Il nome della cosa

Il nome della cosa

In vista dell’appuntamento del prossimo primo luglio, a sinistra il confronto tra le varie “anime” interessate alla costruzione di un nuovo soggetto politico, una nuova “casa comune”, si fa animato e serrato. E’ certamente un fatto positivo che però mostra ancora un limite più volte denunciato: troppi nomi. Ci si interroga su chi potrà essere il nostro Corbyn, il nostro Mèlenchon, il nostro Sanders. Al netto del fatto che un’indicazione su una presunta premiership ha ragion d’essere in sistemi presidenziali o semipresidenziali o, comunque, in presenza di un sistema elettorale maggioritario, interrogarsi ora sui nomi non ha semplicemente senso. Il vero pericolo da scongiurare, è che quella che sarà inevitabilmente e per ovvie ragioni una alleanza elettorale, non avrà forza e respiro sufficiente per diventare una nuova e solida cosa di sinistra: il polo di sinistra.

Per scongiurare il pericolo, ritengo che innanzitutto bisogna sgombrare il campo da equivoci che rischiano di trasformarsi in macigni sul nostro cammino.

Prima questione: Art. UNO nasce in seguito alla vittoria del NO al referendum? Si vuole rivolgere a quel popolo e invita gli altri possibili interlocutori a guardare in quella direzione? Non ne sono affatto convinto. Secondo me la bocciatura della riforma costituzionale non è solo la bocciatura di larga parte del Paese su Renzi e sul suo governo, è una bocciatura della politica. Voglio dire che il giudizio negativo non è stato espresso in virtù di valutazioni “tecnico-costituzionali”, ma su un rifiuto crescente e generalizzato nei confronti di tutta la politica. Insomma, una sorta di vaffa day istituzionale. L’errore, quindi, della mancanza di una riflessione seria su quel voto non lo ha compiuto solo il PD ma tutta la politica. Ci si è preoccupati, ovunque, di accaparrarsi arbitrariamente cospicue percentuali di SI e NO, senza interrogarsi a fondo sulla natura e sui possibili esiti che quel voto potrà produrre. L’unico che fino ad ora ha capitalizzato quel voto è stato, ed è giusto ammetterlo, proprio Matteo Renzi che è riuscito a serrare le fila all’interno del suo partito e a stravincere le primarie.

Il referendum, però, non ha risolto la “questione istituzionale” nel nostro Paese e non potremo esimerci, l’ho già scritto e lo ribadisco, dall’elaborare serie proposte di riforma (che devono partire, a mio modesto avviso, dalla relazione di minoranza della Commissione Bozzi), altrimenti saremo inevitabilmente bollati come conservatori, come quelli a cui, per tornaconto politico personale, fa comodo lo status quo.

Altra questione da dirimere, quanto dovrà essere “rossa” la cosa? Secondo Bersani, non tutta rossa.
Io ho grandissima stima per Pierluigi Bersani. E’ stato un eccellente amministratore regionale e ministro della Repubblica. Le uniche riforme che hanno segnato in meglio la vita di milioni di consumatori nel nostro Paese portano la sua firma. Ma spesso, quando c’è da compiere scelte politiche nette, avverto sempre una leggera esitazione nel buttare il cuore oltre l’ostacolo. Accadde, ad esempio, quando si trattò di dare un giudizio su Mario Monti e sul fatto che, dopo la sua (disastrosa) esperienza di governo, potesse essere ancora un interlocutore di un possibile governo a guida PD. Non lo escluse mai con nettezza.

Io penso che debba essere “soprattutto” rossa e non per nostalgia. Al contrario. Quando si decise il passaggio dal PCI al PDS, i miei iniziali dubbi furono fugati da un anziano compagno, allora quasi novantenne, che pagò la sua militanza comunista durante il fascismo con violenze fisiche inenarrabili. Mi raccontava delle uve che si coltivavano nello sterminato agro di Cerignola. Uve da cui si ricavava un vino eccellente ma che nessun contadino poteva continuare a coltivare perché le quantità prodotte erano sempre più ridotte difronte ad altri tipi di colture che pur garantendo la stessa qualità, assicuravano produzioni (e guadagni) molto superiori. Per questo, mi diceva, è necessario cambiare: perché quell’uva e quei vini devono essere preservati. Il rosso ha, quindi, valori, pensiamo alla nostra idea di europeismo, di diritti, di ambiente, che devono essere preservati e che non sono negoziabili, e possono essere contaminati ma non annacquati con altri colori. E’ un fatto politico, non cromatico.

Ultimo aspetto (the last but not the least): come selezionare e formare una nuova classe dirigente. E’ un punto tutt’altro che secondario e da cui dipenderanno le fortune, l’avvenire della “cosa”. Innanzitutto dovrà essere una classe dirigente che si dovrà identificare completamente e totalmente nelle opzioni politiche, culturali e programmatiche di questa nuova forza di sinistra. I distinguo e le strizzatine d’occhio, ad esempio, su questioni europee non possono e non devono trovare cittadinanza. Non esiste un’Europa matrigna, esistono forze politiche neoliberiste, neo sovraniste, razziste che ne mortificano il ruolo. Per tutti noi ci dovrà essere un solo punto di riferimento nel nostro essere europeisti: il Manifesto di Ventotene. Punto.

Sarà probabilmente necessario ed inevitabile far ricorso allo strumento delle primarie per individuare le candidature in vista delle prossime elezioni politiche. Ma i candidati non dovranno essere portatori di programmi “alternativi”. Dovranno essere soggetti che accetteranno di mettersi in gioco e di acquisire consensi e credibilità personali rispetto ad un unico progetto comune.
Insomma, dopo le fondamenta, costruiamo muri e arredamento di una casa spaziosa e il più possibile accogliente. Il nome, l’amministratore condominiale, i capo condomini dovranno essere la conseguenza della costruzione dell’opera, non il presupposto su cui costruirla.

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