Ho letto con molta attenzione ed interesse l’ultimo numero della rivista “Italianieuropei” (a proposito, vi invito ad acquistarlo e non solo perché c’è un mio articolo). Due sono gli interventi che qui intendo riprendere, quelli di Alfredo D’Attorre e di Roberto Speranza. Entrambi mi hanno colpito, oltre che interessato. Ma soprattutto mi hanno preoccupato. L’analisi della sconfitta del 4 marzo è sostanzialmente identica. Prospettive e orizzonte, sostanzialmente diversi. Qui sta la preoccupazione, perché sono esponenti di un’area che si accinge ad avviare un percorso per la formazione di una nuova forza politica, evoluzione di Liberi e Uguali, e non è propriamente un buon viatico leggere passaggi politici fondamentali in maniera così diversa.

La preoccupazione principale di D’Attore è quella di una sinistra che ha stigmatizzando alcuni tratti che hanno caratterizzato, e caratterizzano, Lega e 5Stelle senza invece coglierne la portata positiva. Con la sua tesi, che privilegia l’etimologia alla sostanza politica e culturale, ci avverte che populismo, sovranismo, protezionismo hanno, appunto, la loro radice in popolo, sovranità, protezione, termini storicamente cari alla sinistra. Sul secondo, sovranità, D’Attorre richiama l’attenzione su quella popolare che è scolpita nell’art. 1 della Carta Costituzionale. Come può una forza di sinistra, che assume la Costituzione come bussola del proprio agire politico visto il nesso strettissimo tra autodeterminazione democratica e diritti del lavoro, sottovalutare questo aspetto? Un nesso, spiega D’Attorre, “che i ceti popolari avvertono essere stato strappato e la cui riaffermazione affidano alle forze cosiddette populiste. Esprimono un nuovo bisogno di comunità e di protezione, chiedono un potere democratico che torni a rispondere alle loro esigenze e non solo alle compatibilità fissate dall’Europa e dalla finanza globale”.

Gran parte della sinistra, denuncia ancora, dopo il crollo del socialismo reale ha trovato nell’europeismo una sorta di nuovo mito fondativo. E’ tempo allora, conclude D’Attorre, di un europeismo costituzionale. Il che è un netto passo avanti rispetto al “sovranismo costituzionale” evocato da altri a sinistra, ma che sostanzialmente non smentisce cercando, piuttosto, di accoglierlo.
Ho davvero sincera stima per Alfredo D’Attorre ma questo mi sembra più il tentativo di tenere dentro in qualche modo nel nuovo e annunciato “Partito” posizioni oggettivamente inconciliabili, piuttosto che una convinta analisi di ciò che è successo e delle prospettive che a sinistra si pongono.

Infatti molte sono le obiezioni che possono essere mosse al suo ragionamento.
Innanzitutto, e non è solo un aspetto tecnico-giuridico ma squisitamente politico, una forza che si richiama alla Costituzione non si ferma all’art. 1 ma, scorrendo la stessa, arriva all’art. 11 (e siamo ancora nell’alveo degli immodificabili “Princìpi fondamentali”) dove è sancito che l’Italia(…) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni (….)”.
Temo, inoltre, che i ceti popolari con il loro voto, che segue da un punto di vista della sua lettura politica quello espresso al referendum costituzionale, non chieda un “potere democratico” ma un “potere comunque espresso” che dia risposte immediate alle proprie paure. Di più, questa richiesta non proviene solo dai ceti popolari ma è socialmente trasversale ed arriva anche dagli imprenditori che operano nel mondo dell’economia reale, dal ceto medio devastato dalla crisi, dai pensionati, dai precari e dai giovani dal futuro incertissimo. Non si spiegherebbe altrimenti il consenso alle proposte reazionarie e antidemocratiche di Salvini in questi giorni.

Così come mi sembra parziale la lettura di una sinistra di ispirazione marxista che dopo la caduta del Muro riscopre all’improvviso l’ europeismo non avendo più alcun punto di riferimento ideologico e valoriale.
Dalla metà degli anni ’70 in poi, l’impegno europeo della segreteria Berlinguer non rappresenta uno tra i tanti fronti internazionali ma caratterizza e influenza tutta l’azione politica del PCI che culminerà con l’impegno nel cosiddetto “Progetto Spinelli”, ossia del Trattato istitutivo di un’Unione europea con marcate caratteristiche federali che viene adottato dal Parlamento europeo nel 1984. E che quella sinistra credesse fermamente nella costruzione di una nuova Europa è testimoniato ancor prima dall’elezione dello stesso Altiero Spinelli nel primo Parlamento europeo nel 1979. Siamo ancora molto lontani dalla disgregazione del socialismo reale.
Un’Europa diversa, molto diversa, sì ma senza indulgere verso posizioni che ci allontanerebbero ancora di più da quella che lo stesso D’Attore chiama “l’utopia di Ventotene”. Sta proprio qui il difficile compito della sinistra italiana ed europea: tradurre in realtà un’utopia. Dannatamente difficile ma non impossibile in partenza.

Di contro Roberto Speranza sull’argomento “Europa” assume una posizione netta.
“L’Europa resta la nostra prospettiva strategica e non dovremo mai rassegnarci al bivio o questa Europa o nessuna Europa” . Guai, ammonisce, ad aprire a sinistra una nuova stagione di subalternità al sovranismo.
Si intuisce che Speranza chiuda le porte a qualsiasi declinazione di sovranismo in qualsiasi modo camuffato e spero che questi aspetti siano chiariti prima di dicembre, perché un partito in cui sia presente anche un solo “ma anche” sarebbe, la storia recente insegna, destinato alla catastrofe.
Ritengo, tuttavia, che non solo Speranza e D’Attorre ma che a sinistra in generale si colga in maniera errata la vera portata del voto del 4 marzo.

Molti dei politici usciti premiati dal voto, e con loro parte dei media nazionali, ripetono che destra e sinistra sono categorie superate. Hanno ragione. Non nell’analisi ma negli effetti. Nel senso che milioni di elettori non hanno scelto i 5Stelle perché proponevano cose che potevano essere considerate di sinistra (reddito di cittadinanza, superamento del jobs act, ecc.) o altrettanti Lega perché convintamente liberisti o “Orbanisti” (flat tax, flussi migratori) ma perché il combinato disposto di quelle proposte andava incontro alle loro esigenze, reali o presunte che fossero. E l’alleanza di governo è stata la naturale conseguenza.

Attenzione, i sondaggi pubblicati in questi giorni parlano di consensi alla Lega superiori a quelli dei grillini che perdono qualche punto rispetto alle recenti politiche. Quei consensi persi, ci spiegano gli esperti, non ritornano a casa, a sinistra. No, vanno verso la Lega!
Si è cementato quel nuovo blocco sociale, formato da quelle categorie che ho sopra ricordato e che aveva già individuato anni fa Alfredo Reichlin, che ha realizzato una vera e propria rivoluzione potico-istituzionale e che noi non siamo stati capaci di intercettare e di guidare.
Il primo e proibitivo compito della sinistra, allora, non è ritornare a fare la sinistra ma spiegare con i fatti, con le proposte, che destra e sinistra esistono ancora.
Occorre spiegare, ribadisco, all’operaio metalmeccanico dell’Emilia Romagna che ha il welfare aziendale e a cui, di conseguenza, poco importa dei destini della sanità pubblica, che solidarietà e sussidiarietà non sono la stessa cosa e che la prima non è solo un moto dell’anima, ma una prospettiva politica che conviene sul piano pratico anche a lui.
Insomma, se evochiamo il socialismo dobbiamo anche andare a spiegare, strada per strada, casa per casa, cos’è e perché, oggi più che mai, serve.

Foto in evidenza: Alfredo D’Attorre e Roberto Speranza

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