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I numerini della manovra

Sulla legge di bilancio 2019, ancora da decifrare e completare, ci sarà molto da scrivere a partire dal 9 gennaio, quando i tecnici della Commissione Europea avranno completato l’esame del testo.
Un poco di chiarezza può essere fatto però riguardo ai numeri, sui quali il duo Conte-Tria è stato volutamente vago.

Il primo numero da prendere in esame non è il 2,4% di deficit/PIL con cui il Governo si è presentato a Bruxelles bensì l’irrealistico +1,5% di crescita previsto e attorno al quale giravano tutti gli altri “numerini”.
L’aver accettato una riduzione della crescita all’1% ha modificato anche il deficit risultante.
Come noto, le previsioni dei tecnici del Ministero dell’Economia e Finanza si basano su complessi modelli econometrici, validi sia per l’area dell’euro sia per i maggiori paesi, e quindi per l’Italia.
Premesso che pure la revisione di +1% di PIL nel 2019 è molto ottimistica, con la più bassa crescita il Fisco registrerà minori introiti e si avrà più deficit. Poiché questi modelli stimano che il deficit salga di metà circa di quanto cala il PIL atteso, mezzo punto di PIL in meno genera 0,25% di extra deficit.

Questa lunga premessa serve a spiegare che a Bruxelles i nostri negoziatori si sono presentati con un deficit del 2,65% e non del 2,4%, come invece raccontano. Da qui, per giungere al 2,04% di deficit (presunto) serviva una correzione di circa lo 0,6% del PIL annuale italiano (che ammonta 1.700 miliardi a spanne); quindi, ecco spuntare i 10,25 miliardi circa di tagli, dopo i quali si arriva a quel 2,04%, sbandierato come grande vittoria.
Riepilogando: con un deficit di partenza del 2,65% conseguente al taglio della crescita dall’1,5% all’1%, per arrivare al 2% accettato dalla Commissione Europea sono serviti 10,25 miliardi di tagli ale spese, che hanno consentito l’accordo con Bruxelles illustrato dal ministro Tria e dal Presidente Conte, assenti i due vice premier, attenti a non mettere la faccia su un risultato invero deludente.

Da una manovra per la crescita (assai dubbia) si è passati ad una manovrina di tagli e maggiori tasse, per la quasi totalità destinati a sterilizzare gli aumenti dell’IVA e delle accise sui carburanti e a ridimensionare le misure chiave del “contratto di governo”, vale a dire la flat tax verso una parte dei lavoratori autonomi, la “quota 100” e il reddito di cittadinanza; queste ultime molto tagliate e con dentro qualche trucco. Sia Salvini che Di Maio si sono adeguati allo stile di Conte e di Tria, ripetendo che della manovra non è stata cambiata una virgola. Una enorme falsità, smentita dalla semplice lettura dei dati.

Sono stati tagliati, infatti, 2 miliardi dal reddito e pensione di cittadinanza, nonché 2,7 miliardi per quota 100, in entrambi i casi rinviando al 1° aprile (data piuttosto infelice) la loro decorrenza. Inoltre, spariscono tre miliardi da diversi fondi destinati alle Ferrovie, allo sviluppo e coesione territoriale, alla parte nazionale del cofinanziamento di progetti europei. Ed ancora, 100 milioni di risparmio derivanti dal rinvio a novembre 2019 dell’assunzione dei dipendenti pubblici che hanno superato i concorsi, 150 milioni da incassi da web tax e 100 milioni dalle “pensioni d’oro” con un provvedimento di assai dubbia costituzionalità. Infine, altri 1,4 miliardi di improbabili ulteriori cessioni immobiliari, dopo quelli (verosimilmente una partita di giro tra Tesoro e Cassa Depositi e Prestiti) promessi con la prima versione della manovra. Infine, il trucco più spudorato, dato dal rinvio del pagamento della liquidazione dei neo pensionati pubblici. Chi accede a quota 100, dovrebbe aspettare di maturare i requisiti di uscita previsti dalla Fornero, quindi anche 5 anni. Un nuovo debito, stimato dall’INPS in 7 miliardi per il primo anno, rinviato ai futuri governi. Una furbata che non sfuggirà ai tecnici della Commissione Europea e che farà infuriare chi sperava di utilizzare la misura così tanto strombazzata in campagna elettorale.

La ministra per la Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno, racconta che il Governo lavora per garantire a chi userà quota 100 il TFR in anticipo, mediante convenzioni da stipulare con le banche per assicurare l’erogazione dell’indennità di fine servizio, ovviamente con un interesse di mercato.
In definitiva, abbiamo 10,25 miliardi di tagli e oltre 30 miliardi di rinvii di spesa al prossimo anno, il tutto per ridurre la voce fondamentale per l’Europa, cioè il “deficit strutturale” dallo 0,8% previsto nella prima versione a un modesto 0,2%; per accettare il quale Bruxelles è stata “benevola”, accettando come spese eccezionali quelle rivenienti dalle catastrofi naturali di autunno.

Insomma, in attesa di saperne di più, il deficit promesso (con tutta la finanza creativa presente nella manovra) si riduce molto. Questo basta al governo per raccontare che la manovra non è cambiata e alla Commissione per raccontare che il Governo italiano è stato costretto a misurarsi con le regole.

Rimangono i problemi della cattiva qualità della manovra, fatta soprattutto di spesa corrente e coperture aleatorie. Con un aumento della pressione fiscale e grossi problemi per lo spread che resta alto, senza più il quantitative easing a difenderci. Con lo spettro di una recessione che, come ho scritto sopra, amplificherebbe oltre ogni limite il deficit, esponendo il nostro paese (che dovrà piazzare oltre 300 miliardi di titoli di Stato quest’anno) alla speculazione finanziaria dei mercati. A differenza della Commissione, i mercati hanno uno strumento più efficace per manifestare le loro perplessità verso questa manovra: vendere – come stanno facendo – il debito italiano per comprare quello degli Stati Uniti o della Germania considerati porti sicuri.

Foto in evidenza: Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro dell’economia Giovanni Tria

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