Marco Pannella22

In morte di Giacinto Marco Pannella, le battaglie non vinte le migliori

Marco Pannella ci ha lasciati. Lo ha fatto con l’ultimo atto di dignità di un uomo che ha cambiato mille posizioni restando sempre coerente. Pannella era un gigante, a partire dal fisico, imponente; per l’intelligenza, la cultura, la capacità di analisi. A lui la politica e questo Paese devono tanto, troppo per un uomo solo. Pannella era un figlio della destra, come scrisse Montanelli all’apice del successo radicale nel 1979, che cavalcava nella praterie della sinistra. A Pannella destra e sinistra però non importavano, importava la politica, gli obiettivi, la libertà. La libertà che amava più di tutto, persino più di se stesso. La sua libertà che non poteva concepire senza la libertà altrui, la nostra libertà.
Non ha senso qui fare la storia delle sue battaglie, le citazioni e l’affetto che gli hanno dedicato i grandi della terra, i Papi, il Dalai Lama, come gli ultimi, i carcerati su tutti. Racconta chi ha visitato un carcere con lui, le scene d’incredibile affetto, di eterna gratitudine che i carcerati tributavano a Pannella. Oggi nelle carceri italiani ci sarà molta tristezza. Le battaglie migliori, almeno per me, di Marco Pannella sono, infatti, quelle non vinte, quelle testardamente portate avanti con la caparbietà di un abruzzese: carceri, giustizia giusta, eutanasia, libertà di ricerca, abusivismo edilizio e tutti i bisogni di questo Paese e del nostro mondo.
Battaglie combattute con il proprio corpo, rischiando la morte e non la vita, come diceva lui, in scioperi della fame e della sete, interminabili e struggenti.
Ma Pannella era anche un maestro, nelle conversazioni domenicali, in cui portava al limite la pazienza di Massimo Bordin, in un concatenarsi di subordinate in cui mischiava Croce, Gambetta, spes contra spem, l’esilio a Saddam e l’appello “al presidente de a Repubblica”. Un buglione di cui a volte con fatica svolgevi il filo, ma che un filo sempre aveva, una forza e una coerenza che anche chi non lo apprezzava non poteva non riconoscergli. Ma Pannella era anche un narciso egocentrico il cui più grosso limite era se stesso, incapace di collaborare con chi non fosse con lui allineato e convinto. Da qui il falso mito del divoratore di figli, come scriveranno i giornali domani sbagliando ancora una volta. Pannella non aveva bisogno di mangiarli, a lui bastava fermarsi e la baracca radicale si fermava. Nessuno, nemmeno Emma Bonino, era in grado di prendere sulle proprie spalle la galassia radicale; come hanno dimostrato questi mesi in cui i due hanno litigato, o, meglio, Pannella ha litigato con Bonino, mentre lei ha preferito, legittimamente, fare altro.

In questa solitudine rumorosa si dibatterà dell’eredità pannelliana, da quella materiale a quella politica e sarà difficile che quella comunità dispersa che sono i radicali (dispersa, oggi, senza Pannella come ieri con lui, come nota giustamente il naufrago radicale Tommaso Ciuffoletti) sopravviva all’addio di Pannella. Pannella non avrebbe amato questo come i molti coccodrilli che a lui dedicheremo, ne avrebbe riso, e il pensare che non potrà farlo mi intristisce tanto. Pannella stava sulle palle a molti di voi, credo che a lui piacerebbe se glielo fate sapere anche oggi; in fondo, come diceva lui, siamo in una compresenza di vivi e di morti e lui non ha certo finito di romperci i coglioni.

Commenti