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La Toscana, dove tutto ebbe inizio

L’analisi dei risultati dell’ultima tornata amministrativa è abbastanza semplice e univoca. E un focus sulla Toscana aiuta a renderla vieppiù lineare e drammatica.

1. Il centrosinistra (neologismo ormai desueto e destituito di ogni significato e contenuto politico e culturale) e il PD perdono (quasi) ovunque perché sono identificati, non a torto, con il “sistema”, con un potere consolidato e stanco. Avviene così ad ogni tramonto di regime politico, quando vengono meno le condizioni all’intorno (sociali, culturali ed economiche) che lo hanno generato; e quando esso non riesce ad interpretare e dare risposte convincenti ai tempi e ai problemi nuovi che si approssimano. Mutuando termini e interpretazioni dalla storia della scienza, ci troviamo ormai totalmente immersi in quella fase che l’epistemologo Thomas Kuhn definiva di “slittamento di paradigma”, cioè nella fase di passaggio tra una “scienza normale” e il nuovo paradigma, in cui vere e proprie “rivoluzioni” (scientifiche nel caso di Kuhn) tendono ad articolare e specializzare nuovi strumenti di lettura e interpretazione della realtà.

2. La sinistra (anche questo termine antico che deve ritrovare una sua ragion d’essere, una nuova “specializzazione” e “articolazione”) si salva solo laddove si presenta non sotto i vessilli del PD (indiscutibilmente, ça va sans dire. Renziano), nelle forme e nei modi (come per il caso bresciano); oppure con un percorso originale, libero dai condizionamenti delle lotte di potere interne, fondato e radicato sulle specificità del territorio in cui si traducono risposte ai problemi vasti del mondo. E’ il caso di Campi, dove Emiliano Fossi, riconfermato sindaco con il 52,27% dei voti al ballottaggio, non si è fatto irretire nelle vecchie e nuove logiche di posizionamento nella sinistra e ha cercato con i cittadini e le realtà associative del territorio, una propria interpretazione e risposta ai grandi temi delle migrazioni, della coesistenza fra culture diverse, della crisi economica e di quella di identità delle comunità locali, delle problematiche ambientali e infrastrutturali che si sono riversate sul territorio di Campi (come su ogni altro territorio).

A Campi il primo partito non è il PD (di cui pure Fossi fa parte, ma senza mai aver preso parte alle diatribe interne, né aver mai giurato fedeltà eterna al leader e ai suoi dioscuri locali), bensì la lista civica del sindaco, che evidentemente porta il suo “valore aggiunto” alla coalizione. A Pescia, in condizioni assai diverse, vince Oreste Giurlani, con le sue liste civiche, senza il Pd che, infatti, al primo turno arriva terzo con un umiliante 11,42% dei consensi. Non senza significato anche il fatto che a Siena, al ballottaggio, il primo partito di nuovo non è il Pd (18,34%) bensì la lista civica di Piccini (19,52%), apparentato con Valentini dopo aver corso da solo al primo turno raccogliendo un ragguardevole (21,27% pari a 5.617 voti, di cui solo 4.543 portati in dote a Valentini al secondo turno). Dove, invece, il Pd mantiene la sua “vocazione maggioritaria” e si presenta da solo, interprete della stagione renziana (a Pisa accettando il terreno di scontro imposto dalla destra sui temi securitari; a Massa un’alleanza a sinistra al primo turno avrebbe potuto portare a risultati ben diversi), viene sonoramente sconfitto.

3. Nei due campi avversi, M5S e Destra (a “trazione” leghista anche in Toscana), ormai avviene spontaneamente quello che avviene coscientemente a livello nazionale: due forze oggettivamente e socialmente diverse che si presentano divise al primo turno, calamitano su uno dei due (in Toscana verso il candidato di Destra) i consensi dell’altro. Il cemento è l’opposizione, finanche il fastidio e l’insofferenza, al Pd. Non c’è scampo; è sempre così. A Massa il candidato del centrodestra Persiani raccoglie 9.916 voti al primo turno (28,18%) e ben 17.830 (pari al 56,62%) al ballottaggio, convogliando su di sé i 5.297 voti (15,05%) del M5S (oltre ai 696, cioè l’1,97% di Casa Pound. A Pisa, Michele Conti prende 13.795 voti (33,36%) al primo turno e 20.692 voti (52,29%) al ballottaggio, raccogliendo i 4.094 voti (9,90%) del M5s (e quelli di varie altre liste civiche). A Siena, Luigi De Mossi prende 6.400 voti (24,23%) al primo turno e raddoppia con 12.065 voti (50,80%) al ballottaggio, drenando i voti di varie liste civiche dove si erano “rifugiati” i voti del movimento che fu di Grillo, non presente alle elezioni (compresi una parte del voto “grillino” andato a Piccini). Anche a Pietrasanta il candidato di centrodestra Giovannetti, che prende 5.026 voti (39,81%) al primo turno, vince con 6.114 voti (52,15%) convogliando certamente su di sé una buona parte dei 1.078 voti del M5S (8,53%) e di altre liste civiche (ma qui la crescita di consensi fra il primo e il secondo turno per il centrodestra è meno accentuata che altrove). Tutto questo, pur nella peculiarità delle situazioni locali, ha un solo nome: insofferenza per il Pd.

4. Se così si può leggere il voto espresso a favore della Destra in Toscana, non molto diverso può essere considerato il non-voto. Cioè, dove sono finiti quelli che votavano fino a qualche anno fa il Pd e prima ancora le forze di sinistra e del centrosinistra? Si dovrebbe valutare la serie storica con più accuratezza, ma se ci limitiamo agli ultimi 5 anni, cioè alle elezioni amministrative precedenti, i risultati mi sembrano sorprendenti. L’astensione non cresce in modo significativo, salvo a Massa dove i votanti erano il 66,76% nel 2013 e sono il 54,87% oggi e a Campi Bisenzio che passa dal 51.32% dei votanti al 43,28%. Ma a Pisa e a Siena il dato è opposto: nella prima votarono il 55,77% nel 2013 e il 55,85% oggi, nella seconda il 54,98% degli elettori votò nel 2013 e il 56,19% oggi. Ciò che cambia è la direzione del voto e credo si possa dire che si è visto uno spostamento clamoroso di voti dal PD al Centrodestra. A Massa lo stesso candidato del PD prende 20.691 voti nel 2013 (54,18%) e ne raccoglie solo 13.658 oggi (43,38%). A Siena sempre lo stesso candidato del Pd, Bruno Valentini, raccoglie 12.076 voti nel 2013 (52%) e solo 11.687 voti (49,20%) nel 2018, ma nel 2013 c’erano anche 2.494 voti del M5S (8,56%) che ovviamente il PD non ha raccolto. Invece li raccoglie il Centrodestra che a Massa nel 2013 si presenta diviso in ben 5 liste e per questo, dunque, perde al primo turno, come anche a Siena e a Pisa, dove può avvalersi anche di parte del voto del M5S.

Si potrebbe concludere, dunque, che il “marchioPD non solo non è più vincente, ma è respingente. Ne possiamo trarre qualche insegnamento anche in Toscana, dove il renzismo ha fondato il suo consenso e il suo potere? Io penso di sì. Mi ha impressionato l’articolo di Monica Guerzoni di oggi sul Corriere della Sera in cui, rappresentando la debaclé del Pd in Toscana, colloca su un’unica linea il dalemismo, il bersanismo e il renzismo che in questa terra sono stati, senza soluzione di continuità, il collante di gruppi dirigenti che si sono schierati sempre con questi tre così diversi e opposti leader. Cosa li ha tenuti così avvinti ai cambiamenti di leader nelle diverse edizioni della sinistra in Toscana? Tema su cui si sono esercitati politologi, sociologi, economisti ormai da diverso tempo. Ma lo stesso continuismo ci suggerisce anche, prosaicamente, che chi andò per rottamare, finì rottamato, proprio qui in Toscana dove tutto ebbe inizio. E che l’inseguimento del centrodestra sul terreno del partito leaderistico, su quello dell’esclusivismo culturale e dell’ossessione di una sicurezza fondata non sull’inclusione e la coesione sociale, bensì sull’esclusione e il respingimento non può premiare elettoralmente la sinistra, ma al contrario la perde e la fa perdere.

Simone Siliani, Direttore Fondazione Finanza Etica

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