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Tanto tuonò che non piovve. Almeno per ora. Salvini non apre la crisi e con Di Maio prova a ricucire

La crisi (almeno per ora) non si è aperta. Perchè non basta gridare che la fiducia anche personale si è consumata, e che non resta che il presidente della Repubblica prenda atto che deve sciogliere il Parlamento e andare al voto. Perchè si concretizzi questo percorso è necessario che qualcuno (in questo caso Salvini) si prenda la responsabilità di aprire la crisi. Cioè ufficializzare in Consiglio dei ministri che il partito della Lega, in testa e in crescita in tutti i sondaggi, ritira i suoi ministri e rimette la questione nelle mani del capo dello Stato.

Eppure questo annuncio, lasciato intendere dalla tempesta di giovedì sera accompagnata da tuoni, fulmini e mongibelli, il ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio ha preferito non farlo: anche ache a costo di mostrarsi (come ha fatto) indeciso a tutto. E allora ecco una precipitosa e non particolarmente elegante retromarcia. La fiducia, almeno in Di Maio resta. Magari sono alcuni ministri (in particolare quello della Difesa e quello delle Infrastrutture) che con i loro no indeboliscono il Governo. Ma allora potrebbe bastare un rimpasto. O anche di questo se ne potrebbe fare a meno. E così si torna per strade già percorse. Con il capo della Lega e quello dei cinquestelle pronti a ricominciare a discorrersi. Su tutto: a cominciare dalle autonomie speciali delle regioni del Nord. Poi si vedrà.

Quanto alla propaganda Salvini riprende a tirar fuori i vecchi slogan fatti di insulti alla capitana della Sea Watch, perchè lui “quella comunista tedesca” la vuole cacciare dall’Italia. Per il resto tutto torna negoziabile purchè le cose si facciano. Vedremo a partire da questo pomeriggio e dalle riunioni e vertici già annunciati.

Certo, ci potrebbe essere un’altra spiegazione, o magari soltanto una spiegazione aggiuntiva alla improvvisa cautela del capitano leghista dinanzi all’ultimo passo. Vale a dire all’apertura formale della crisi. Vuoi vedere che un po’ c’entra anche il Russiagate che si va via via ingrossando con le preannunciate nuove rivelazioni del “L’Espresso“? Magari Salvini che, al di là degli insulti e delle invettive, è persona accorta, preferisce affrontare le prossime insidie, da ministro e vice presidente del Consiglio di un Governo non ancora in crisi. E allora, forse, meglio fermarsi un momento, anche a costo di ricorrere a quei tanto vituperati metodi della politica fatta di vertici, riunioni, e verifiche.

Tutto questo vuol dire che la crisi di governo è definitivamente scongiurata? Niente affatto. Perchè, anche se dovesse chiudersi (ed è questione di ore) quella finestra per votare più agevolmente in autunno, se ad un certo punto il Governo si trovasse senza maggioranza in Parlamento la crisi sarebbe inevitabile. Ed entrerebbe in campo il Quirinale e non solo.

Quello che però non si può fare è chiedere scioglimento e voto senza aprire formalmente la crisi. E qui va ricordato che anche se si aprisse formalmente, la soluzione della crisi sarebbe nelle mani di due protagonisti: il presidente della Repubblica e la politica. Mattarella, infatti, sarebbe tenuto a verificare con le forze politiche se sono possibili o meno maggioranze in Parlamento. E i partiti, anche se si dichiarano del cambiamento, non potrebbero sottrarsi a questa istruttoria invocando il voto comunque. Naturalmente sullo sfondo c’è la questione dei nostri conti pubblici del fatto che abbiamo appena evitato una procedura di infrazione e che c’è una difficile e dura Finanziaria da scrivere. E che a queste incombenze il governo in carica non potrà sottrarsi neanche gridando: “Al voto, al voto“. Quanto alle minoranze queste dovranno apprestarsi a fare politica, confrontandosi a tutto campo con tutti, per vedere se saranno o meno in grado di costruire un’alternativa.
Questo lo stato dell’arte. Sarà comunque un’estate calda con o senza la crisi.

Foto in evidenza: Luigi Di Maio e Matteo Salvini

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