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Il passato non può cambiare, per fortuna

Il 30 Giugno 2015L’Unità” tornava in edicola con lo slogan “Il passato sta cambiando”, una scelta ossimorica che evidenziava fin dall’inizio una precisa volontà del nuovo editore: riscrivere e utilizzare la storia come relativa e funzionale alla lettura degli avvenimenti politici presenti. Il quotidiano, che nella sua intestazione ha recato prima “Quotidiano degli operai e dei contadini”, poi “Organo del Partito Comunista Italiano” e, infine, “Quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924”, fa parte dell’immaginario collettivo di chi in questo paese sta a sinistra, prima comunista poi democratica. Le sue colonne hanno riportato fatti e opinioni fieramente di parte, che nessun presente può riscrivere.

Oggi, in quello che sarebbe stato il giorno del 94esimo compleanno di Enrico Berlinguer, a 5 mesi dal referendum costituzionale, ma già nel pieno del dibattito interno ed esterno al centrosinistra, assistiamo all’utilizzo strumentale da parte di membri del PD di dichiarazioni fatte da partigiani (per le patenti di veridicità citofonare Boschi) in contrapposizione alla linea espressa e ribadita dall’ANPI nazionale, cioè il sostegno alle ragioni del NO al quesito referendario. Fra le prese di posizione a favore del ci sono anche Germano Nicolini, il comandante “Diavolo”, ingiustamente condannato e incarcerato per 10 anni per un crimine del dopoguerra e Otello Montanari, l’uomo che con il suo “Chi sa parli” contribuì allo scagionamento dello stesso Nicolini. Le motivazioni vanno dal sostegno della semplificazione istituzionale in un mondo che va sempre più veloce, all’impossibilità di stare dalla stessa parte delle destre, soprattutto quando sono neofasciste. Motivazioni legittime. Non sta a me giudicare o confutare, mi basta sapere che queste persone hanno lottato proprio perché ciascun cittadino potesse dire il suo o il suo no. E, a dire il vero, non penso nemmeno che queste persone facciano parte del passato: sono i primi che vogliamo sentire quando si parla di Resistenza, nelle assemblee scolastiche o dai palchi del 25 Aprile.

Oggi la novità è che queste personalità, questi simboli comuni, non vengono più utilizzate per unire, ma per dividere. Le loro dichiarazioni puntuali vengono riportate per delegittimare l’Anpi che ha più di 100mila iscritti e meccanismi democratici interni, che hanno permesso proprio a questi iscritti di partecipare, esprimersi e dare una linea politica col congresso. Un altro trucco è sfruttare frasi parziali e decontestualizzate dei grandi leader del passato Partito Comunista Italiano, ultimo in ordine di tempo addirittura Pietro Ingrao, a sostegno della riforma. Naturalmente senza dare una visione complessiva degli assetti istituzionali a cui questi aspiravano (il più evidente di tutti: il PCI sosteneva il monocameralismo accompagnato a un criterio puramente proporzionale di ripartizione dei membri dell’unica Camera) e, soprattutto, senza possibilità di replica da parte dei morti.

Ecco che insospettabili militanti PD si scoprono innamorati di membri dell’allora PCI, quando altrove si ostinano a definire superate destra e sinistra, rinnegano e anzi si vergognano della radice comunista, oltre che cattolico-democratica, del partito. Seguono così spiacevoli quanto legittime minacce di querela da parte degli eredi dei protagonisti.

La politica odierna spesso fa uso di scorciatoie per superare nodi di merito su cui fatica a rispondere. È un dato di fatto. Però è molto rischioso, se non distruttivo, piegare a questo fine i simboli di una storia e comunità politica, che diventano protagonisti assenti ma discussi del dibattito contemporaneo. Una volta finito il dibattito, vinta o persa la singola battaglia politica, difficilmente torneranno a far parte del patrimonio comune di un’area politica, che va ben oltre la storia delle sigle partitiche dell’attualità. E quando avremo fatto uso strumentale dei partigiani, dopo averlo fatto con il giornale, dopo aver avversato i sindacati, dopo esserci allontanati dai momenti aggregativi comuni, magari prenderemo le distanze da ARCI che pure si schiera per il NO: non so allora cosa ci rimarrà, se e quando dovremo ritrovare punti di condivisione per riunire la nostra comunità.

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