Montanari ha pubblicato nel suo blog un intervento molto critico sull’avvio della esperienza di Liberi e Uguali. Altri, più autorevoli di me, e cito per tutti Antonio Floridia su Huffington Post, hanno già detto cose importanti e, quindi, non aggiungerò molto se non che la conclusione di Montanari – “non è l’inizio di qualcosa di nuovo” – mi pare ingenerosa e portatrice di ulteriori divisioni di cui a sinistra non c’è bisogno.
Qualcosa, invece, è accaduto: ci sono state 158 assemblee alle quali hanno partecipato 42 mila persone che hanno eletto 1500 delegati. Persone in carne ed ossa, lavoratori, donne,, giovani, anziani, occupati e disoccupati, militanti e sostenitori delle forze che hanno promosso uno sforzo unitario.Tutti politicanti? Conosco molti di quelli che hanno partecipato al Brancaccio, alle assemblee autodefinitesi di base, con intento polemico verso le altre assemblee che non sarebbero di base. Quei compagni sono esattamente come i militanti di Articolo Uno, di Possibile, di Sinistra italiana: gente che si impegna volontariamente, che non guadagna da ciò che fa nel sociale, che è convinta delle proprie idee. La differenza è che i secondi hanno una idea dell’organizzazione e sono parte di qualcun di queste, mentre i primi ne hanno un’altra e si dichiarano liberi da vincoli di partito.
Certo, ci sono anche differenze sui contenuti programmatici, ma in questo campo, come ammette lo stesso Montanari, si erano fatti passi avanti, attraverso un percorso di condivisione e mediazione, unica possibilità quando si parla tra soggetti diversi. E in quei contenuti concordati molta parte delle politiche del centrosinistra degli ultimi anni, a cominciare dal culto del blairismo di veltroniana memoria, era stata superata, ammettendo di fatto errori di valutazione e di comportamento rispetto agli effetti della globalizzazione: dal lavoro al fisco, dal welfare alla cultura, dai diritti alla partecipazione fino alla tutela del paesaggio.
Non tutto perfetto, ma cosa non è perfettibile? L’unità politica e programmatica è un processo continuo, non un’ora X in cui scatta il momento delle verità rivelate in cui le differenze si dissolvono come per miracolo. L’unità si costruisce in cammino convinti delle proprie ragioni, ma pronti a trovare punti in comune con altri, con generosità e volontà.
Non è semplice. Nella realtà locale soprattutto. Penso al territorio fiorentino e alla Toscana, a questioni come l’inceneritore di San Donnino, l’aeroporto di Firenze, la litoranea, la stessa organizzazione sanitaria. Ci sono sicuramente contraddizioni fra le posizioni dei diversi soggetti, ma bisogna avere pazienza, evitare le richieste di abiure, ragionare insieme e anche saper “mollare”, da una parte e dall’altra. Ripeto: questo lo si fa lavorando insieme non su ciò che è facile, le cose che più ci uniscono (diritti, antifascismo), ma sulle difficoltà, i problemi e le soluzioni che ci dividono. Se non si capisce questo siamo destinati, come Sinistra, ad essere un mondo di piccoli soggetti, ognuno saldo sulle sue convinzioni, fermi ad attendere il fatidico momento del trionfo delle proprie ragioni. Questa non è politica e non è neanche testiomonianza: è nulla. E non lo dico solo ai compagni del Brancaccio, ma anche ai compagni di Articolo Uno, di Possibile e Sinistra Italiana. Perchè in questi giorni sento toni trionfalistici e talora identitari, mentre invece il lavoro non è finito a meno di non pensare che aver fatto un cartello elettorale sia il massimo cui aspirare.
Ieri l’intervento di Grasso ha dato nuove speranze, dimostrando quanto sia positivo il suo impegno.
Grasso ha detto che il lavoro sul programma deve proseguire e non può essere un’attività dei soli gruppi dirigenti, ma deve svilupparsi in assemblee. Alcune osservazioni, almeno da Firenze, sono partite, ma ora sarebbe importante che su almeno alcuni temi (lavoro, scuola, fisco, sanità) si potesse avere un confronto ampio, non solo con gli iscritti. Il tempo è poco, ma non si può usare questo argomento per non sviluppre un percorso partecipato e su questo Grasso è stato chiaro.
Mi è sembrato importante che abbia affrontato la questione di genere (un primo passo c’è già nel simbolo) dichiarando che nella formazione dei gruppi dirigenti del nuovo soggetto, questo tema sarà al centro del dibattito. Ha parlato di diritti e uguaglianza, rivolgendosi a quella parte di società che è rimasta indietro per le politiche di questi anni.
Abbiamo almeno due mesi di tempo. Sarà dura, ma possiamo fre molto sul piano dei contenuti e credo che anche i compagni del Brancaccio potrebbero offrire con generosità il loro contributo, nella linea che Grasso ha indicato: aprirsi a tutto il patrimonio di impegno sociale e politico presente nella società italiana.
E qui vengo ad un punto sul quale Montanari si sofferma e riguarda la formazione delle liste elettorali che, a suo parere, saranno fatte a tavolino, spartendosi i posti e privilegiando i capi partito. Non condivido l’idea che coloro che oggi sostengono alcune cose e ieri hanno dovuto o voluto fare scelte che oggi non gli appartengono più vadano rottamati. Scommetto sulla buona fede, sull’onestà di chi mi sta a fianco nelle battaglie politiche, anche su chi ieri aveva un punto di vista diverso dal mio. A me non preoccupa per niente se nelle liste ci saranno Bersani, D’Alema o Epifani.
Esiste, però, un problema reale che riguarda il rinnovamento della classe dirigente, ma soprattutto la necessità di superare l’idea che in una organizzazione politica contino solo gli eletti e che questi coincidano con il gruppo dirigente. La scelta di chi dirigerà il nuovo soggetto politico e di chi lo rappresentarà nelle istituzioni deve partire dal principio della divisione di queste due diverse responsabilità, senza rigidità, certo, ma con uno sforzo serio per andare in quella direzione.
Rinnovamento significa soprattutto scelta di nuove persone da coinvolgere nella gestione dell’organizzazione e nella rappresentanza istituzionale. Significa valutare non solo la storia politica, ma le competenze e soprattutto far dare prova di una grande capacità di innovazione, così diversa da quella rottamazione che è entrata nel linguaggio di una politica meschina. Significa scegliere le competenze per l’attuazione del programma anche e soprattutto nella società civile. Per fare questo occorre un percorso partecipato, bisogna dare la possibilità di avanzare proposte da parte di chi parteciperà al processo unitario. E quando Bersani dice che dopo aver tirato il carretto, ora ad altri spetta il compito e che lui è pronto a spingere dimostra una grande generosità e un senso della politica che va apprezzato.
Infine, vorrei sottolineare quello che ha ripetuto Grasso: che il percorso unitaio non è esaurito, se davvero si vuole costruire qualcosa di utile e serio a sinistra, è indispensabile che prima delle elezioni Liberi e Uguali diventi il nuovo soggetto politico e non solo un cartello elettorale. Molti di noi si aspettano questo e sperano davvero che sia un nuovo inizio.
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Nella foto di copertina: I partecipanti all’assemblea del tre dicembre che ha dato vita a Liberi e Uguali