e Orlando hanno deciso di farsi difensori dell’esistente e di prendere parte dal lato sbagliato della storia nella discussione sul fine vita: teniamolo a mente, la prossima volta che si ergeranno a simboli del progressismo socialista…

Foto in evidenza: Marco Cappato (Stefano Montesi/Corbis via Getty Images)

 

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