Rosa Fioravante

Le Fondamenta non sono (state) il retrobottega della “sinistra”

Le fondamenta di un programma politico non sono (state) il retrobottega dei litigi della sinistra. Questo è il primo dato che emerge dalla Conferenza di Milano di Articolo Uno. Non a caso il clima che vi si respirava è stato perfettamente sintetizzato da De Angelis sull’Huffington Post nell’osservazione: “un popolo, uscito dal Pd, che vorrebbe compensare con emozioni e passioni forti la rinuncia a cariche e rendite di posizione“. Insomma, tutto il contrario di una scissione per i posti. Ma senza neanche la rinuncia ad essi e al cambiamento della realtà. Articolo Uno non è ancora nato come partito con una dirigenza democraticamente eletta e, quindi, una linea strategica chiara, ma è già difronte ad un bivio. La sua platea di militanza e interesse “spontanea” è composta da quelle persone che votavano PCI-PD-DS-PD-Fino-a-Renzi. Sono molte, 400mila, 500mila? Ma non sono abbastanza. Milano era innanzitutto la loro festa perché, come ha ricordato nella sua relazione introduttiva Alfredo D’Attorre, “scindersi dalle cose sbagliate è il presupposto indispensabile per fare quelle giuste”. C’è chi ha definito le speranze, i valori, le aspettative e gli interrogativi di queste persone “teatro dell’assurdo”, forse non comprendendo a pieno come la rottura di uno dei più grandi partiti del PSE sia probabilmente l’evento capitale di rimessa in moto del panorama italiano. Tuttavia, per non sprecare il momento e lo sforzo e provare ad attrarre il consenso di qualcuno che stia al di fuori della platea mossa da motivazioni “sentimentali”, la quale si identifica spontaneamente con “i comunisti, le loro mura, il loro popolo, i loro dirigenti”, serve innanzitutto decidersi.

Innanzitutto decidersi sul modello di sviluppo e sull’idea di Italia che si vuole proporre al Paese. Deve essere questa, non il rapporto con il governo, la differenza con la “sinistra di mera rivendicazione” che balbetta di fronte alla responsabilità del governo dei conflitti e del tessere relazioni politiche che inverino quel ripensamento del sistema che pure è presente. Articolo Uno è imbevuto di cultura di governo ma deve decidere per fare che cosa? Deve essere questa, non la maggiore affabilità dei dirigenti, la differenza con il Partito Democratico. Su quest’ultimo, bisogna aver il coraggio di ammettere che esso ha assunto, fin dalla sua nascita, il potere per il potere come vocazione e ha sostituito alla costruzione di maggioranze sociali la fittizia vocazione maggioritaria nelle istituzioni, fungendo da perno iper-sistemico e del tutto compatibile con la globalizzazione neoliberista, finendo per consegnare ogni istanza di cambiamento e di rinnovamento ai grillini e alle destre. A Fondamenta ho provato a dire che in primo luogo bisogna, quindi, concentrarsi sulla seconda parte dell’Art. 3, non limitandosi più solo ad enunciare la prima parte che stigmatizza le discriminazioni, ma ad attuare l’indicazione della seconda parte: è la Repubblica a garantire la rimozione degli ostacoli per assicurare a tutti la libertà di realizzarsi e partecipare alla vita pubblica. Fino ad ora la sinistra si è limitata a bearsi delle proprie parole d’ordine di tolleranza e condanna, ma non ha fatto nulla per incidere realmente nell’implementazione di un programma socialista di uguaglianza e giustizia reale. Così, i ceti popolari l’hanno percepita come una parte politica distante, snob, autoreferenziale. In secondo luogo bisogna iniziare a dire la verità: il pareggio di bilancio va eliminato dalla Costituzione; è una norma economicamente stupida perché impedisce la crescita ed è eticamente riprovevole perché impedisce di avere sanità, istruzione, welfare, cura dell’infanzia e della senilità gratuite e universali per tutti e tutte. Solo due esempi di una vera e propria rivoluzione copernicana culturale necessaria alla sinistra per colmare il gap che si è aperto e si allarga sempre di più fra elettori delle classi medie e popolari da una parte e ceto politico della sinistra dall’altra.

Nella foto: Il pubblico di Fondamenta

Quindi il Che Fare. Articolo Uno è per un grande programma di riconversione energetica e la messa in sicurezza del territorio o per tenere l’ambientalismo come una spruzzata di verde di facciata? Si sostiene una radicale redistribuzione del reddito e della ricchezza o la riproposizione della banale – ormai ce la chiede persino l’Europa – tassa sulla casa? Si immagina la permanenza senza se e senza ma nell’Europa di Maastricht o un lavoro di costruzione di un fronte di ridiscussione dalle basi delle regole di un’Unione che i tedeschi, dopo averne vampirizzato lo sviluppo, stanno per disfare in quanto non sostenibile? Tre temi sui quali bisogna decidersi. Se ci si vuole riconnettere alla parte di società più in difficoltà è necessario legarsi a tutte quelle vertenze ambientali che percorrono il nostro paese, ai comitati che resistono al degrado delle periferie, e trasformare queste esperienze da linfa grillina in stile “not in my backyard” a coscienza collettiva di rivendicazione di un sistema differente. È così che ci si radica nel territorio. Allo stesso modo, lasciare la critica della globalizzazione, delle élites coltissime e cosmopolite che se ne avvantaggiano a scapito di tutti gli altri, alle destre, significa abbandonare ogni velleità di consenso fuori dal vecchio perimetro del centrosinistra, oggi idoneamente abitato da Renzi e dai centristi (sul modello del macronismo francese) poiché estensori di politiche che garantiscono proprio quella porzione di società già avvantaggiata.

Serve Consapevolezza. Fuori dal perimetro del vecchio centro-sinistra la società non è né politicizzata (nel senso dell’interesse alle dinamiche politiche, della conoscenza delle dottrine del pensiero politico, della coscienza della propria condizione individuale come parte di una questione collettiva), né facilmente politicizzabile (nel senso di coinvolgibile in dinamiche di sana democrazia rappresentativa, di disciplinabile alle esigenze della tattica e della strategia, di appassionabile alle divergenze fra e nei soggetti politici). Questo significa che la scelta di perseguire una via alternativa a quella della sinistra-da-salotti è, innanzitutto, coraggiosa e dolorosa: bisogna rinunciare a molte certezze, a un certo numero di richiami identitari e i frutti si vedranno a distanza di qualche tempo, come accade nell’Inghilterra di Corbyn, nella quale, pur in odore di perdita delle prossime elezioni, ha salvato il Labour da morte certa e ne ha enormemente aumentato i tesserati e i consensi e come è accaduto negli USA, in Spagna, in Grecia, in Francia.

Quindi il Come Farlo. A Fondamenta si è discusso di quasi tutti questi punti ed è per questo che è stato, appunto, un momento fondamentale. Ma il Parlamento ribolle e le elezioni si avvicinano, e, colti dal turbinio degli eventi, esiste il rischio di avanzare dimenticando la decisione madre di tutte le decisioni: quale è la parte di società che Articolo Uno vuole attrarre? Il ceto medio-alto urbano educato dei centri città o gli abitanti delle periferie? Soggetti già politicizzati o giovani per lo più spoliticizzati? Lavoratori tradizionali o lavoratori atipici (cioè i nuovi “tipici”)? I “garantiti” o i “non garantiti”?

Evidentemente non tutte queste categorie sono in rigida opposizione fra loro, ma bisogna decidere su quali concentrarsi prioritariamente, perché le fondamenta per una villa non sono le stesse di un condominio o di un grattacielo. Non è un problema che si risolva in una elezione, ma la direzione che si imboccherà cambierà sensibilmente il futuro del Paese. Questa è la vera responsabilità: non quella di fare da colonna portante di un sistema sbagliato e iniquo, ma quella di decidere da che parte stare, perché nessuno può condurre una battaglia sui diritti, sul lavoro, sulla scuola, sull’ambiente, ecc. con la serietà e la forza di Articolo Uno come perno di uno schieramento ampio e plurale di discontinuità. Nessuna federazione può avere successo se non si antepone il che fare al chi e con chi. Mentre avere un’idea di Italia è una condizione necessaria ma non sufficiente alla costruzione di consenso, avere un federatore prima del programma è, in quel senso, un vezzo. Positivo ci sia ma in nessun modo risolutivo. Con la giusta strategia, l’interprete diviene importante ma non determinante; con il giusto interprete ma senza strategia lo spazio politico di 400mila persone è quello nel quale ci si rinchiude.

L’elettore del ceto urbano ricco e istruito sceglierà sempre il PD in funzione “anti-barbari”, martellato dalle amache di Repubblica che legge solo lui e dalla paura dello spread. Ma coloro che sceglieranno di non scegliere, coloro ai quali è importante far capire che è loro interesse scegliere noi, coloro che non ci sceglieranno mai se muoriamo di “responsabilità” e inseguiamo un’agenda neoliberista come nel 2013, sono molti e moltissimi. Sono coloro ai quali non si deve andare a chiedere fiducia ma ai quali bisogna darla: se metteremo in campo una battaglia che valga la pena combattere, loro ci saranno. Insieme a quelle centinaia di migliaia di militanti appassionati, siano loro le nostre #Fondamenta.

Nella foto di copertina: Anna Falcone, Chaimaa Fatihi, Rosa Fioravante a Fondamenta

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