I robot e noi

Per conoscere i Robot: un libro di Maria Chiara Carrozza

Rise of the Robots” (“L’ascesa dei Robot“, di Martin Ford, 2015); “Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro” (di Riccardo Staglianò, ed. Einaudi 2016): sono soltanto due degli ormai numerosi testi – per non dire degli articoli di stampa che continuamente vengono pubblicati su giornali e riviste – che hanno per oggetto “I Robot” ed il loro impatto su vari e cruciali aspetti delle nostre vite, a partire dalle conseguenze che la loro presenza, quella già attuale ma ancora di più quella futura, comporterà sul lavoro, sia manifatturiero che di altro tipo. Un argomento che richiede attenzione e riflessioni da chiunque, a qualunque titolo (sociologi, politici, o anche semplici cittadini pensosi), si occupi delle varie tematiche connesse alla “questione lavoro“: ma stando attenti a non cadere in posizioni sbagliate, come in altre epoche storiche è avvenuto (è noto il fenomeno detto “luddismo“, dal nome dell’operaio Ned Ludd, che all’inizio dell”800 diede luogo a fenomeni di rivolta operaia contro l’introduzione dei telai automatici che falcidiarono i lavoratori tessili che in Inghilterra, soprattutto nell’area di Manchester ma anche altrove, erano numerosissimi). Oggi da qualche parte, e non da ora (esiste addirittura una varia bibliografia in proposito), si assiste all’insorgere di una sorta di “neo-luddismo“, che l’Enciclopedia Treccani definisce come «Posizione ideologica secondo la quale l’’ingresso della tecnologia nella vita quotidiana è portatore di cambiamenti sociali, politici, economici tali da minare le basi stesse della società e dell’’essere umano [……….e quindi] una posizione di resistenza alla tecnologia».

Quando si dice “robot” il pensiero va immediatamente a due tipi di oggetti: quello che abbiamo visto tante volte nelle fabbriche, in documentari cinematografici o televisivi – sorta di sbraccio snodato che avanza, si ritrae, ruota, si innalza per poi riabbassarsi -, compiere operazioni di saldatura o verniciatura o assemblaggio o manipolazione, che fino a qualche decennio fa erano compiute da lavoratori umani, spesso con grande pericolo e con alte esposizioni alla nocività per la salute: sono quelli rientranti nella categoria dei “robot industriali“; oppure una specie di “umanoide” meccanico, dalle movenze un po’ buffe e dalla voce metallica – talvolta oggetto di “fiction” -, che compie questa o quella operazione in contesti non lavorativi: veri e propri “robot di servizio” – una classificazione suscettibile di suddivisioni funzionali specifiche, a seconda del servizio svolto.

Quindi, al sentire la parola ognuno se ne fa una rappresentazione: ma «come si può scientificamente definire un “Robot”, in che cosa realmente esso consiste»? A tale quesito risponde in modo eccellente un libro pubblicato da poche settimane dalla casa editrice Il Mulino: il titolo è “I Robot e noi“, opera di Maria Chiara Carrozza (90 pagg., 10 euro). Va chiarito subito: non è un testo di indirizzo sociologico ma di divulgazione scientifica, anche se percorso dalla esplicita consapevolezza delle implicazioni sociali e perfino umanistiche che gli argomenti in esso trattati comportano. Un testo per molti versi affascinante, perché non solo chiarisce molte cose relative al tema specifico che affronta, ma consente di affacciarsi a realtà ed attività che spesso sono ignote a gran parte del pubblico non specializzato (e non solo a quello, si può immaginare) grazie ad una lettura piacevole, mai noiosa. L’Autrice è una scienziata di grande valore e con eccellenti capacità divulgative (segno che conosce bene le cose di cui tratta e le sa anche spiegare in modo comprensibile, una dote che contraddistingue i buoni insegnanti); è stata Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) con il Governo Letta dall’Aprile 2013 al Febbraio 2014 (ed il confronto con le Ministre che hanno preso il suo posto, nei successivi Governi Renzi e Gentiloni, è a dir poco imbarazzante per le due), ma il suo mestiere abituale, al quale è ritornata dopo la parentesi governativa, è quello di professore ordinario di Bioingegneria industriale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (uno dei luoghi di eccellenza d’Italia, quanto a qualità dell’insegnamento e della ricerca), che ha anche diretto dal 2007 al 2013.

Nella foto: Maria Grazia Carrozza, autrice del libro “I robot e noi”, edizione Il Mulino

Il volume citato, dalle dimensioni incoraggianti anche per il lettore pigro, inizia con una domanda che l’Autrice si pone preliminarmente, partendo dalla consapevolezza delle discussioni che imperversano sul tema: «Viviamo una vera rivoluzione?», si chiede Carrozza riferendosi alle discussioni aventi per oggetto la “quarta rivoluzione industriale“, quella che caratterizza il tempo in cui viviamo. E per rispondere adotta, opportunamente, il metodo del (buon) docente: quello di andare all’origine, di spiegare il senso delle definizioni. Perciò chiarisce che ogni periodo definito di “rivoluzione industriale” è caratterizzato dall’esistenza di “tecnologie abilitanti“, e sono queste a consentire un’organizzazione del sistema produttivo – che ha poi, inevitabilmente, ripercussioni sullo stesso sistema sociale – che non erano possibili in precedenza, quando di quelle tecnologie (che sono la “traduzione applicativa di scoperte scientifiche“, il loro “utilizzo nei processi e nei prodotti“) ancora non si disponeva.

Grazie a questo approccio è possibile la datazione e la periodizzazione delle varie “rivoluzioni industriali” che si sono susseguite nella storia, che vengono nel testo richiamate e descritte: dalla prima (fine ‘700, basata sulla scoperta della macchina a vapore, che all’epoca fu davvero “rivoluzionaria“) alla quarta (quella in cui viviamo, nella quale sono determinanti – e lo saranno sempre più – le acquisizioni molto complesse ed avanzate che caratterizzano la nostra epoca: la robotica, le tecnologie meccaniche additive dette 3D, le tecnologie di telecomunicazione ed il “cloud” che da queste è reso possibile. Termini che richiedono, e trovano, una spiegazione almeno grossolana per i non addetti ai lavori, benché l’uso che se ne fa sia sempre più diffuso). L’Autrice espone che «la robotica è una delle tecnologie abilitanti intorno alla quale possiamo pensare che la rivoluzione [la quarta] abbia luogo», e perciò si propone di «dimostrare perché essa può essere il simbolo di questo passaggio, per cui occorre innanzitutto comprendere cosa è un robot e a cosa serve». Per farlo, premette l’Autrice, «è necessario capire cosa è la robotica», e rimanda – oltre a quanto ne scrive lei stessa – all’esauriente trattazione dovuta agli studiosi Alessandro De Luca e Salvatore Monaco che si ritrova nell’Enciclopedia Treccani. Definiti i fondamenti della disciplina, lo scopo dell’Autrice è quello di individuarne, e brevemente descriverne, i campi di applicazione: per fare questo, è opportuno associare al sostantivo (robotica) un aggettivo che già di per sé faccia intendere i settori di utilizzazione, per poi illustrare con qualche dettaglio – ma non eccessivo, dato l’intento non prettamente scientifico ma generalmente divulgativo che ispira tutto il testo – le caratteristiche principali di ognuno.

La scienziata Carrozza prende per mano i lettori (auspicabilmente tanti) e, con l’abilità e la mirabile chiarezza della docente di qualità, li guida attraverso scenari che molti di loro non immaginano neppure, e che in qualche caso potrebbero sembrare una fiction fantascientifica: ed invece si tratta, come il testo in questione mette bene in evidenza, di realizzazioni già acquisite e tese a sviluppi sempre più estesi e di crescente qualità dei risultati. Si assiste così a quella che l’Autrice definisce «la “migrazionedei robot – o meglio delle tecnologie robotiche – dalla produzione industriale al terziario e ai servizi», il che rappresenta un processo di progressiva «socializzazione della robotica». Le tappe di questo viaggio per molti versi incantevole sono così anticipate: «l’uscita dei robot dalle fabbriche, il loro ingresso negli ambienti specializzati (come l’ospedale o la sala operatoria), gli strumenti dedicati a svolgere particolari compiti, come estensioni delle mani dell’operatore e le interfacce che permettono all’operatore di controllare o teleoperare l’attività dei robot»; che significa passare, come detto in precedenza, dalla robotica industriale a quella dei servizi ed a quella sociale fino alla «“robotica dentro di noi”», quella che – tratteggiata con stupende e chiarissime descrizioni da questa grande divulgatrice, oltre che scienziata – «attraverso la bionica e le neuroprotesi [termini chiaramente spiegati nel testo] riesce non solo a impiantarsi nel nostro corpo, ma anche a dialogare intimamente con il nostro cervello».

Tutto questo richiede, ed anzi pretende, prima di tutto uno sforzo di comprensione e poi il coraggio dell’abbandono di modelli socio-economico-culturali (ma anche politici, sindacali, e così via) che appartengono ad altre epoche. Maria Chiara Carrozza ne è lucidamente consapevole: «Le tecnologie descritte in questo libro possono sconvolgere il nostro modello di società, trasformare o cancellare i posti di lavoro, entrare in contatto con la nostra intimità cognitiva e, dunque, sono necessari approfondimenti e studi per le implicazioni e le conseguenze sociali e umane. Ritengo che sia cruciale anche uno sforzo filosofico e umanistico che accompagni questi progressi e ci aiuti a interpretarne l’impatto sulla società e sull’umanità…………..Essere progressisti, nel bel mezzo della rivoluzione robotica, vuol dire acquistare consapevolezza attraverso lo studio, la diffusione della cultura, la discussione in modo aperto di queste tematiche».

L’Autrice svolge egregiamente, in questo “aureo libretto“, la parte che le compete, senza pretese di invadere quei campi (altrui) ai quali si è accennato in precedenza: ma sembra anche rivolgere un monito, o quantomeno una bonaria ma ferma raccomandazione, affinché ognuno si dedichi con mente sgombra alla riflessione sulle conseguenze di quelle tematiche, senza restare pervicacemente attaccato a schemi e modelli inadeguati alle nuove realtà. Questo testo è consigliabile a tutti: al classico “uomo della strada“, per meglio capire la realtà che lo circonda e gli scenari che, già aperti, inevitabilmente (ed in moltissimi casi auspicabilmente, per i benefici che comporteranno) ci attendono; a coloro che operano nel sociale o nella politica, perché ne traggano opportune indicazioni per le loro strategie di intervento; ed anche – e certamente in parte non minore, data anche la posizione di colei che lo ha scritto – ai giovani e giovanissimi, che possono trarne suggerimenti incentivanti (c’è da sperarlo) su possibili ed assolutamente affascinanti campi di studio a cui dedicarsi.

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