Per la prima volta dopo un quarto di secolo, il Sud sembra essere tornato al centro del dibattito politico. Il risultato elettorale che ha visto trionfare il M5S nelle regioni meridionali ha di fatto riaperto quell’eterna questione che dagli albori dell’unità nazionale ha interrogato gli spiriti e le intelligenze della Sinistra, da Gramsci a Salvemini. Le lenti con le quali si tenta di leggere il Sud, però, risultano ancora distorte. Venti e più anni di settentrionalismo di destra e di sinistra hanno infatti ridotto i cittadini del mezzogiorno a caricature in cerca di assistenzialismo o – peggio ancora – criminali venduti a mafie più o meno feroci. Qui a Sud nessuno si sorprende che anche giornalisti pseudo progressisti abbiano visto nel voto del 4 marzo nient’altro che la richiesta di un reddito di cittadinanza per fannulloni senza voglia di lavorare, manifestando un latente razzismo radical chic.
Nel più benevolo dei casi, si è trattato di un’analisi miope.
Parlo da meridionale e uomo di Sinistra: il Sud non è un luogo comune. Non è un luogo unico, non necessita di banalizzazioni. Ciò che è successo il 4 marzo è frutto dell’esplosione di un sentimento che sedimentava da tempo. Il sentimento dell’abbandono di un pezzo d’Italia con scuole, strade, treni, università e ospedali messi ben peggio che altrove. Un’Italia minore, insomma. Un’Italia periferica: questa è la fotografia del Sud.
Come ogni luogo periferico, il mezzogiorno d’Italia risulta tra i luoghi sconfitti della globalizzazione, che qui più che altrove ha mostrato il suo volto più feroce. E come ad ogni singola categoria dei losers, siano essi individui, classi sociali o interi pezzi di territorio, la Sinistra ha smesso di parlare. Anzi, la Sinistra post ’89 non ha mai parlato. E’ stata incapace di reinventarsi mentre le sirene del liberismo chiamavano le socialdemocrazie novecentesche a terze vie che altro non erano che una destra dal volto umano. E’ avvenuto in Europa, è avvenuto in Italia.
Amplificato negli anni della crisi, il senso d’abbandono che pervade il Sud ha avuto cause e responsabilità ben precise, identificabili in una classe dirigente meridionale che non si è saputa (voluta?) opporre ad una visione nord-centrica che ha guidato tutto lo schieramento politico italiano. Tutto.
E se a destra ciò era spiegabile con la presenza di un partito territoriale, che ha tenuto l’asse ben piantato a settentrione, è nella mancata visione meridionalista della Sinistra che si concentrano le colpe maggiori. La Sinistra magari sa ancora cosa fare nel Sud, in cui cacicchi locali si spartiscono gli ultimi scampoli di un potere logoro, ma non sa più cosa fare del Sud.
Finita l’era dell’intervento straordinario (Cassa del Mezzogiorno), la stagione dei Fondi Europei ha messo a nudo tutta la mancanza di progettualità, visione, di un’idea complessiva di cosa potesse rappresentare il nostro meridione per l’Italia e per il continente intero. E mentre c’erano Regioni governate contemporaneamente dallo schieramento progressista o supposto tale, nessuna vera opzione di rilancio complessivo del Mezzogiorno è stata messa in atto, coordinata, eseguita. Gli interventi che pure ci sono stati hanno sempre dato l’idea di essere slegati da un contesto generale. E’ venuta a mancare, appunto, la visione di cosa fare delSud.
E la drammaticità è che è mancata e manca a Sinistra, perché dimenticare la Questione Meridionale significa, per quest’area politica e culturale, rinnegare parte essenziale di sé.
Come si sarà notato, non sono stati citati partiti o movimenti di Sinistra in quest’articolo. Perché qui a Sud secondo chi scrive non si è avvertita nessuna differenza, ad esempio, tra chi è restato nel PD e chi ne è fuoriuscito, al netto di alcune candidature nobili (come ad esempio quelle del prof. Gianni Cerchia, che ho avuto la possibilità di votare).
La tabula rasa del post-elezioni dà alla Sinistra la possibilità di ripensarsi, anche attraverso la generazione di un partito, vero e possibilmente radicato. Ecco, lo si faccia partendo e piantando i semi al Sud, perché è qui che l’assenza di voci credibili è stata maggiormente deteriore. Per la Sinistra e per coloro che dalla Sinistra dovevano essere rappresentati.
Il voto del Sud abbandonato
Per la prima volta dopo un quarto di secolo, il Sud sembra essere tornato al centro del dibattito politico. Il risultato elettorale che ha visto trionfare il M5S nelle regioni meridionali ha di fatto riaperto quell’eterna questione che dagli albori dell’unità nazionale ha interrogato gli spiriti e le intelligenze della Sinistra, da Gramsci a Salvemini.
Le lenti con le quali si tenta di leggere il Sud, però, risultano ancora distorte. Venti e più anni di settentrionalismo di destra e di sinistra hanno infatti ridotto i cittadini del mezzogiorno a caricature in cerca di assistenzialismo o – peggio ancora – criminali venduti a mafie più o meno feroci. Qui a Sud nessuno si sorprende che anche giornalisti pseudo progressisti abbiano visto nel voto del 4 marzo nient’altro che la richiesta di un reddito di cittadinanza per fannulloni senza voglia di lavorare, manifestando un latente razzismo radical chic.
Nel più benevolo dei casi, si è trattato di un’analisi miope.
Parlo da meridionale e uomo di Sinistra: il Sud non è un luogo comune. Non è un luogo unico, non necessita di banalizzazioni. Ciò che è successo il 4 marzo è frutto dell’esplosione di un sentimento che sedimentava da tempo. Il sentimento dell’abbandono di un pezzo d’Italia con scuole, strade, treni, università e ospedali messi ben peggio che altrove. Un’Italia minore, insomma. Un’Italia periferica: questa è la fotografia del Sud.
Come ogni luogo periferico, il mezzogiorno d’Italia risulta tra i luoghi sconfitti della globalizzazione, che qui più che altrove ha mostrato il suo volto più feroce. E come ad ogni singola categoria dei losers, siano essi individui, classi sociali o interi pezzi di territorio, la Sinistra ha smesso di parlare. Anzi, la Sinistra post ’89 non ha mai parlato. E’ stata incapace di reinventarsi mentre le sirene del liberismo chiamavano le socialdemocrazie novecentesche a terze vie che altro non erano che una destra dal volto umano. E’ avvenuto in Europa, è avvenuto in Italia.
Amplificato negli anni della crisi, il senso d’abbandono che pervade il Sud ha avuto cause e responsabilità ben precise, identificabili in una classe dirigente meridionale che non si è saputa (voluta?) opporre ad una visione nord-centrica che ha guidato tutto lo schieramento politico italiano. Tutto.
E se a destra ciò era spiegabile con la presenza di un partito territoriale, che ha tenuto l’asse ben piantato a settentrione, è nella mancata visione meridionalista della Sinistra che si concentrano le colpe maggiori. La Sinistra magari sa ancora cosa fare nel Sud, in cui cacicchi locali si spartiscono gli ultimi scampoli di un potere logoro, ma non sa più cosa fare del Sud.
Finita l’era dell’intervento straordinario (Cassa del Mezzogiorno), la stagione dei Fondi Europei ha messo a nudo tutta la mancanza di progettualità, visione, di un’idea complessiva di cosa potesse rappresentare il nostro meridione per l’Italia e per il continente intero. E mentre c’erano Regioni governate contemporaneamente dallo schieramento progressista o supposto tale, nessuna vera opzione di rilancio complessivo del Mezzogiorno è stata messa in atto, coordinata, eseguita. Gli interventi che pure ci sono stati hanno sempre dato l’idea di essere slegati da un contesto generale. E’ venuta a mancare, appunto, la visione di cosa fare del Sud.
E la drammaticità è che è mancata e manca a Sinistra, perché dimenticare la Questione Meridionale significa, per quest’area politica e culturale, rinnegare parte essenziale di sé.
Come si sarà notato, non sono stati citati partiti o movimenti di Sinistra in quest’articolo. Perché qui a Sud secondo chi scrive non si è avvertita nessuna differenza, ad esempio, tra chi è restato nel PD e chi ne è fuoriuscito, al netto di alcune candidature nobili (come ad esempio quelle del prof. Gianni Cerchia, che ho avuto la possibilità di votare).
La tabula rasa del post-elezioni dà alla Sinistra la possibilità di ripensarsi, anche attraverso la generazione di un partito, vero e possibilmente radicato. Ecco, lo si faccia partendo e piantando i semi al Sud, perché è qui che l’assenza di voci credibili è stata maggiormente deteriore. Per la Sinistra e per coloro che dalla Sinistra dovevano essere rappresentati.
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Salvatore Legnante
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