Renzi

La dissoluzione di un elettorato, le periferie e le consulenze dell’Uomo Ragno

C’è una canzone degli 883 che ha caratterizzato l’adolescenza della mia generazione e che narrava della scomparsa dell’Uomo Ragno. L’Uomo Ragno, invece, è ancora vivo e credo stia lavorando come consulente politico del Partito Democratico che in queste ore si sta lanciando in assurdi tentativi di arrampicarsi sugli specchi. Cercare motivazioni locali alla perdita secca di 13 dei 21 capoluoghi di provincia vinti dal centrosinistra nell’ultima tornata elettorale, è davvero difficile. Il PD ha perso due delle prime 4 città italiane. Per non parlare delle decine di comuni minori che hanno risentito del vento nazionale e che sono stati persi dal centrosinistra, che ha visto fuggire verso il Movimento 5 Stelle e verso l’astensione una quota rilevante di propri elettori.

Abbiamo già detto molto sulle ragioni di questa disaffezione. Abbiamo perso per strada milioni di elettori che avevano visto nel Partito Democratico una forza progressista aperta e dinamica, capace di aggregare intorno a sé una coalizione di centrosinistra, cambiando radicalmente la politica di questo paese. Tra questi milioni non ci sono solo i tanto vituperati “gufi della minoranza dem“, ci sono elettori che avevano creduto in Matteo Renzi e che sono rimasti delusi dalla scelta politica di governare – senza passare dal voto – con il centrodestra e cambiare le alleanze sociali smettendo di parlare al popolo della sinistra. Sono stati presi i simboli della sinistra e sistematicamente sono stati messi in discussione con il chiaro obiettivo di spostare l’asse politico-elettorale di riferimento.

Eliminare l’imposta sulla prima casa – anche per gli immobili di valore – e sostituire le risorse mancanti per i comuni con trasferimenti finanziati da imposte sul lavoro e sul reddito, non aiuta i più deboli. Non è a favore di chi vive nelle periferie ridurre i servizi perché scompare l’autonomia impositiva locale. All’elettorato di centrosinistra non è gradita la privatizzazione dei servizi pubblici municipali, né il conflitto costante con il mondo della scuola.

Perdere 100 mila voti a Torino in 5 anni sembrava una missione impossibile. Nessun dato locale e nessun errore di Piero Fassino possono giustificare un simile risultato. Non è giustificato dallo scandalo di Roma-capitale il fatto che Virginia Raggi incassi quasi il 70% dei voti e vinca soprattutto nelle periferie. Non si giustifica la sconfitta nei due capoluoghi di provincia al voto in Friuli Venezia Giulia, la Regione conquistata 3 anni fa da Debora Serracchiani. Non si motiva il sostegno pubblico di parte del PD al candidato della destra a Napoli, così come il drastico crollo di consenso in diversi comuni ben governati dell’Emilia-Romagna.

Temo che gli appelli rivolti al premier-segretario perché cambi la propria rotta cadranno nel vuoto. La strada dell’Uomo Ragno, quella dell’arrampicata sugli specchi per affrontare con una rapida sepoltura i risultati di queste elezioni e chiamare alle armi il popolo del PD in vista del referendum, sembra essere già tracciata. Sentiremo riproporre la retorica della rottamazione, ci diranno che bisogna eliminare i sessantenni rimasti in politica per cambiare le cose e che dovremo essere ancora più convinti del lavoro che il governo sta facendo.

A questa retorica dovremo rispondere con incontri a microfono aperto, in cui unire tutti gli elettori democratici che vogliono un cambiamento. Riaprire i circoli, chiedere che il Partito torni a fare la propria parte. In tutta Europa l’adesione delle forze socialiste alle scelte di austerità ha aperto la strada a nuove forze politiche che da sinistra e da destra hanno messo radicalmente in discussione gli equilibri esistenti. Ciò é avvenuto in Austria, Regno Unito, Francia, Spagna, Grecia. A tutto ciò non possiamo rispondere con vecchie proposte liberiste, pensando che la vittoria alle elezioni – come negli anni ’90 – si giochi con le alleanze al centro.

Virginio Merola, rieletto Sindaco di Bologna, ha dichiarato di voler ripartire dalle periferie ed ha chiesto a Matteo Renzi di ricostruire il Partito. Sono d’accordo con lui. Volendo rileggere il significato etimologico di periferia (“portare fuori“), esistono tante periferie possibili: quelle delle grandi città, quelle di chi è escluso dal mondo del lavoro, quelle di chi non vede riconosciuti i proprio diritti, quelle dei ragazzi che vedono negate le proprie aspirazioni, quelle distanti dalla tutela dell’ecosistema.

Un Partito Democratico che appartiene alla famiglia socialista europea, se dimentica le periferie non é un Partito, non é Democratico e non é socialista.

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