Non so a quanti a sinistra piaccia Andrea Camilleri, io lo adoro e ho divorato tutti i suoi romanzi. Tutti, non solo quelli in cui è protagonista il commissario Montalbano. Camilleri si è dedicato anche alla scrittura di alcuni romanzi storici, uno di questi è “La mossa del cavallo”. E’ ambientato nell’immaginaria Vigata nel 1887 dove viene inviato dal Direttore generale delle Finanze di Roma, il rag. Giovanni Bovara, vigatese di nascita ma da molti anni genovese di adozione. Deve indagare su presunti atti di corruzione e sulla morte sospetta di due suoi colleghi. La sua “genovesità” lo fa sentire protetto, pensa e agisce da genovese sentendosi immune ed estraneo alla rete di complicità e di sottintesi dell’ambiente mafioso e omertoso siciliano. Nello stesso tempo, tuttavia, ciò gli impedisce di capire la trama dei rapporti criminali che viene intessuta su di lui. Durante un suo giro di ispezioni, assiste all’omicidio di un prete che prima di morire, in uno scambio di battute tra la tragedia e la farsa, riesce a sussurrargli il nome del suo assassino. Il ragioniere corre dai carabinieri a denunciare l’accaduto, ma sarà egli stesso incriminato e rinviato a giudizio per il delitto. Il processo a suo carico sembra portare inevitabilmente alla condanna, ma Bovara farà la “mossa del cavallo”, cioè “scavalcherà” la sua stessa mentalità e incomincerà a parlare e a ragionare in siciliano, recuperando il dialetto della sua infanzia, compenetrandosi così nel modo di agire di chi l’accusa, ribaltando la realtà a suo favore e salvandosi.

Questo romanzo può essere considerato una illuminante metafora sullo stato della sinistra, in Italia e non solo. Spero che nessuno pensi che la significativa affluenza alle primarie di domenica scorsa e l’elezione di Zingaretti abbiano risolto gli enormi problemi che abbiamo difronte. Perché ciò che la sinistra fa fatica a recuperare è il linguaggio, gli accenti, il modo di pensare e l’anima stessa di chi vorrebbe tornare a rappresentare, ma proprio non gliela fa.

Prendiamo ad esempio il reddito di cittadinanza. Siamo passati dal “è una misura che incentiverà a rimanere sul divano, anziché cercare lavoro” al “era meglio il nostro reddito di inclusione e, se ci ritoccherà, lo riprenderemo”. Intanto, milioni di italiani, soprattutto i meno giovani e con oggettive difficoltà di ricollocarsi nel mondo del lavoro, si stanno preparando a lunghe file per accedervi. E’ vero che occorrerebbe concentrarsi sugli investimenti pubblici, sbloccando cantieri per circa 130 miliardi di euro, TAV compresa, per creare lavoro. E’ vero che quella dei navigator è una farsa e bene ha fatto la Regione Toscana a porre il tema dell’incostituzionalità del loro metodo di reclutamento.

E’ tutto vero e giusto, ma a quei milioni di disperati che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena, cosa gli raccontiamo? Aspettate che si torni noi al governo e vedrete? Vogliamo ricordarci che al governo ci siamo stati cinque anni e hanno già visto, e hanno gridato un assordante “vaffa” il 4 marzo dello scorso anno? E la “Fornero” siamo proprio certi che, parafrasando il Candido di Voltaire, sia la migliore delle riforme pensionistiche possibili?

Ora il tema del nostro linguaggio, del nostro modo di entrare in sintonia con chi ci ha “scavallati”, si riproporrà con la questione del “salario minimo”. Di Maio ha chiesto la PD e alla sinistra parlamentare di votare la loro proposta in materia, ottenendo uno sdegnoso rifiuto. Immagino che qualcuno abbia in conseguenza di ciò pensato ad una standing ovation da parte dei riders e di tutti i giovani e meno giovani lavoratori precari. Temo non sia così.

Il tema di un salario minimo garantito era ed è un argomento che dovrebbe essere caro alla sinistra. Persino Renzi, aveva già bell e pronto un disegno di legge in materia. Aveva un difetto non da poco, e cioè prevedeva che i sindacati intervenissero solo nella “fase 2”, cioè nella fase di contrattazione aziendale ed esclusi totalmente dalla fase di formazione del provvedimento. Ma si sa, il senatore di Scandicci nutriva una vera e propria idiosincrasia per il confronto con le parti sociali.

Se fosse toccato a me rispondere all’invito di Di Maio, non l’avrei respinto. Avrei semplicemente detto che non avrei mai votato un provvedimento di tale portata al buio, firmando una cambiale in bianco, ma solo se in esso fossero stati inseriti contenuti da me proposti. Insomma, l’avrei costruito insieme e avrei certamente aperto non solo una contraddizione in seno ai 5Stelle e nello stesso governo (e qui prevale il Togliatti che è in me) ma, ed è ciò che più conta, avrei fatto qualcosa di utile, di positivo, di rappresentativo, nei confronti dei tanti possibili beneficiari.

Di più, avrei sfidato i grillini anche su altri temi. Il reddito di cittadinanza, infatti, non risolve il gravissimo problema dell’impossibilità di accesso alle cure mediche e ai farmaci per milioni di cittadini. Perché non si prepara un altro provvedimento, che si sarei stato disposto a votare, di aumento delle risorse per la sanità pubblica, sottraendole, magari, alla flat tax? Avrei fatto le mie mosse del cavallo. E non so manco giocare a scacchi!

Foto in evidenza: Nicola Zingaretti, nuovo segretario del PD

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