Palazzo Chigi

I numeri e le ragioni della sconfitta di Renzi e del Pd

Che cosa ci dice questo referendum? Stiamo ai dati. A distanza di 10 anni gli italiani sono tornati ad esprimersi su una riforma costituzionale che aveva contenuti, in parte, simili: superamento del bicameralismo, riduzione del numero dei parlamentari, riconduzione di poteri dalle regioni al centro del sistema, rafforzamento dell’esecutivo. Magari con forme e soluzioni diverse, ma lo schema della riforma di Berlusconi, come quella di Renzi, era questo. Ebbene, gli italiani hanno detto in due occasioni a distanza di 10 anni che non sono d’accordo su questo schema. Piaccia o no, forse la politica dovrebbe prenderne atto. Dopo 10 anni dalla tentata riforma del 2006 gli italiani sono tornati in un numero molto superiore a votare, rafforzando la loro contrarietà alla riforma: nel 2006 votò il 52,46% degli aventi diritto, cioè 26.110.925 cittadini su 49.772.506 e di questi il 61,29% cioè 15.783.269 votarono NO alla riforma. Nel 2016 su 50.773.284 elettori il 59,1% cioè 19.419.507 hanno respinto la riforma. Dopo 10 anni quasi 4 milioni di elettori in più contro la riforma. A colore politico invertito, la risposta è stata analoga: la Costituzione ci piace così com’è; con tutte le sue “anticaglie”, “ridondanze”, “raddoppi”, ma anche con i suoi miracolosi equilibri, la sua rappresentatività, i suoi poteri diffusi. Al di là delle letture politiciste relative alla simpatia o meno per Renzi o Berlusconi, alle appartenenze ai diversi partiti politici, alla dinamica destra-sinistra, gli italiani sembrano consapevoli e vincono l’apatia di partecipazione quando si tratta della loro Costituzione. Infatti, al referendum sulle trivelle del 2016 partecipa appena il 31,18% degli elettori, alle elezioni europee del 2014 l’affluenza si ferma al 57,22%, ma al referendum sulla Costituzione partecipa oltre il 65,5% degli elettori.

LA SCONFITTA DEL PD – I risultati del referendum di domenica sono anche una chiara sconfitta del PD. In questo referendum il PD si presenta quasi da solo contro tutti. Il Sì raccoglie con il 40,9% un totale di 13.432.208 voti. Alle elezioni europee del 2014, quelle del massimo successo del PD, il partito con il 40,81% dei voti espressi, raccoglie 11.203.231 preferenze. Alle stesse elezioni l’altro partito che si è espresso per il Sì al referendum, il Nuovo Centrodestra, raccoglie alle europee il 4,38% pari a 1.202.350 voti. Se a questi aggiungiamo i voti delle altre forze politiche che si sono espresse per il Sì al referendum (Italia dei Valori, Socialisti, Südtiroler Volkspartei), vediamo che il PD in questa campagna referendaria non ha costituito nessun valore aggiunto. Anzi, se sono vere le rilevazioni che dicono che circa il 23% degli elettori PD hanno votato No, possiamo immaginare che questi si sono equilibrati con gli elettori di destra (Forza Italia, ma non solo) che hanno votato Sì. D’altra parte, così soltanto si spiega il fatto che in nessuna regione – a parte Toscana ed Emilia RomagnaRenzi ha mantenuto la stessa positiva performance delle ultime elezioni.

Possiamo anche ragionevolmente pensare che siano tornati a votare molti che avevano disertato, da sinistra, le urne; cioè persone che non trovavano motivi sufficienti per votare ancora PD e d’altronde non riconoscevano in Sinistra Italiana un progetto politico credibile e nel Movimento 5 Stelle una casa sufficientemente caratterizzata ideologicamente o culturalmente di sinistra e per questo rinunciavano a partecipare. La Costituzione e la sua integrità, invece, hanno costituito un motivo più che sufficiente per tornare alle urne. Ci sono più cose, evidentemente, nel cielo e la terra della Costituzione che nella filosofia di Matteo, verrebbe da dire. E questo è un fatto positivo, comunque ci si sia schierati. Del resto lo ha detto, in qualche modo, anche Renzi quando ha rivendicato il fatto positivo che grazie al “suo” referendum sulla riforma, molta gente si è avvicinata e ha familiarizzato con i contenuti della Costituzione.

Poi, sembra, ci sono i giovani che avrebbero, secondo i più autorevoli analisti di flussi elettorali, votato NO in grande maggioranza. Cosa che ci dice almeno altre due cose. In primo luogo che la retorica generazionale e rottamatrice di Renzi non fa (più) breccia proprio in quelli che dovrebbero essere gli interlocutori privilegiati e naturali, o almeno che quando questa retorica si applica alla Costituzione abbracciando in questa sua onda rottamatrice Carta e classi politiche vecchie (la “casta”), i giovani non gli credono e sanno discernere fra i valori e i contenuti della Costituzione e ceto politico o l’ipocrisia di taluni che dicono No per dare un colpo a Renzi (e scelgono per i primi che considerano più importante dei secondi). L’altro fatto è che, evidentemente, la consapevolezza dell’importanza della Costituzione e dei suoi contenuti, è riuscita a trasmettersi dalle generazioni che potevano riconoscere il legame diretta di questi con le radici storiche nella Resistenza antifascista a generazioni che di questo legame non possono avere cognizione diretta. Anche questo mi sembra un segnale incoraggiante.
Questi elementi possono trasmigrare in un progetto politico, che rinnovi la cultura politica della sinistra, dimostrando che il populismo non è l’unica deriva (o lettura) possibile di questo voto referendario? Questa mi pare la vera sfida che tutta la sinistra, anche parte di quella che ha votato Sì (come Prodi), avrebbe di fronte.

Un’ultima considerazione. Secondo alcuni sostenitori del Sì, l’esito del referendum non sarebbe dovuto ad una consapevole volontà di difendere la Costituzione, bensì soltanto dall’accanimento di tanti contro Renzi. Se anche fosse così – e avrei molti dubbi in proposito – questo aggraverebbe l’errore compiuto dal Presidente del Consiglio: dal suo punto di vista avrebbe dimostrato di non avere più il polso del paese che è stato un suo indubbio pregio al tempo della sua ascesa al potere e avrebbe perigliosamente messo a repentaglio il bene supremo della Repubblica, la sua Costituzione, sottovalutando o ignorando il crescente distacco fra la sua persona e il paese reale. Mi pare, in ogni caso, un errore clamoroso che ridimensiona di molto il tanto celebrato fiuto politico del premier.

 

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