Spalle al futuro1

Un grande avvenire. Dietro le spalle

Tira una bruttissima aria e il meteo politico annuncia un deciso peggioramento della situazione. E’ difficile fare un elenco dando un ordine di priorità negative alle innumerevoli scelte che il governo in carica ha adottato.

Da dove cominci? Dal “decreto sicurezza”? Perché, una legge di bilancio che rischia di farci precipitare nel baratro finanziario è meno dannosa e importante? E la gestione dei flussi migratori? E l’odio che serpeggia nel Pase di cui si sono fatte subito interpreti e veicolatrici le peggiori e violente formazioni neofasciste, sdoganate e oggettivamente protette da colui che istituzionalmente avrebbe dovuto combatterle, se non reprimerle? E le balle che quotidianamente ci vengono propinate su “quota 100” e reddito di cittadinanza, annunciate come misure che dovrebbero porre rimedio e iniquità e ingiustizie sociali e, per come sono state concepite, le aggraveranno? Si potrebbe continuare ancora a lungo e alla fine dell’elenco porsi una domanda:
vista la gravità della situazione è moralmente accettabile in questa fase rinunciare alla militanza e all’impegno personale? No, probabilmente non lo è. Confesso, però, una cosa: ne avrei tanta voglia.

Ho fatto un rapido calcolo. La mia prima tessera da militante l’ho presa nell’ottobre del 1975. Tessera della FGCI firmata dall’allora segretario Renzo Imbeni. Complice il fatto che avessi iniziato le elementari a cinque anni, in luogo dei canonici sei, avevo tredici anni e mezzo. Sono prossimo al mio cinquantasettesimo compleanno che, sommato ai quasi 44 anni di impegno politico continuo e continuativo, fanno centouno. Sì, ho superato la mia personalissima quota 100 e potrei politicamente pensionarmi. Il che non significa rinunciare al proprio dovere civico di discutere e di votare; non significa abbandonare la propria area di riferimento, di appartenenza, quella sinistra senza la quale probabilmente non saprei vivere. Significa semplicemente non essere più attore e, soprattutto, complice di tutta quella miseria politica che la sinistra (o il centro sinistra, con o senza trattino. Insomma, chiamatelo come vi pare) sta producendo in questi ultimi mesi. Anzi, in questi ultimi anni. Una miseria speculare a quella della maggioranza di governo e altrettanto dannosa, perché non riesce a trovare il bandolo della matassa di una reazione credibile ed efficace.

Ho già scritto più volte quanto i vuoti appelli all’unità siano inutili. Si sta insieme, si resta uniti, quando si hanno valori e (sdoganiamolo sto termine) ideologie condivise. Laddove su alcune questioni, penso a quelle sociali innanzitutto, la visione e le proposte sono differenti è utile, prima ancora che giusto dividersi e costruire qualcosa di diverso e politicamente coerente.

Oggi, però, siamo alla vigilia di un appuntamento che la drammatica contingenza politica rende storico: le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Diciamoci la verità, questo appuntamento negli anni passati è stato colpevolmente sottovalutato. Il Parlamento di Strasburgo (la prossima scatoletta di tonno che i fratelli De Rege 2.0 vorrebbero aprire, se non abrogare del tutto) era considerato il premio alla carriera di questo o quel politico, di questo o quell’amministratore. Detto di una Istituzione, l’Europa, da cui massimamente dipende il destino di ognuno di noi, mi sembra una sottovalutazione non da poco.

Il quadro che oggi abbiamo difronte è angosciante. Da un lato i paesi del cosiddetto “Patto di Visegrad”, quelli dell’ex est europeo (“ex est” inteso come riferimento al fu blocco sovietico. Non vorrei che i terrapiattisti la interpretassero come una sorta di deriva dei continenti) che hanno dell’Europa una visione tanto singolare quanto inaccettabile: beneficiano degli enormi vantaggi di natura finanziaria, non ne accettiano i pochi obblighi. Vedi alla voce immigrazione e dumping sociale. Paesi perlopiù governati da forze di destra con pericolose inclinazioni illiberali. Dell’Austria non ne parliamo. In Germania gli eredi della Merkel sono tentati dall’accogliere posizioni populiste e al limite del razzismo. In sostanza, non disdegnerebbero in Europa un asse con le forze di destra. Macron in Francia, al netto delle enormi difficoltà politiche in cui versa, fa l’europeista con il fondoschiena degli altri. Quadro che appare ancora più preoccupante alla lettura dei sondaggi che, se non vi saranno rilevanti novità, prevedono un trionfo per le forze antieuropeiste, xenofobe e populiste.

Difronte a cotanto poco rassicurante scenario, la sinistra, i liberal democratici, i cattolici progressisti che fanno, che propongono? Nulla. Siamo in presenza del “vuoto cosmico” avrebbe chiosato Alessandro Haber (cit. “I Laureati”). Nessuna strategia ma un florilegio di tatticismi. Tutti in attesa delle primarie del 3 marzo che – forse – ci diranno chi sarà il prossimo segretario del PD per decidere se restare o uscire. O rientrare. Faccio una previsione: il prossimo segretario del PD sarà eletto in Assemblea Nazionale e sarà Maurizio Martina. Borda, direbbero in Toscana, a rifare e rivedere tattiche! Tanto per non farsi mancare proprio nulla, pare che ciò che resta di LEU si riunirà in congresso a marzo per dar vita ad un nuovo soggetto politico, orfano di Art. 1 ma, in compenso, avendo recuperato Fratoianni di cui da tempo ho smesso di cercare di capire orientamenti e strategie. A dire il vero non ho mai cominciato, diciamo. Ciò che resta di Art. 1 – MDP, che contende pericolosamente a “Possibile” di Civati il triste primato di far coincidere a livello numerico il gruppo dirigente con la base, ha deciso di non disturbare ed educatamente ascolta in assoluto silenzio. A Roma come a Bari.

Ha tentato Carlo Calenda di gettare un sasso nello stagno con la sua piattaforma, web e politica, “siamoeuropei”. Si sono alzate una selva di critiche, più o meno autorevoli e più o meno legittime. Nessuno di coloro che ha criticato, ha proposto qualcosa.
Sommersa di critiche anche la scelta di Enrico Rossi di sottoscrivere il manifesto di Calenda. I più benevoli l’hanno definita improvvida. Non è stata affatto una scelta improvvida, è stata una scelta generosa. La generosità è uno dei tratti che distingue le scelte di Rossi. Generosità che, personalmente, gli ho rimproverato spesso e in buona compagnia (per approfondimenti sulla questione, chiedere a Peppino Caldarola). Ma, devo riconoscerglielo, l’unica scelta che andava fatta. L’unica scelta squisitamente togliattiana (rileggiamolo, ristudiamolo) che la situazione imponeva e impone.

Certo, poi ci si è messo proprio Carlo Calenda a ricordare a tutti noi che è probabilmente un buon manager ma sicuramente un pessimo politico. Perché un politico degno di questo nome, quando chiama all’aggregazione per qualcosa e contro qualcuno, non si mette a dare pagelle; non fa l’insopportabile primo della classe che segna alla lavagna buoni e cattivi. Perché i cattivi, magari, non avevano e non hanno alcuna intenzione di sostenerti e non speravano in tanta grazia, in tanto immenso favore.

Qualche “buono”, come chi scrive, deluso decide di uscire, tornare a casa e guardare dalla finestra ciò che accade. Perché c’è per tutti un punto di caduta, c’è per tutti un momento in cui ti rompi le balle e decidi che la tua fatica la indirizzi altrove e per altro. Sia chiaro, non è certo Calenda la causa della mia scelta. Casomai è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Durante le ultime elezioni politiche, quale “candidato di servizio”, ovunque mi recassi per la campagna elettorale, i miei interventi cominciavano con le scuse nei confronti di chi mi ascoltava. Scuse, per un uomo di sinistra, di non aver opposto una seria resistenza alla deriva liberista della mia parte politica. Scuse perché
l’eliminazione delle tutele sul lavoro, la sottovalutazione di nuove forme di vero e proprio sfruttamento, le crescenti ingiustizie sociali, erano anche colpa mia.

Quindi, è responsabilità anche mia se oggi ci ritroviamo con Salvini & co. Ma sembra che questa responsabilità non voglia essere condivisa da nessuno. Continuiamo a guardarci narcisisticamente l’ombelico mentre quegli altri ci fanno il mazzo. Bene, se si riuscirà a tirar fuori qualcosa di nuovo e decente, riesco di casa. Nel frattempo guardo, interessato ma, almeno, seduto comodamente in poltrona.

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