Nel suo editoriale domenicale del 3 Settembre Eugenio Scalfari si occupa (principalmente) di un tema che rappresenta una ferita sanguinante nel corpo del Paese, ed anche un fatto socialmente intollerabile: la povertà. Il titolo del suo “pezzo” è infatti “La strada maestra per vincere la sfida della povertà” .
Nel corso del suo articolo Scalfari scrive: «C’è un punto sul quale converrà soffermarsi: i poveri. Possibile che ci siano sempre stati e sempre ci saranno? Il mondo va avanti, la vita sempre cambia, la tecnologia è in crescita costante, ma i poveri sono lì, senza lavoro, senza reddito compatibile, senza le forze di eliminare o almeno fortemente modificare quella loro condizione. A volte il loro numero, in rapporto al numero totale degli abitanti di quel territorio, diminuisce e questo è un gran successo. Stabilmente? Sì, a volte stabilmente». Come dimostra il Rapporto Istat per il 2016, del 13 Luglio 2017, la povertà in Italia non solo non è diminuita, ma è finanche aumentata, negli ultimi anni: non è il caso, anzi è l’opposto di quello che Scalfari cita come possibile, che “il numero di poveri diminuisca, ed anche stabilmente“.
E, più avanti, il fondatore di Repubblica prosegue auspicando «Politiche che sostengano lavoro e occupazione, specie per i giovani, aiutando gli anziani con pensioni che assicurino loro la vita, e puntino sulla lotta alle diseguaglianze, sul taglio consistente del cuneo fiscale e sul suo finanziamento attraverso imposte di natura patrimoniale. Una pratica del genere può definirsi di sinistra? Personalmente sono convinto che sia una politica di sinistra e mi auguro un governo, dopo la naturale scadenza della legislatura, che la attui e la diffonda a livello europeo».
Ecco: Scalfari scrive “un governo“, non fa nomi e meno che mai quello, da lui più volte proposto nei mesi passati, di Matteo Renzi, forse convinto (finalmente!, se è così, benché un po’ – un po’ tanto – tardivamente) del fatto che il toscano non troverà mai più (come molti hanno previsto da tempo) le condizioni per tornare a Palazzo Chigi, soprattutto perché l’uomo si è dimostrato (anche questo era stato da più parti previsto, e da tempo) assolutamente inadeguato a quel ruolo. Quale fallimento più definitivo, quale più solare ed incontrovertibile manifestazione di incapacità vi può essere, per un uomo “di governo“, che quella di spendere 50 miliardi (“Repubblica” ha pubblicato una tabella dettagliata, il 30 Aprile scorso), che sono una montagna di risorse pubbliche, senza far apprezzabilmente aumentare l’occupazione (ancora due giorni fa lo stesso Presidente Gentiloni ha dichiarato a Cernobbio, testualmente, che “la disoccupazione – soprattutto giovanile, delle donne, del Sud – è clamorosamente scandalosa“: sembra un de profundis per il suo predecessore, forse lo è, e facendo addirittura aumentare non solo il debito pubblico (di molto oltre cento miliardi, come certificato dalla Banca d’Italia) ma addirittura quella piaga insopportabile in un Paese avanzato e ricco che è la povertà, salita a livelli pericolosi, a rischio di rottura sociale, dato che riguarda (lo dice l’Istat) il 14% dei cittadini, uno su sette? Quell’uomo ha fatto già molto danno: ci sono almeno “8 milioni 465mila individui” (i poveri rilevati dall’Istat) che lo possono tristemente testimoniare – senza contare, fuori classifica, i “quasi-poveri“, quelli la cui condizione economica è contigua alla povertà, che sono forse anche più numerosi dei poveri conclamati. I trionfalismi spesso esibiti – l’Italia è ripartita, l’Italia è sulla “buona strada” – sono perciò impudenti ed offensivi, rispetto alla sofferenza di milioni di cittadini indigenti.
Si può quindi concordare con Scalfari sulla necessità di “un Governo” che attui delle politiche adeguate alle condizioni del Paese, purché esso non sia guidato dalla persona sbagliata, come “quella” persona sarebbe (ma questo pericolo, ormai, non sussiste). Naturalmente, che “quel Governo” non sia guidato da Renzi è una condizione necessaria ma non sufficiente: ed è questa la questione politica che sta davanti a tutti noi, da qui alla primavera del 2018.
La povertà, c’è arrivato anche Scalfari
Nel suo editoriale domenicale del 3 Settembre Eugenio Scalfari si occupa (principalmente) di un tema che rappresenta una ferita sanguinante nel corpo del Paese, ed anche un fatto socialmente intollerabile: la povertà. Il titolo del suo “pezzo” è infatti “La strada maestra per vincere la sfida della povertà” .
Nel corso del suo articolo Scalfari scrive: «C’è un punto sul quale converrà soffermarsi: i poveri. Possibile che ci siano sempre stati e sempre ci saranno? Il mondo va avanti, la vita sempre cambia, la tecnologia è in crescita costante, ma i poveri sono lì, senza lavoro, senza reddito compatibile, senza le forze di eliminare o almeno fortemente modificare quella loro condizione. A volte il loro numero, in rapporto al numero totale degli abitanti di quel territorio, diminuisce e questo è un gran successo. Stabilmente? Sì, a volte stabilmente». Come dimostra il Rapporto Istat per il 2016, del 13 Luglio 2017, la povertà in Italia non solo non è diminuita, ma è finanche aumentata, negli ultimi anni: non è il caso, anzi è l’opposto di quello che Scalfari cita come possibile, che “il numero di poveri diminuisca, ed anche stabilmente“.
E, più avanti, il fondatore di Repubblica prosegue auspicando «Politiche che sostengano lavoro e occupazione, specie per i giovani, aiutando gli anziani con pensioni che assicurino loro la vita, e puntino sulla lotta alle diseguaglianze, sul taglio consistente del cuneo fiscale e sul suo finanziamento attraverso imposte di natura patrimoniale. Una pratica del genere può definirsi di sinistra? Personalmente sono convinto che sia una politica di sinistra e mi auguro un governo, dopo la naturale scadenza della legislatura, che la attui e la diffonda a livello europeo».
Ecco: Scalfari scrive “un governo“, non fa nomi e meno che mai quello, da lui più volte proposto nei mesi passati, di Matteo Renzi, forse convinto (finalmente!, se è così, benché un po’ – un po’ tanto – tardivamente) del fatto che il toscano non troverà mai più (come molti hanno previsto da tempo) le condizioni per tornare a Palazzo Chigi, soprattutto perché l’uomo si è dimostrato (anche questo era stato da più parti previsto, e da tempo) assolutamente inadeguato a quel ruolo. Quale fallimento più definitivo, quale più solare ed incontrovertibile manifestazione di incapacità vi può essere, per un uomo “di governo“, che quella di spendere 50 miliardi (“Repubblica” ha pubblicato una tabella dettagliata, il 30 Aprile scorso), che sono una montagna di risorse pubbliche, senza far apprezzabilmente aumentare l’occupazione (ancora due giorni fa lo stesso Presidente Gentiloni ha dichiarato a Cernobbio, testualmente, che “la disoccupazione – soprattutto giovanile, delle donne, del Sud – è clamorosamente scandalosa“: sembra un de profundis per il suo predecessore, forse lo è, e facendo addirittura aumentare non solo il debito pubblico (di molto oltre cento miliardi, come certificato dalla Banca d’Italia) ma addirittura quella piaga insopportabile in un Paese avanzato e ricco che è la povertà, salita a livelli pericolosi, a rischio di rottura sociale, dato che riguarda (lo dice l’Istat) il 14% dei cittadini, uno su sette? Quell’uomo ha fatto già molto danno: ci sono almeno “8 milioni 465mila individui” (i poveri rilevati dall’Istat) che lo possono tristemente testimoniare – senza contare, fuori classifica, i “quasi-poveri“, quelli la cui condizione economica è contigua alla povertà, che sono forse anche più numerosi dei poveri conclamati. I trionfalismi spesso esibiti – l’Italia è ripartita, l’Italia è sulla “buona strada” – sono perciò impudenti ed offensivi, rispetto alla sofferenza di milioni di cittadini indigenti.
Si può quindi concordare con Scalfari sulla necessità di “un Governo” che attui delle politiche adeguate alle condizioni del Paese, purché esso non sia guidato dalla persona sbagliata, come “quella” persona sarebbe (ma questo pericolo, ormai, non sussiste). Naturalmente, che “quel Governo” non sia guidato da Renzi è una condizione necessaria ma non sufficiente: ed è questa la questione politica che sta davanti a tutti noi, da qui alla primavera del 2018.
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Franco Bianco
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