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Elias Canetti pescatore nei secoli. Note al margine

Un sapere che tranquillizza è mortale
(E. Canetti, La provincia dell’uomo)

Con questa sua ultima pubblicazione (Elias Canetti. Il pescatore nei secoli, Roma Castelvecchi, 2021) Alfonso Musci indaga la fortuna e l’opera dello scrittore bulgaro, cristallizzate ”nelle tendenze spirituali della guerra civile europea”.

Il “pensare per animali” di Canetti diventa d’emblée, (tramite una lettura insolita dei testi e delle tesi di Marc Fumaroli), lo spazio esplorativo per osservare il variare poligrafico dell’autore.

Ne fuoriesce un canone per una nuova rappresentazione critica, che tende a far slittare la politica come potere, messa a fuoco più volte da Canetti, in una “prassi etica” o meglio nella professione di una prassi etica – che sconta la svolta della globalizzazione e propone per accenni l’ideale di un umanesimo misurato (o riarticolato) sul metro di un originale bestiario antico-moderno, con sullo sfondo la scuola di Eugenio Garin.

Le “api” e i “ragni” dello scrittore irlandese Johnatan Swift sono richiamati per diventare con l’autore sefardita “termiti”, “animali mancanti” che costituiscono un contesto transmoderno nel quale “le specie, cui l’ascesa dell’uomo ha impedito di formarsi”, istituiscono l’approntarsi di una speranza, soprattutto per il pensare e fare politica – sottratti ad ogni demagogia e scolastica identitaria del vecchio uomo europeo.

Forse, per associazione, la domanda che Musci qui inconsapevolmente/consapevolmente si pone – riprendendo l’insegnamento di Claudio Cesa, ispiratore dei suoi studi su Benedetto Croce – è Che cosa posso sperare da una storia, oggi, nella sua versione eurocentrica e, insieme, postcoloniale, che sembra trasmutare nella prospettiva del sopravvissuto, esemplarmente raccontata da John Maxwell Coetzee nel suo celebre “Waiting for the Barbarians”, una prospettiva generata dall’ ”attesa e la ricerca di un futuro senza ‘potere’”, ovvero tematizzato, con un altro titolo (la “muta” di Canetti), è in questione il valore di una religione civile.

Su queste basi il libro di Musci non fa che sottolineare il valore di documento dell’opera di Canetti ma al di là dei miti della finis Austriae o della RoteWien…delle “ragazze di piacere”.

A tratti, è come se Musci altalenasse gli strumenti impiegati per l’esplorazione sul campo, in un andirivieni regressivo-progressivo: da un lato è preso dal fascino, novecentesco, di una filosofia della storia, à la Benjamin, e dall’altro risente dell’influenza di una più avvertita e contemporanea Teoria della stessa storia, impastata, però sembrerebbe, dello stile e della lezione di Carlo Ginzburg. “Il male dei moderni è il tradimento della vita”: la paranoia
del presidente Schreber.

Nel suo altanelare pensoso, programmatico e osservativo, Musci, mette insieme i punti di riferimento del proprio mestiere di vivere, della propria formazione intellettuale e di militante: gli anni, intensi, di studio a Pisa, Firenze, Napoli, Trento, Innsbruck; la frequentazione del Sant’Anna e della Normale, il magistero dell’Istituto italiano per gli Studi Storici, l’esperienza di redazione nella Rivista critica di storia della filosofia, la recente avventura istituzionale con la collaborazione alla Presidenza della regione toscana di Enrico Rossi tenendosi lontano da ogni bandiera impolitica.

In una prospettiva di storia intellettuale , è offerto al co-lettore l’intersecarsi della scrittura di Canetti con le “questioni più radicali della sociologia e della politica degli anni Venti e Trenta”.

Nelle vesti di uno studioso attento ai fenomeni socioculturali inerenti e funzionali allo sviluppo anche economico, amministrativo, della società del nuovo millennio, Musci assume in prima persona lo “storicismo eccentrico” di Canetti.
Legge l’opera dello scrittore con un doppio sguardo, da vicino e da lontano, e si mette alla ricerca di altri coautori. Raccoglie tra storia e scienza sociale, una sorta di materiali sul campo che compara e contamina con altre letture/storie e le rende partecipi (se non proprio di una redenzione) della speranza di un mondo migliore.

Si intrecciano così ( in questo sguardo/scrittura/archivio che sorvola e critica, raccoglie dati e spiega, precisa e riassume, ordina) letteratura e politica, ricerca e militanza….nell’ordine di… un orizzonte distopico di aspettative.

I linguaggi, i metodi e le prospettiva: la “maieutica del terribile” di Massa e potere vengono accostati “nevralgicamente” a quelli della forza trasformatrice dei Quaderni dal carcere.

Sia Gramsci che Canetti, secondo Musci diagnosticano, come in un catalogo di conversazione civile, la “malattia” della modernità industriale…. Nella decomposizione del lavoro intellettuale entrambi mettono a fuoco aspetti, atteggiamenti, ottiche, voci di “ ‘masse’ vitalistiche e instabili, che proliferano”.
Entrambi vedono avanzare, allo statu nascendi un tipo nuovo di ‘soggetto’… provato, utilizzato, ingannato, sopraffatto, di volta in volta, dalla burocrazia e dalla specializzazione, scomposto, incorporato… in un “cristallo” di quelle stesse masse catalogate, secondo se statiche, ritmiche, lente e veloci, contrapposte e durevoli, vitalistiche, moderne, spontanee,  alla ricerca tra fuoco, mare, pioggia.

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