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Enrico Rossi: Il caso Bekaert e le sciagure prodotte dal Jobs Act​

«Alle 8:30 è arrivato il mio capo reparto in fabbrica, piangendo, mi ha abbracciato e mi ha detto: “Marcello, ci stanno chiudendo”. Questo è il modo che hanno questi signori di fare lavoro nel mondo […]. Noi chiediamo il ritiro della procedura di 318 licenziamenti, lo chiediamo anche perché con questo tipo di procedura noi non abbiamo diritto di avere una cassa integrazione straordinaria».

È il caso Bekaert, un’importante e storica fabbrica metalmeccanica toscana, produttrice dello “steel cord” (il cavetto d’acciaio che rinforza i pneumatici), ceduta nel 2015 da Pirelli alla multinazionale belga che sposterà i suoi stabilimenti in Romania, dopo aver predato la Toscana delle sue competenze e della sua forza lavoro. L’operaio Marcello si riferisce alla procedura di licenziamento collettivo per cessazione d’attività, per la quale il Jobs Act ha escluso l’intervento per la Cassa integrazione Guadagni Straordinaria lasciando operai specializzati, con una storia lavorativa importante e con contratti a tempo indeterminato, nel vicolo cieco della Naspi, cioè il 75 per cento della paga mensile per quattro mesi e poi dal quinto mese in avanti un contributo che mensilmente cala del 3 per cento, fino ad arrivare a zero dopo due anni.

La ex Pirelli di Figline Valdarno è una fabbrica-città, un esempio storico dell’integrazione toscana tra impresa e comunità ed è per questo che una settimana fa sono scese in piazza cinquemila persone, marciando per le vie del paese, con la serrata dei commercianti e con l’abbraccio di tutti i cittadini. In quel corteo guidato dai lavoratori ho visto tanti sindaci, sindacalisti, gente comune soprattutto e molti deputati e dirigenti locali del Pd. Come istituzioni, rappresentati del governo, dell’opposizione e del sindacato oltre che nel duro conflitto con la multinazionale belga siamo impegnati unitariamente nella ricerca di una soluzione e useremo ogni risorsa per scongiurare il destino della chiusura e della deindustrializzazione.

Vorrei però spendere questa occasione per chiarire e mettere in evidenza una delle gravi conseguenze generate dal Jobs Act, che in una drammatica vertenza come questa (chiusura per cessazione di attività), nonostante la sussistenza della legge 223 del 1991 (Norme in materia di cassa integrazione ecc.), priva i lavoratori di un’adeguata protezione sociale. I lavoratori che ho ascoltato in questi giorni hanno ribadito più volte il medesimo concetto: “l’ingiustizia che subiamo è figlia della concorrenza spietata, della differenza di costo del lavoro che l’Europa consente al suo interno, ma anche di quello che ci ha regalato il governo italiano con il Jobs Act a causa del quale non avremo diritto alla cassa integrazione”. Sono parole disperate, che feriscono, ma che dobbiamo ripetere sino alla noia, sino a quando non torneranno al centro del discorso politico.

Le assemblee e le conferenze delle forze politiche di centro sinistra uscite fracassate dalle elezioni del 4 marzo, si susseguono e si ripetono, ma paiono impermeabili a problemi così profondi e concreti. Nel Pd, dove le minoranze vorrebbero introdurre una discontinuità e aprire una fase nuova, il politicismo e il personalismo prevalgono sul resto, rendendo di fatto impraticabile una ricerca vera e profonda delle cause della sconfitta. Questa può riassumersi brevemente nei termini di una grave rottura con i lavoratori e la loro quotidianità, soggetti che sono stati offesi, che hanno pagato il prezzo più alto della recessione e ai quali comunque in nome di un imperscrutabile principio di modernizzazione è stato chiesto un voto.

Una rottura che viene da lontano, da quando la precarizzazione del lavoro è stata presentata come progresso, ma della quale non vi è ancora piena consapevolezza. Ecco la crisi d’identità, l’interregno in cui si è prodotta questa sconfitta storica, che ha consegnato infine milioni di italiani nelle mani di una destra eversiva e razzista, paladina di un’oscena e rabbiosa lotta tra gli ultimi e i penultimi, alla quale non abbiamo saputo opporre un’alternativa reale e persuasiva.

La costruzione di una forza politica nuova e progressista non può non essere polifonica, deve includere i diritti civili, le soggettività in continuo mutamento, l’innovazione giuridica e tecnologica, la difesa dell’ambiente, la posizione dell’Italia nel mondo, ma ogni sforzo sarà vano se essa prescinderà da un radicamento nel mondo dei lavoratori: di chi lavora, di chi perde il lavoro e di chi non lo trova. È stato un errore esiziale quello di aver scaricato i costi della crisi sul lavoro e sui lavoratori chiedendo continui sacrifici sempre agli stessi, senza fornire contrafforti con servizi migliori, rifinanziando il sistema pubblico e la protezione sociale. Negli anni dei governi a guida Pd la povertà assoluta è cresciuta, è aumentata anche quella relativa e soprattutto si è intensificato il precariato.

Sono molte altre le conseguenza negative del Jobs Act. Si pensi ad esempio alla nuova procedura di licenziamento collettivo (da cinque lavoratori in su) per tutti i contratti a tutele crescenti, per i quali la legge 223, che prevede regole specifiche a cui le aziende devono attenersi, non varrà più. Nella quale sparirà l’obbligo per l’impresa di avviare una consultazione con i sindacati, per concordare con loro le modalità con cui scegliere i lavoratori in esubero, negoziare la fuoriuscita meno dolorosa possibile, dando la precedenza a chi è disposto a dimettersi volontariamente, perché vicino alla pensione, oppure conservando il posto ai dipendenti che hanno un’età più avanzata (e quindi minori possibilità di trovare un nuovo posto) o maggiori carichi di famiglia, cioè moglie e figli da mantenere. Nella prassi anche nel caso della Bekaert di Figline, se i capi della multinazionale non sospenderanno la cessazione dell’attività, l’epilogo sarà questo e così una città, un territorio, una storia operaia sarà spezzata e violata per sempre.

All’indomani dell’ultima grave sconfitta elettorale in ordine di tempo (Siena, Massa e Pisa) molti mi hanno chiesto che ne sarà della regione rossa. La risposta è stata fornita dai lavoratori che sono scesi in piazza, composti e determinati alla lotta.

Rivolgo un appello a tutti i deputati toscani, soprattutto quelli eletti nelle file del Pd e delle altre forze di sinistra: battiamoci in Parlamento perché il Decreto dignità elimini questa sciagura prodotta dal Jobs Act. Questa riscossa parta dalla Toscana. Se questo non accadrà, oltre alle elezioni, questo ceto politico perderà ogni dignità di fronte al mondo del lavoro, nel presente e nel futuro.​

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L’intervento di Enrico Rossi è pubblicato su HuffPost Italia.
https://www.huffingtonpost.it/enrico-rossi/il-caso-bekaert-e-le-sciagure-prodotte-dal-jobs-act_a_23476828/?utm_hp_ref=it-homepage​

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Foto in evidenza: La manifestazione in difesa dei 318 lavoratori della Bekaert a cui hanno preso parte almeno 5000 persone

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