Piero Grasso

La campagna elettorale che farò

Al di là della soddisfazione per essere finalmente arrivati al primo obiettivo che molti di noi si erano posti iniziando la costruzione di Articolo UNO, si avverte con sempre maggior evidenza la necessità di cristallizzare la comunità che si sta creando nella forma di un partito. Si tratta di una fonte di frustrazione ma allo stesso tempo il risultato più importante: si è creata una comunità e una comunità di intenti che sente il bisogno di darsi un’organizzazione e un funzionamento democratico, prerequisito per la nascita di un partito, che infatti non può sorgere dalla volontà di gruppi dirigenti. Nascerà, da una volontà più grande, ad alcune condizioni, che si stanno adesso finalmente consolidando:
Questa comunità deve essere di parte: si pone con chiarezza l’obiettivo di rappresentare e tutelare una parte della società. Adesso si sta delineando un nostro profilo autonomo, non ottenuto per riduzione e distanza dalle altre forze politiche.
É una comunità che si articola e si vuole articolare nel territorio in maniera stabile.
I membri che la compongono avvertono la necessità di poter indirizzare e legittimare la linea politica in maniera democratica.

Questo è ancor più evidente ora che la scadenza elettorale si avvicina: come vengono decise le liste? Come viene definito il programma? Da subito dopo le elezioni si proceda senza esitare, perché il non-metodo che abbiamo al momento è insoddisfacente e frustrante.

La parte che pretendiamo di rappresentare partecipa alla costruzione e legittima il partito. In questo senso, lo strumento che abbiamo a disposizione al momento è quello delle elezioni. Il partito unitario si farà se avremo ampio consenso nella societ
Quindi, la campagna elettorale avrà per noi anche questo importante significato. Ecco come la intendo e come la farò io.

Mi capita di sentire spesso, nel corso delle nostre assemblee, i commmenti di chi la sa lunga: è un miracolo se arriviamo al 5%, se eleggiamo 30 parlamentari, quello che vediamo nei sondaggi attuali è solo un temporaneo momento di grazia… così la campagna elettorale possiamo anche non farla. Dobbiamo avere la presunzione di presentarci come LA forza che rappresenta lavoratori, disoccupati, pubblico impiego, periferie. E che ha proposte reali per cambiare in meglio la vita delle persone che vogliamo rappresentare, per avere un effetto concreto e immediato su condizioni di vita sempre più insostenibili. Stop. Saremo una ridotta del PD se ci presenteremo come un altro partito del “ma anche”, solo un po’ più piccolo e simpatico e di sinistra. Dobbiamo invece cercare di dare concretezza a quel “ripartire dai nostri valori” che ha accompagnato la nascita di Articolo UNO.

Iniziamo con essere quelli del “ma intanto”: va bene i massimi sistemi, ma intanto cancelliamo la legge Fornero; ma intanto stop al lavoro precario e allo sfruttamento; ma intanto investimento e politica industriale; ma intanto ricostruiamo lo Stato: sanità, scuola. Intanto pensiamo a semplici obiettivi concreti, poi si ragionerà del resto. È anche un modo per cancellare l’odiosa distinzione tra radicali e riformisti: dobbiamo andare alla radice dei problemi e intervenire punto per punto per affrontarli, guidati da una visione di insieme e da un chiaro obiettivo. È così che saremo forza di governo, non appoggiando qualsiasi governo purché sia. Anche questo dobbiamo avere ben chiaro e far capire ai nostri potenziali elettori: a quelli preoccupati che ci faremo fagocitare dal PD il giorno del nostro ingresso in Parlamento, e a quelli preoccupati che ci vogliamo rinchiudere in una autoreferenziale irrilevanza, buttando a mare il loro voto. Per me forza di governo vuol dire: una forza che ha chiaro chi è e dove vuole andare, e partecipa all’azione di governo – da dentro l’istituzione stessa del governo, o al di fuori di questa – per avere effetti tangibili sulla vita delle persone; governare non può significare partecipare alla spartizione di cariche e posizioni di potere, e per il resto tirare a campare, senza orizzonte chiaro. Il PCI è stato un partito di governo, per come la vedo io, senza essere mai stato al governo.

Quindi occorre evitare errori che tradirebbero una nostra confusione identitaria:

1. Porci come forza anti-populista e a tutela del sistema. Facciamocene una ragione: giovani, precari, disoccupati, periferie, operai: sono “contro il sistema”, perché il sistema non li tutela più, li ha ridotti in queste condizioni. (Inutile stupirsi poi che non scenda la gente in piazza per lo scempio sulla legge elettorale o che ci sia un rigurgito fascista). Per queste persone – a torto o a ragione, anzi direi: a torto e a ragione – i barbari non sono i 5Stelle: i barbari sono i governi di centro-destra e di centro-sinistra che hanno fatto a gara a rendere le loro esistenze più precarie. Mi domando: essere contro i populismi vuol dire non vedere i problemi che i 5Stelle sollevano e stare dalla parte di chi dice che la crisi è finita, che il jobs act ha salvato il paese, che i ristoranti sono pieni? I problemi ci sono, cittadini e elettori hanno ragione, come dicono, giustamente, e dobbiamo mettercelo nella testa, Salvini e Di Battista quando vanno in tv: non spiegano come va il mondo, rappresentano (o tradiscono, ma questo è un altro discorso) delle esigenze. Cerchiamo di essere popolari, di provare a ritrovare quella connessione con il popolo, rappresentare istanze popolari e il sentimento nazional popolare: se lo leggiamo in questo senso – e il populismo ha anche una tradizione nobile e di sinistra – io farò una campagna elettorale orgogliosamente populista: di ascolto e rappresentanza popolare. E, lasciatemelo dire, anti-sistema: perché quando ero al liceo essere di sinistra voleva dire essere “contro il sistema”e adesso la sinistra è identificata con il sistema? Abbiamo smesso di riflettere sulle contraddizioni del sistema e a pensare a qualcosa di diverso. Cerchiamo in questa campagna elettorale di stare dalla parte di chi è stato abbandonato dal sistema, di farci percepire così.

2. Replicare quanto fatto nel 2013 con Monti. Abbiamo appoggiato questo e il precedente governo troppo a lungo, questo ci rinfacciano i nostri potenziali elettori (oltre che, ancora, e giustamente, di aver appoggiato Monti stesso…). Basta quotidiane aperture al PD, anzi, rifiutiamoci di parlare di PD. Costruiamo la nostra identità, la prospettiva di governo si vedrà dopo: e ho l’impressione che il PD sarà fuori dai giochi. Facciamocene una ragione. Ma prima di tutto è, a questo punto, anche difficile parlare di una nostra vicinanza o meno al PD: è chiaro che siamo più affini a un Cuperlo che a un Salvini. Ma questa è una contraddizione di Cuperlo, non ci deve riguardare: la nostra idea di governo, di paese, di politica è opposta a quella promossa dai governi Renzi e Gentiloni. Se il PD si è spostato sulle posizioni securitarie e anti-immigrazione di Salvini, e farà una proposta di assoluta continuità, sarà un problema di Cuperlo, non nostro. Ci chiedono se poi andremo col PD. La risposta sarà che non faremo con nessuno un governo a tutti costi tanto per fare un governo, nemmeno col PD. Mentre cercheremo con chiunque voglia farlo – e ovviamente anche col PD – di realizzare i punti del nostro programma, perché c’è un’emergenza sociale da risolvere e questa sarà la nostra unica missione in Parlamento: avere un effetto positivo e tangibile sulla vita delle persone. Anche in questo, c’è da imparare da Salvini e dai 5Stelle: non si pongono né contro né assieme agli altri partiti, mai gli ho sentito dire chiedere il voto per fare da argine alla sinistra. Hanno un’idea di paese e vogliono convincere gli elettori che hanno una proposta che cambia la loro vita in meglio. Facciamolo anche noi, forti di un’idea di Paese diversa, che parla di emancipazione e uguaglianza.

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