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Armonizzare, una questione di qualità

I commenti e le reazioni alla sentenza della Corte Costituzionale sul cosiddetto Italicum hanno già ampiamente illustrato quale sia la normativa elettorale “residuale”, ossia le regole che sarebbero oggi in vigore se si dovesse andare a votare. Non occorre quindi qui illustrare in dettaglio le caratteristiche dei due (diversi) sistemi elettorali (per la Camera e il Senato) che oggi, alla luce di questo pronunciamento, sarebbero immediatamente “applicabili”. Qui vorremmo qui discutere alcune implicazioni politiche di questa vicenda.

E’ evidente che si stanno scontrando due “partiti”, quello del “voto subito” e quello di chi vorrebbe innanzi tutto “armonizzare” i due sistemi e magari andare a votare alla scadenza naturale della legislatura, nel febbraio del 2018. Ebbene, si possono comprendere (e non condividere) le ragioni “tattiche” del primo schieramento (piuttosto eterogeneo, spaziando da Renzi alla Lega, passando per il M5S), ma una motivazione addotta a sostegno di questa tesi non regge proprio: ossia che i due sistemi “residui” sono “abbastanza omogenei”. Basti considerare quanto segue:
a) alla Camera resta ancora un (eventuale) premio di maggioranza, per una lista che superi il 40%; al Senato, non c’è alcun premio;
b) alla Camera concorrono liste “isolate”; al Senato, si prevede ancora la possibilità di coalizioni;
c) alla Camera, c’è una soglia di accesso fissata al 3%; al Senato, la soglia è all’8% per le liste “isolate”, e al 3% per le liste all’interno di una coalizione, purché questa – a sua volta – raggiunga il 20%;
d) alla Camera, c’è la doppia preferenza di genere; al Senato, la preferenza unica.
e) alla Camera, i capilista sono “bloccati”; al Senato, no…

Ora, di fronte a questo panorama, un minimo di ragionevolezza politica imporrebbe un’azione legislativa di ordinaria “manutenzione” e di adeguamento. Anche perché, ed è un aspetto che spesso viene sottovalutato, gli elettori hanno bisogno – per poter esercitare pienamente il proprio diritto di voto e, in particolare, poter conoscere e valutare gli effetti delle proprie scelte – di un sistema elettorale chiaro e leggibile: gli algoritmi con cui si calcolano i seggi possono essere anche complicati, ma l’elettore deve poter capire cosa accade se vota in un modo o nell’altro. I meccanismi di apprendimento, da parte degli elettori, sono essenziali: e certo non aiuta a riconciliarsi con la politica trovarsi di fronte

a) sistemi elettorali che cambiano continuamente (l’Italia è un unicum nel quadro delle democrazie: in nessun altro paese, in 20 anni sono cambiati tre o quattro volte le regole del gioco….);

b) sistemi elettorali sostanzialmente diversi, anche per l’elezione dei due rami del parlamento.

Sarebbe ragionevole anche un confronto politico che, con la necessaria riflessione, assuma anche un modello interamente diverso, come potrebbe essere un riforma che riprenda l’impianto della legge Mattarella, con cui si è votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001; ma anche se si volesse restare dentro l’impianto delle due leggi “residuali” oggi vigenti, un’opera di aggiustamento appare necessaria. E quindi, la corsa frenetica al voto, mal si concilia con questa vitale esigenza democratica: semplicemente, offrire agli elettori un sistema elettorale chiaro, comprensibile, omogeneo.

Su una questione particolare, infine, occorre richiamare l’attenzione: la questione dei capilista. Qui va rilevato un aspetto di profilo costituzionalistico, che ha immediato rilievo politico. La Corte, si dice (e qualcuno biasima), ha “salvato” i capilista “bloccati”. Ma ciò è avvenuto sulla base di una delicata motivazione (vedremo anche le motivazioni della sentenza): la Corte, nel giudicare l’incostituzionalità di una norma elettorale, deve comunque salvaguardare un principio: che una legge elettorale, quale che sia, possa essere sempre in vigore. “Cassare” il blocco dei capilista, per l’appunto, era una scelta che avrebbe impedito questa clausola di salvaguardia e di “chiusura”: non poteva essere la Corte a indicare quale altro sistema di elezione avrebbe dovuto sostituire questa norma. Sarebbe toccato al Parlamento provvedere: ma quale garanzia ci sarebbe stata che questo sarebbe avvenuto. Così la Corte si è dovuta appigliare ad una vecchia norma del 1957 (sic!) che prevede il sorteggio in caso di pluri-elezione. E’ evidente come si sia di fronte ad una soluzione di ripiego, che mette in luce il fallimento della politica, in tutti questi anni, nel produrre una normativa elettorale seria, solida, non legata alle contingenze della cronaca politica o alle convenienze tattiche del leader di turno: una situazione che mette in luce anche il carattere improprio delle attese che sono state riposte nelle decisioni della Corte.

Ma proprio per questo, ed anche per questo, si impone oggi un intervento legislativo: tanto più in quanto siamo di fronte ad un tema – le modalità di elezione della rappresentanza politica – che tocca un nervo scoperto della crisi che investe oggi il rapporto tra cittadini e istituzioni. Introdurre nella legge elettorale norme che evitino il “blocco” dei candidati è una priorità democratica: il primo passo per ricostruire un tessuto di fiducia nella nostra democrazia è quello di ridare una legittimità “dal basso” a tutti i singoli eletti: non farli apparire “nominati” e nemmeno solo dipendenti dalla sorte del loro “capo” (com’era con l’Italicum e il Porcellum). Può accadere in vari modi: con i collegi del Mattarellum, con le preferenze, ma anche – al limite – con una forte riduzione della dimensione delle circoscrizioni, e anche con liste “bloccate” molto corte, di tre o quattro nomi, che li trasformino di fatto in collegi pluri-nominali. L’essenziale è garantire all’elettore un diritto: sapere quali effetti produce il suo voto, chi contribuisce ad eleggere. Non un meccanismo, come era nell’Italicum, che si fonda sulla centralizzazione della competizione tra i leader; ma un meccanismo che ricostruisca un rapporto tra politica e territorio.

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