La Borsa italiana, tra le peggiori del mondo come performance, è rimbalzata ieri del 2,6%, cercando un riscatto dopo un’estate negativa. Corrono le banche, spinte dal rientro della tensione sui Titoli di Stato (TDS), i cui rendimenti, su tutte le scadenze, sono scesi decisamente, favoriti dalle dichiarazioni del Ministro dell’Economia, Giovanni Tria.
Secondo Tria, le riforme del “contratto di governo” saranno graduali e “tutte le regole vanno rispettate“. “Inutile cercare 2 o 3 miliardi nel bilancio dello Stato per finanziare le riforme se ne perdiamo 3 o 4 sui mercati finanziari a causa del rialzo dello spread“, un gioco suicida. Tria ha aggiunto che i rendimenti dei TDS scenderanno con le riforme, che saranno adottate con misure fiscali prudenti. Insomma, se fino a poco tempo fa Tria veniva spesso smentito dai vice premier, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ora ha impartito una lezione di economia spicciola ai due “diuscuri”, imponendosi all’attenzione di tutti e massimizzando i consensi.

Anche oggi Tria ha esternato alla Summer school di Confartigianato con parole che, lette bene, suonano molto meno rassicuranti. Ha infatti annunciato per quest’anno una riduzione del debito dello 0,1%, lasciando intendere che anche per il prossimo anno si dovrebbe proseguire con analoga gradualità. Così fosse, previsioni alla mano, con una crescita del PIL oggi prevista attorno all’1,2% e un’inflazione, fissata all’1,5%, significherebbe fare deficit da 40 a 45 miliardi (cioè fino al 2,6% del PIL a fine 2019 che ammonterà a circa 1.800 miliardi). Quanto basta per realizzare una parte del programma e soprattutto per allarmare i mercati, considerate anche le proposte in campo per utilizzare le risorse della Cassa Depositi e Prestiti come un bancomat.

Comunque, le parole di ieri del ministro sono state fruttuose: lo spread oggi è in area 230 punti base, ai minimi da luglio, anche se 100 punti sopra quello dei mesi finali del Governo Gentiloni. Già da qualche giorno, in verità, gli esponenti della maggioranza avevano iniziato a dire che “non vi saranno rotture con la UE” e che la legge di stabilità rispetterà i vincoli (quali?).
Cosa sia accaduto non si sa. Paura di uno shock di mercato o interventi dall’alto che siano, sarebbe bastato chiedere lumi a qualunque operatore di borsa per evitare la crisi da chiacchiere al vento, che ancora aleggia. E così il rischio Italia in questi mesi è salito, mentre quello degli altri paesi dell’Eurozona, pure mediterranei come Spagna e Portogallo, è rimasto stabile o si è a ridotto.
Il nuovo DEF, cioè la base della legge di bilancio, va pprovato entro il 27 settembre e poi mandato alla Commissione Europea; già si capisce che ci saranno ben pochi spazi per la discussione. Salvini e Di Maio avevano molto innervosito i mercati nelle ultime settimane, minacciando di sforare il deficit del 3%, ma ora sembra prevalere la consapevolezza, non si quanto durevole vista la velocità con la quale i due vice premier cambiano opinione, che contro l’Italia non ci siano complotti.

I mercati finanziari non sono governati da un “grande vecchio” e, soprattutto, per ogni compratore c’è un venditore. Questo significa semplicemente che, istante per istante, il prezzo di una azione, di una materia prima o di un titolo di Stato in Borsa, si forma dall’incontro di due parti, entrambe convinte di aver fatto un ottimo affare: una vendendo, l’altra comprando.
Tuttavia, pur con la nuova (apparente) ragionevolezza, la maggioranza e gran parte dell’elettorato vivono ancora una condizione di negazione della realtà da campagna elettorale. Restiamo l’unico paese dell’Eurozona che ancora discute sull’uscita dall’euro, perdendo di vista i veri rischi, rappresentati in primis dalla guerra commerciale del Presidente USA, Donald Trump contro Europa e Cina. Ecco perché serve restare ancorati alla realtà, cosa che questa maggioranza, ancora non riesce a fare.

Il timore di una crisi finanziaria resta forte. I dati recenti sui flussi di capitali di Banca d’Italia mostrano una “fuga” degli investitori stranieri per circa 75 miliardi in maggio e giugno. Di questi, 55 miliardi dai TDS e il resto da altri titoli e da azioni. Circa la metà dei titoli di Stato venduti dagli stranieri è stata comprata dalle banche italiane, così accrescendo la loro esposizione al “rischio Italia” e la loro fragilità strutturale.
L’aumento dei rendimenti sui TDS, cioè la diminuzione del loro prezzo di mercato, comporta un peggioramento dei bilanci delle banche, in un pericoloso circolo vizioso, in quanto coi recenti acquisti le banche stesse diventano sempre più dipendenti dalle condizioni delle finanze pubbliche. In tal modo, un eventuale blocco del credito al settore pubblico porterebbe a un analogo blocco al settore privato, con gli effetti sull’economia devastanti.
Non è dato sapere a quanto ammonti la fuga di capitali degli italiani – che dai “rumors” sembra abbastanza intensa – ma anche questo è un problema molto serio. L’aggressivo interventismo del governo, unito alla dipendenza delle banche dalla politica, fa temere interventi del governo sulle banche e attraverso le banche.

Giovedì la BCE dovrebbe confermare i piani di uscita dal quantitative easing. Il mercato si attende la conferma della riduzione degli acquisti a 15 miliardi mensili da ottobre e la sua cessazione a fine anno. Da Francoforte dovrebbero dire come reinvestiranno le cedole e i titoli in scadenza che BCE ha in portafoglio.
La maggioranza degli analisti ritiene che sia venuto il tempo di porre fine alla politica di tassi zero e di ampia liquidità fin qui seguita; ciò nella consapevolezza che senza un ritorno alla normalità, la BCE non avrebbe altre armi per affrontare una nuova recessione. E tra un anno e due mesi la sua guida passerà da Mario Draghi ad un esponente di certo più vicino alle posizioni del capo della Bundesbank, Jens Weidmann.
Un motivo ulteriore per far prevalere, nella legge di bilancio e nell’azione pratica la ragionevolezza.

Foto in evidenza: I due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio e il Ministro dell’Economia Giovanni Tria

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