Joseph Stiglitz: Serve una globalizzazione che funzioni per tutti
Traduzione dell’intervista di Larry Elliott a Joseph Stiglitz pubblicata sul Guardian con il titolo “Joseph Stiglitz: ‘Trump has fascist tendencies’” (16 novembre 2017). Di seguito potete trovare sia una sintesi dell’articolo, che – in calce – la trascrizione quasi integrale della videointervista che lo accompagna.
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La vittoria di Donald Trump su Hillary Clinton alle elezioni presidenziali del 2016 ha incoraggiato Joseph Stiglitz ad aggiornare e ampliare il suo libro del 2002, “La globalizzazione e i suoi oppositori”. Il libro originale, scritto in seguito alle proteste nelle strade di Seattle, Praga, Washington e Genova, arrivava alla conclusione che il malcontento per la globalizzazione era riscontrabile solo nei paesi poveri. Il nuovo libro registra come questa infelicità si sia diffusa dai paesi in via di sviluppo fino ai paesi sviluppati e abbia portato a Trump, alla Brexit e alla crescita del sostegno per i partiti estremisti nell’Europa continentale. […]
Stiglitz racconta che aveva detto a Barack Obama, prima che diventasse presidente, che il focus avrebbe dovuto essere sull’aiutare i cittadini americani comuni. “Ma l’influenza principale sono stati i banchieri di Wall Street”.
Le regole dell’economia americana sono state riscritte negli anni ’80 e hanno indebolito il lavoro e annacquato le leggi sull’anti-trust e sulla concorrenza, afferma Stiglitz. Inoltre, è convinto che questo malcontento sarebbe venuto a galla anche senza la crisi del 2008. “Ma penso che quella crisi l’abbia peggiorato, l’abbia cristallizzato. La crisi del 2008 ha peggiorato notevolmente le cose. Milioni di americani hanno perso la casa e il modo in cui sono state gestite le cose è stato esageratamente iniquo”.
All’origine del malcontento per la globalizzazione sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, continua Stiglitz, ci sono gli accordi commerciali, che sono stati scritti da e per le gorsse aziende e contro i lavoratori. […]
La versione aggiornata de “La globalizzazione e i suoi oppositori” delinea tre possibili percorsi per il futuro: intestardirsi sull’attuale modello di globalizzazione, un nuovo protezionismo o una globalizzazione più equa. Continuare con lo status quo non è politicamente praticabile, dice, e comunque non funzionerebbe; mentre Trump è l’incarnazione del nuovo protezionismo. “Significa isolarsi, ignorare tutti i vantaggi degli scambi commerciali, incluse le specializzazioni. È un populismo disonesto. Dobbiamo far funzionare la globalizzazione, impedire che il 100% dei guadagni vada ai più ricchi”.
Ma una globalizzazione più equa è davvero più praticabile, visto che ci saranno delle resistenze da parte del cosiddetto 1%? “Ci saranno resistenze. Ma siamo delle democrazie. E non penso che ci possano essere delle democrazie funzionanti se la maggior parte delle persone non stanno bene economicamente e sono preoccupate per la precarietà del loro lavoro. La società non può funzionare senza una ricchezza condivisa”.
Stiglitz dice che Bernie Sanders avrebbe potuto battere Trump. “Vedo le elezioni del 2016 come delle elezioni di protesta. Bernie rappresentava un ritorno ai vecchi valori: lo stile di vita della classe media, una casa, una pensione sicura, un’istruzione per i figli, la sanità. Jeremy Corbyn sta dicendo le stesse cose nel Regno Unito”.
Invece, l’America adesso è guidata da un uomo che, dice Stiglitz, non dovrebbe stare nella Casa Bianca.
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Quando ha scritto la prima edizione de “La globalizzazione e i suoi oppositori”, nel 2002, si sarebbe mai immaginato che nel 2017 gli Stati Uniti sarebbero stati guidati da Donald Trump?
Ovviamente no. Credo che nessuno avrebbe potuto immaginare questa particolare svolta. Anche se devo dire che nel 2010-2011 ho iniziato a preoccuparmi molto, perché le cose per la classe media americana non andavano bene, il salario medio del lavoratore maschio a tempo pieno era rimasto invariato per quasi metà secolo, la crisi degli oppiacei, l’aspettativa di vita che calava. Le cose non stavano andando bene. Perciò, quando ho notato queste cose, ho detto: “Se non risolviamo questo problema, avremo un problema politico e, storicamente, si afferma una figura come Trump, una figura fascista.
Pensa che Trump sia una figura fascista?
Di sicuro ha certe tendenze. È confinato dalle nostre istituzioni e ogni giorno in cui queste funzionano ci sentiamo sollevati. Ma non sappiamo quali sono i limiti e non sappiamo fino a dove si potrebbe spingere.
“Fascista” è una parola molto forte…
Sì, lo è. Fra le cose più disturbanti abbiamo gli attacchi alla stampa, gli attacchi a quei pilastri della conoscenza che vanno oltre la stampa. E non abbiamo mai avuto un presidente che giorno dopo giorno mente senza conseguenze.
E l’altra cosa che abbiamo potuto osservare in altri leader fascisti è l’utilizzare questo “noi contro di loro” per dividere la società.
E perché l’hanno votato? Trump è un miliardario, rappresenta l’1% di cui lei parla. E ha beneficiato moltissimo dal sistema della globalizzazione che lei critica nel suo libro…
Bisogna ricordare che ha perso nel voto popolare per 3 milioni di voti. E i sondaggi mostrano costantemente che ha solo il 30/40% del sostegno. Quindi è molto lontano dall’essere un leader popolare, come ci si aspetterebbe da un presidente eletto da poco. I presidenti nuovi solitamente iniziano con un indice di gradimento altissimo e poi scendono in seguito.
Perché Marine Le Pen ha preso il 30% in Francia? E in Austria abbiamo assistito a un fenomeno molto simile. Quindi dobbiamo domandarci: sta accadendo qualcosa a livello globale? Perché questo è un fenomeno globale. In parte deriva dalle crescenti disuguaglianze, in parte da come le persone percepiscono queste disuguaglianze. In certi casi si tratta di rabbia legittima legata alla crisi del 2008 e come è stata gestita: abbiamo salvato i banchieri, le banche, gli azionisti e non abbiamo fatto molto per i proprietari di casa e i lavoratori che stavano perdendo il lavoro.
E all’improvviso Trump ha colto quello che molte persone sentono: “Il sistema è truccato”.
La politica economica di Trump è molto protezionista, “America first”. C’è qualche possibilità che farà quello che ha promesso di fare per le persone normali: migliorare le condizioni di vita, creare nuovi lavori?
No. In nessun modo le politiche che sta portando avanti possono migliorare gli standard di vita. La realtà è che le condizioni di vita delle persone peggioreranno, se riuscisse a realizzare una qualunque delle sue proposte […]: propone la deglobalizzazione, di spezzare le efficienti filiere di distribuzione che sono state create e questo significa aumentare i costi. Il suo approccio non creerà posti di lavoro e peggiorerà gli standard di vita delle persone.
[…] La mia preoccupazione è che quando Trump si renderà conto che non può fare ciò che vuole, che non può toccare il NAFTA, avrà un attacco di rabbia come un bambino e farà qualcosa di pericoloso, come mettere il dito su un bottone che non dovrebbe toccare. […]
Pensa che Trump sia adatto a essere presidente?
No. Non è adatto a essere presidente. Non comprende né le questioni, la complessità delle questioni, né i processi politici. È abituato a stringere accordi, accordi una tantum, su proprietà immobiliari. In quel caso puoi fregare gli impresari, insomma, freghi un tizio, la prossima volta ci si prova di nuovo, la reputazione non conta… Per il Presidente degli Stati Uniti la reputazione però conta. Vogliono sapere se sei una persona di parola. E Trump non è una persona di parola.
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(Foto di copertina: fotogramma dell’intervista a Joseph Stiglitz)