Berkeley

Da sponda a sponda: “Normalità” in California

“Negli Stati Uniti sono stato preso da un desiderio di conoscenza e di possesso totale di una realtà multiforme e complessa e altra da me, come non mi era mai capitato. (Italo Calvino, Un ottimista in America. 1959-1960. Milano Mondadori 2014)

Normale tra medicalizzazione e sociale
Mi vivo il problema del disabile da Berkeley in California e avverto che, qui. non è tanto quello dell’accesso alle cure mediche, quanto piuttosto un problema sociale, definito e riconosciuto in una guerra di posizione con lotte, obbiettivi e conquiste. Non normale medicalizzazione come suggeriva per i perversi, in Italia, Emilio Servadio nella Grande Enciclopedia Treccani –ma normali diritti civili. Semmai acquisiti a partire dagli anni californiani e irregolari di gente anomala: immigrati come Herbert Marcuse o anche gay come Harvey Milk, assassinato nel 1978, oppure femministe come Angela Davis, oggi docente emerita dell’Università della California a Santa Cruz – ma, lo ricordo volentieri, al tempo della mobilitazione mentre scontava il carcere, perchè nera, riscosse la solidarietà, in Italia, nel lontano 1971 , del quartetto vocale Cetra: un gesto forse non pari a quello di Jean Genet in Francia, ma comunque documento, per lo meno nella storia degli effetti, di un tratto civile della musica popolare melodica, ignorato nelle ricostruzioni dotte dell’italian thought. (Cfr la canzone “Angela” di Virgilio Savona – di cui riporto la traccia per chi volesse ascoltarla
https://itunes.apple.com/us/album/un-album-per-te/id333163537 )

In effetti lottare in Italia, per una regolamentazione più democratica della medicalizzazione (per es. da parte di una commissione di medici che decidono di un assegno di accompagnamento) , può “condurre alla città di “Peggio” , come la filologia nella celebre “Lezione” di Eugene Ionesco (tr. it Torino Einaudi 1961); cioè verso una politica ferocemente compassionevole che mette tra parentesi i diritti – similmente a quella condotta dall’attuale partito democratico con i bonus. E’ una lotta all’interno del modello assistenziale nel quale la situazione del disabile viene organizzata come questione individuale di un “malato” che necessita per i suoi deficit di cure mediche.

Normale come diritto civile
Senza troppo tergiversare sul tema (rimando per questo a Franco Scalzone, Perversione, Perversioni e Perversi, Roma Borla 2009) convengo che girare per le strade di Berkeley non è sempre così facile e normale. Specie di notte con la scarsa illuminazione pubblica. Tuttavia dal quartiere dove sono, arrivo rapidamente al “centro”. E qui vado in piscina, in biblioteca, alla posta, ai ristoranti o ai caffè, al cinema senza “barriere architettoniche”. I semafori sono dotati di segnalatori acustici. Col mio scooter posso oziare tranquillamente: Percorrere i marciapiedi dove è sempre certo che c’è lo scivolo, entrare in un caffè o in un ristorante essendo certo di un’entrata non stretta e dei posti previsti per i disabili. Nessun problema nemmeno per la ricerca della restroom nei ristoranti, nei caffè, negli alberghi, nei cinema. La migliore restroom nella mia classifica è quella sperimentata tra le bandiere arcobaleno nel civilissimo quartiere Castro a San Francisco.
Sui marciapiedi incontro, anche a notte tarda, studenti neri e asiatici, arabi e bianchi, tra di loro nessun imbarazzo, nemmeno con me. In California la pluralità della “condizione umana” sembra più che normale. Si cammina senza accellerazione, come sul lungarno di Ponte Vecchio a Firenze. Rare le pendenze eccessive. Sui prati partecipano a questa dimensione, a tratti irreale, di normalità plurale ma contraddittoria, le tende multicolori dei senzatetto: moltissimi neri, donne anche disabili che si portano su imponenti sedie a rotelle, assolutamente elettriche, la loro “casa”, o barboni seduti e semidistesi sulle panchine, sui grandi marciapiedi o nei prati… giunti chissà da dove… Mi ritorna alla mente una poesia di Rilke in una antica traduzione di Giame Pintor: ”Chi non ha casa adesso/casa non avrà” —… Per dove giro, le case a Berkeley sono perlopiù come villette a schiera, alcune costruite ai primi del novecento, ma tutte diverse, individualizzate, che proiettano una comunità singolare, una cittadinanza diffusa in un grande spazio di massa, variegato di inclusioni ed esclusioni, di contrasti e di cartelli inneggianti all’accoglienza, piantati nei giardini o sporgenti ai vetri delle finestre…. Giro e rigiro… strade, e viali, streets, ways, avenues: Roosevelt, Grant, Martin Luther King, Jefferson, Franklin… University avenue che porta alla baia di San Francisco

Normale e disabile tra piscine e biblioteche
I miei ospiti mi spingono, incuriosito, a superare la soglia della piscina comunale, dove trovo finalmente una normale piscina che invece a Firenze sognano ad occhi aperti, a Villa il sorriso e che ha sede solo al Careggi, nel reparto dei neurolesi. Con l’acqua temperata, un accesso comodissimo e perfino spogliatoi e bagni per disabili. Ci vado quasi ogni giorno. Non credo ai miei occhi: accedo fino ai bordi delle piscine con lo scooter. In acqua trovo signore che conversano e mi saluto, nella nostra corsia d’acqua, con una giovane donna nera in sovrappeso. A volte scambio un sorriso con una ragazza down e il suo accompagnatore. Posso risalire dall’acqua manovrando autonomamente una sedia. E’ previsto a Berkeley l’accesso e una notevole agibilità per i disabili anche nelle biblioteche dove quando vado mi rilasso, come non faccio mai a Firenze e come è impossibile a Napoli alla Biblioteca Nazionale – anche dopo le amministrazioni bassoliniane – di Piazza Plebiscito.

Normalità tra Berkeley e Firenze
A Berkeley i disabili hanno condotto una lotta contro le barriere culturali, un pò simile a quella per il Gender – che ancora fa tanto ridicolmente inorridire l’Italia eurocentrica, bigotta e perbenista che professa come naturale l’esclusione: dall’Istituto Bruno Leoni ad antichi omofobi come Rocco Buttiglione e Maurizio Sacconi. Mi dice una giovane dantista dell’università di Davis che qui è normale misurare il sociale sui bisogni delle persone in carne e ossa secondo le prescrizioni indicate peraltro dall’International Classification of functioning, Disability and Health del 2001.
L’osservazione mi riporta alla memoria la mia fortunosa partenza da Firenze lo scorso 26 Novembre dell’anno di grazia 2017, essendo la città amministrata dal sindaco Dario Nardella, la cui ordinanza prevedeva, quella domenica, la sospensione della circolazione dei mezzi pubblici, di fatto tutto il giorno festivo, per la corsa podistica…. I taxi non accettavano prenotazioni il sabato pomeriggio per il giorno successivo, ed i vigili non sapevano indicare se il giorno successivo fossero previsti percorsi alternativi per cittadini portatori di handicap. E così a farla breve il sabato sera senza chiedere altro sono andato a dormire in un albergo di passo a poco prezzo nei pressi dell’aereoporto. Non c’era altro modo di partire, per un disabile, il giorno dopo, … forse solo un’autoambulanza avrebbe potuto attraversare le strade di Firenze mi dicevano dai centralini.

Normale e Disability Studies
Mi sono chiesto da Berkeley in quale modello democratico, è “normale” sul piano politico-istituzionale una cittadinanza, nella quale la condizione di agibilità del disabile, è appuntata ad uno spillo e socialmente determinata mediante un’ ordinanza del sindaco. Mi sono consolato scoprendo che il 2017 in California è stato l’anno in cui l’università di Los Angeles ha celebrato il decimo anniversario del corso triennale dei Disability Studies, cresciuto in questa decade e presente anche nelle altre università pubbliche dello stato. Il corso non riguarda una manciata di studenti anomali nè si propone come una offerta caritatevole, di nicchia. Sul tema l’università oggi offre più di 36 corsi e conta oltre 400 studenti che si iscrivono ogni anno, come si legge nel manifesto degli studi.
Nei corsi viene esaminato il significato, la natura e le conseguenze della disabilità, da una molteplicità di prospettive tra cui quelle artistiche, letterarie, filosofiche, delle scienze storico-sociali, antropologiche, delle scienze politiche e della salute, della tecnologia e della pedagogia. Tutte prospettive che spostano l’accento dalla marginalizzazione e dall’esclusione all’inclusione. E sopratutto spingono ad integrare la prospettiva medica con una più ampia prospettiva sociale, di modo che un numero crescente di persone con disabilità possa condurre una vita attiva o possa lottare per questo fine. Secondo un approccio interdisciplinare, vengono studiati come le nozioni di cittadinanza, sessualità, genere, nazionalità si rapportano con la disabilità. Quali sono le identità delle persone con disabilità e in che modo vengono affrontate le richieste delle fasce di popolazioni disabili. Non mancano studi sulla storia, la filosofia le pratiche sociali della filantropia, della carità, del paternalismo e dei sistemi di dipendenza. Il 23 gennaio si celebra l’Ed Roberts Day in onore dello studente che negli anni intorno al famigerato ‘68 a Berkeley dette impulso agli studi sulla condizione del disabile in una prospettiva politica .

Normalità, disabilità, invalidità
La disabilità come questione inerente ai diritti civili delle minoranze, emersa nei movimenti improntati al femminismo, alla disciminazione di genere e razziale ha la sua indiscussa origine nelle lotte degli anni Sessanta e Settanta condotte negli Stati Uniti e in Europa. L’Indipendent Living Movement nato a Berkeley ne è un documento. Il metodo transdisciplinare dei Disability Studies fioriti in queste lotte, il loro tratto emancipativo per le persone disabili che possono partecipare alla ricerca, è riconosciuto nei dibattiti e nei convegni anche in Italia come è riconosciuto che tali studi non costituiscono ancora, in Italia, “una realtà autonoma e indipendente nel panorama accademico di ricerca” (cfr s.v. Barriere architettoniche, Enciclopedia del diritto. Annali v. 4, Milano, Giuffrè 2011). Diversa è ovviamente la realtà di tali studi negli altri paesi europei e nei programmi delle forze di sinistra. In Italia, il piano sociale presentato in questi giorni da Romano Prodi a Bruxelles potrebbe essere un’occasione per programmare da sinistra nel compartimento salute questa “realtà “.
La relazione tra normalità e disabilità intanto ha avuto in Italia una autorevole conferma da Zygmunt Bauman in una recente pubblicazione. Il sociologo polacco ha richiamato una questione variamente indagata negli Stati Uniti e in Europa fin dagli studi di Erwin Goffman sulla istituzionalizzazione, e poi quelli di Michel Foucault sugli anormali, o quelli di Mike Oliver sul modello sociale della disabilità. Su di essa la ricerca universitaria ha già prodotto negli Stati Uniti una sua rilevante storiografia (Cfr Susan Burch, “Disabiy History: Suggested Readings – An Annotated Bibliography,The Public Historian, Vol. 27, No. 2, pp. 63-24 (Spring 2005; Kim E. Nielsen, Disability History of the united States, Boston Beacon Presse 2012). In Italia, come è noto, è stato Franco Basaglia la voce più grande a riprendere l’analisi di Goffman con la proposta di una teoria e pratica della deistituzionalizzazione.
Facendo eco a Foucault, Bauman sostiene, che la normalità è un “nome elaborato ideologicamente” e “anormalità ha come suoi affiliati o sostitutivi i nomi ‘disabilità’ e ‘invalidità’ “. Tutti insieme questi nomi sono indicativi in definitiva di “un problema politico” che “ si focalizza sulla difesa dei diritti delle minoranze e dei meccanismi democratici esistenti” (Cfr Z. Bauman Conversazioni sull’educazione, Trento, Erikson 2012).

Nella foto: Uno degli ingressi della UC Berkeley

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