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100.000 assunzioni, costo due miliardi. E la PA cambierebbe volto

Il primo blocco di decreti attuativi della riforma della Pubblica amministrazione, varato di recente, ha riportato alla ribalta alcuni aspetti strutturali della complessa macchina pubblica italiana, sfatando miti e leggende che permangono sui dipendenti pubblici italiani.

Iniziamo con alcune cifre: quindici anni fa l’età media dei dipendenti pubblici era di 43 anni e mezzo, nel 2014 era aumentata a 49,2 anni e ora supera i 50 anni (un record europeo). Solo lo 0,9% dei 3.200.000 impiegati pubblici è oggi sotto i 25 anni, contro il 5% di Francia e Regno Unito. Il 7% si colloca nella fascia tra 25 e 34 anni (oltre il 20% negli altri paesi), la maggioranza è ovviamente rappresentata da over 50.

Un settore fermo dal 2007, per effetto del lungo blocco del turn over, che invecchia inesorabilmente, anche a causa dei minori pensionamenti dopo la riforma Fornero, e la cui obsolescenza rappresenta il principale freno alla modernizzazione della macchina pubblica.
Nonostante la riduzione del numero degli addetti, a causa del calo del PIL post crisi, non si è ridotto il peso degli uffici pubblici sulla spesa. Dal 2008 ad oggi, infatti, il costo dei dipendenti pubblici è stabile in rapporto al PIL (10,9% nel 2007, 10,6% in base ai dati più recenti): un risultato in pratica nullo, nonostante il blocco contrattuale e le assunzioni col contagocce.
Oggi lavorano nel pubblico il 15% circa degli occupati, contro il 20% della Francia, il 25% della Gran Bretagna e il 35% nei paesi del Nord Europa a Welfare avanzato.
Il numero dei dipendenti pubblici italiani, secondo i dati della Ragioneria Generale, si è progressivamente ridotto, dai 3.436.000 del 2008 ai 3.253.000 del 2014. La riduzione reale è, però, più alta di alcune decine di migliaia di dipendenti poiché, nel corso degli anni (nel 2014 in particolare), sono stati inseriti nella rilevazione gli addetti di numerosi enti e partecipate che in passato non avevano inviato i dati

Della contrazione, risentono maggiormente i Comuni, specie quelli piccoli e medi, bloccati da interpretazioni della disciplina sul contenimento della spesa contraddittorie. In pratica, agli enti che registrano una riduzione della spesa corrente superiore a quella del personale, cioè a quelli più virtuosi, viene vietato di assumere le professionalità necessarie al loro funzionamento (es. ragioniere o tecnico comunale, personale stagionale per i Comuni a vocazione turistica).

Vittima principale dell’austerità sono come sempre, i giovani, delle cui sorti ci si angoscia a parole, ma che, di fatto, vengono marginalizzati ancor più di quanto imporrebbe la crisi.

Il blocco della contrattazione ha fatto sì che i nostri dipendenti pubblici costino adesso della media europea, anche in rapporto agli abitanti.
In altri paesi, ad esempio in Inghilterra, gli addetti alla PA sono stati ridotti più che da noi, anche privatizzando alcuni servizi e riformando intensamente le partecipate, ma guadagnano mediamente molto di più che i nostri.
In Francia, durante la crisi, si è registrato un aumento di oltre il 10% degli stipendi, finanziando la relativa spesa col deficit pubblico, da anni superiore al 3%, il che ha contribuito a far crescere il loro debito al 100% del PIL (come il nostro ai tempi degli ultimi “risanatori”, Prodi e Padoa Schioppa).

In questo quadro poco confortante, i privilegiati resistono ancora: spiccano i dipendenti della Presidenza del Consiglio e quelli di alcune Regioni autonome (Valle D’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige) che hanno visto i loro stipendi medi crescere, andando in controtendenza rispetto a tutti gli altri.
La nostra Pubblica Amministrazione va comunque portata al passo dei tempi che cambiano, per renderla efficiente e per informatizzare servizi, procedure e controlli (si pensi nella giustizia al processo telematico, ai controlli sulla spesa medica e farmaceutica, a un fisco più gentile e al servizio dei cittadini, senza gli errori e le ansie, ad esempio del 730 “semplificato” di quest’anno e delle continue scadenze fiscali).
Occorre pertanto procedere a un graduale rinnovo della compagine pubblica.
Meno giuristi e più economisti, matematici ed ingegneri. In grado di padroneggiare l’informatica. L’informatica che, assieme alla lingua inglese, rappresenta il modo migliore di esprimersi degli specialisti utili alla nuova PA, e che consente di lavorare in rete. Non basta infatti solo accrescere i livelli di funzionamento e l’efficacia dell’operare della PA; è anche necessario introdurre modelli capaci di superare l’approccio, ancora prevalente, di natura burocratica e verticale.

Va ripristinato, quindi, un adeguato e mirato turn over, riaprendo i concorsi per l’assunzione nel settore pubblico per almeno il 3% annuo della compagine. Centomila assunzioni all’anno per ringiovanire e modernizzare la burocrazia italiana.

Il costo non è neanche eccessivo: un nuovo assunto di buon livello, nel settore privato, costa 31 mila euro, comprese imposte e contributi. Per il settore pubblico le imposte sul reddito e quelle indirette generate dagli stipendi rappresentano, in buona sostanza, una partita di giro. Pertanto una stima di ventimila euro l’anno di costo netto per ogni nuovo assunto può essere considerata abbastanza corretta. Due miliardi all’anno, quindi, per dare una prospettiva a centomila giovani preparati, sono un costo sopportabile anche per le magre finanze italiane; due miliardi che, se investiti, per prendere i migliori prodotti della scuola e delle università, possono rappresentare un investimento ad alto rendimento anche in termini di PIL.
Una amministrazione efficiente, vicina al cittadino ed alle imprese, è infatti uno dei fondamentali stimoli allo sviluppo.

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