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Elezioni, partiti e sardine: la frontiera dell’Emilia Romagna

Domani si vota per le regionali in Calabria e, soprattutto in Emilia Romagna. In un clima brutto, con il Paese attraversato da una vera e propria ondata di odio, con gravi e tutt’altro che isolati episodi di razzismo e di antisemitismo. L’utimo gravissimo a Mondovì, dove un’abitazione è stata imbrattata da una perentoria scritta in tedesco, accompagnata dalla croce di Davide: “Qui ci sono ebrei“.

Inutile dire che questa vera e proprio ondata di odio è stata in larga parte agevolata, anzi cercata, da una forza politica e da un capo partito che vede nelle elezioni, soprattutto quelle in Emilia Romagna, l’occasione per far cadere un governo già piuttosto in difficoltà e imporre al Paese l’avventura di elezioni anticipate, in vista delle quali si propone di ribadire la sua richiesta di pieni poteri, alla testa di una destra che sbanda sempre più verso rigurgiti fascisti e, forse, anche verso qualcosa di peggio. Resisterà in questa situazione la frontiera della Emilia Romagna? E’ questo il vero e grave interrogativo che incombe sul voto di domani.

Cerchiamo di capire partendo da dati oggettivi e precedenti che non sempre sono incoraggianti per le forze della sinistra democratica. La quale, è bene dirlo in un passato recente, qualche grave errore di sottovalutazione lo ha commesso. Per esempio quando cinque anni fa alle elezioni della regione Emilia Romagna  andò alle urne soltanto il 37 per cento degli aventi diritto: un record di astensionismo nella regione più politicizzata di Italia. Il segretario del Pd di allora e con lui il gruppo dirigente (?) sottovalutò questo dato perchè comunque il presidente della Regione eletto apparteneva al centrosinistra. Ma l’onda lunga della destra e della Lega si è riproposta anche in occasione delle recenti elezioni europee. Le quali ci danno un quadro, anche in Emilia Romagna, nel quale la destra è in testa e il centrosinistra impegnato in un tentativo di recupero e non soltanto di mantenimento.

Vediamo allora come ha condotto la campagna elettorale il centrosinistra e, soprattutto, il suo candidato presidente. Stefano Bonaccini ha puntato tutto sulla sua capacità di buongoverno presentando un rendiconto nel quale le luci sono largamente superiori alle ombre. Ha parlato molto di programmi e di Emilia Romagna, presentando ottime credenziali. Di qui anche una ridotta attenzione alla collocazione e alla proposta di politica generale del suo schieramento. Più che un’omissione, la sua è stata una scelta di tattica di gioco. Mettere la partita sul terreno nel quale la Lega e la destra potevano accampare pochi meriti e quasi nessuna proposta programmatica. In questo agevolati dal fatto che la candidatura della candidata presidente avversaria si è rivelata fragile e soprattutto offuscata, quasi nascosta, dall’incalzante e onnipresente azione del suo capo politico: Matteo Salvini.
Il quale è stato tanto presente sul territorio sul piano della presenza fisica e dell’offensiva propagandistica, quanto totalmente assente su quello della proposta programmatica per quel territorio. Insomma una campagna elettorale a base di odio verso gli immigrati, tutta ordine e disciplina e talvolta sconfinata in una vera e propria caccia all’uomo (per fortuna per ora soltanto via citofono) contro i non italiani, accusati di ogni nefandezza: spaccio di droga compreso. Il messaggio era che per riportare ordine e disciplina servono le maniere forti. Insomma l’esatto contrario della storica ricetta dell’Emilia Romagna, fatta di moderazione e bonomia sulla quale la sinistra, anche comunista, in passato aveva costruito i suoi successi elettorali da Dozza in poi.

La domanda è se Bonaccini ha fatto bene a condurre in una campagna elettorale tutta giocata in chiave locale. Io credo di sì. Perchè ha cercato in questo modo di occupare lo spazio programmatico che i suoi avversari hanno colpevolmente lasciato inesplorato, scegliendo la strada di buttarla in caciara, proponendo quello che Stefano Folli su Repubblica di oggi ha indicato come una sorta di referendum contro la sinistra di governo.
Basterà l’assennata moderazione della sinistra dell’Emilia Romagna a battere il tutti contro tutti di Salvini e di una destra sempre più aggressiva, nella quale il ruolo di Berlusconi sembra ridotto a quello di un comprimario, in grado di esprimere più che una linea politica di destra moderata, quella di un vivace raccontatore di barzellette e battute, talvolta oltre il limite della trivialità sessista? Su questo condivido molte delle preoccupazioni espresse in questi ultimi giorni dai dirigenti del centrosinistra. I quali non a caso hanno fatto numerosi appelli al voto disgiunto. Raccogliendo significative adesioni vuoi, in un Movimento Cinque Stelle sempre più in crisi: alcuni consiglieri pentastellati voteranno la propria lista, ma, visto che la legge elettorale lo consente (non così in Calabria), metteranno la croce anche sul nome di Bonaccini. E indicazione analoga (e questo potrebbe essere un fatto politico rilevante e importante) a favore di Bonaccini presidente ha dato anche il giornale “Il Foglio“, interprete da tempo del centro destra moderato. Fatti questi che potrebbero avere importanti e positivi sviluppi per la tenuta democratica.

Nella foto: Manifestazione delle Sardine in Piazza Maggiore a Bologna (da Linkiesta del 3/12/2019)

Infine il centro sinistra ha potuto, e si spera potrà contare, anche oltre l’Emilia Romagna su importanti “truppe di appoggio“. Così si sono definite le “sardine“, i giovani che sono tornati a riempire le piazze della politica. Nei fatti sono il primo grande movimento politico e non antipartitico. Anzi un movimento che chiede ai partiti di esserci e di fare buona politica. Ponendo problemi più che dando ricette risolutive. Facendo una chiara scelta di collocazione politica nel centrosinistra sono ora in attesa di risposte. Potrebbero cominciarle a ricevere, proprio dal Pd e da altre forze di sinistra, interessate alla costruzione per via congressuale di quel partito nuovo evocato da Zingaretti.

Ora aspettiamo il risultato del voto di domani nel quale in gioco più che il futuro del governo sono il futuro della sinistra e la tenuta civile del Paese, e poi… se sono rose fioriranno.

Foto in evidenza: Stefano Bonaccini (Pd), candidato alla Presidenza dell’Emilia Romagna (dal profilo ufficiale su Facebook di Stefano Bonaccini)

 

 

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