ccupati1

Istat dei “miracoli”

L’Istat ha pubblicato i dati relativi all’occupazione, riferiti al mese di Settembre 2017. Inutile rimarcare il solito stravolgimento che ne viene fatto da parte di ambienti governativi e dell’area renziana del Pd: ormai ci siamo abituati, e nessuno ci casca più. Premessa la critica, già espressa in altre numerose occasioni, dovuta al fatto che quando l’Istat parla di “occupati” non specifica né la qualità dell’occupazione (se un ingegnere fa il lavapiatti, come ce ne sono, è “occupato“?) né il numero di ore (ricordiamo che basta aver lavorato anche solo un’ora, nella settimana di riferimento, per essere catalogati fra gli “occupati“) – per cui la parola sarà sempre usata fra virgolette, affinché sia graficamente ricoscibile la critica di fondo che al senso in cui essa è usata viene mossa -, si possono analizzare anche solo alcuni dati per evidenziare quanto sia falso il trionfalismo che da alcuni viene mostrato, e quanto permanga invece grave la situazione occupazionale italiana.

In primo luogo: da un anno all’altro (Settembre 2017 su Settembre 2016), gli “occupati” sono aumentati di 326.000 unità; ma, in realtà, quelli nella fascia 50-64 anni sono cresciuti di ben 415.000 (essenzialmente i “non-pensionati” dovuti ad “effetto Fornero“), per cui tutte le altre fasce (15-24, 25-34, 35-49 anni) sono complessivamente regredite di 415.000-326.000= 89.000 unità (lievissimi progressi delle prime due, grave riduzione della terza, che accusa una diminuzione di 110.000 unità).

In secondo luogo, i lavoratori dipendenti sono aumentati, in quel periodo, di 387.000 unità (si sono perduti circa 60.000 autonomi, perciò il saldo netto è di 326.000); di questi, solo 26.000 sono “permanenti“, vale a dire il 6,7%; gli altri 361.000, vale a dire il 93% del totale, sono “a termine“. Ancora: i lavoratori dipendenti complessivi risultano essere 17.764.000: di essi, 14.962.000 sono “permanenti“, e rappresentano perciò circa l’84% del totale (da un diagramma ricavato da dati Istat si desume che erano circa l’87% nel 2014: quindi il dato è peggiorato, poiché la sua incidenza sul totale è diminuita), mentre 2.801.000 sono “a termine“, circa il 16% (nel 2014 erano circa il 13%: anche in questo caso il dato è peggiorato, essendo aumentato in percentuale).

Ora, i calcoli effettuati sul costo del Jobs Act mostrano tre scenari, secondo i quali il costo lordo complessivo triennale degli sgravi contributivi (quelli che avrebbero dovuto incentivare il lavoro a tempo indeterminato o “permanente“, secondo i loro inventori e propugnatori) varia da un minimo di 14.591 ad un massimo di 22.599 milioni. Domanda: come giudicare un Governo che ha speso da almeno circa 15 fino a circa 23 miliardi di soldi pubblici (sottratti a possibili usi migliori, per esempio ad investimenti e/o a ricerca ed istruzione) per ottenere risultati così miseri, sul piano occupazionale?

Molto ancora si può dire, analizzando i dati Istat pubblicati, e verrà sicuramente fatto: ma non basta già questo, per dimostrare quanto insoddisfacenti siano stati la gestione delle risorse pubbliche ed i risultati occupazionali rapportati alle risorse impiegate, dal 2014 ad oggi? Sarà bene tenere a mente queste cose, assieme ad altre, quando si darà con il voto, fra pochi mesi, un giudizio su quanto è stato realmente fatto dal Governo Renzi e da quello fotocopia di Gentiloni.

Commenti