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L’ambiente nel “contratto” legastellato: le tesi che avremmo dovuto sostenere noi

Mi occupo di ambiente e di servizi pubblici locali da tempo e sono stato tra quelli che, nel centrosinistra, hanno lottato per sostenere il SI al referendum sull’acqua pubblica. In quegli stessi anni mi sono battuto nella mia regione per proporre una gestione virtuosa dei rifiuti che mettesse al centro il recupero della materia a scapito degli impianti di smaltimento. Purtroppo, nel corso della mia esperienza politica ed amministrativa, ho trovato enormi resistenze in quelli che erano i miei compagni di viaggio.

In queste ore stanno emergendo gradualmente i dettagli del cosiddetto “contratto di Governo” tra Lega e Movimento 5 Stelle e l’occhio mi è immediatamente caduto sui capitoli che affrontano il tema della gestione dell’acqua e delle politiche ambientali. Per i contenuti che contiene, avrei potuto scrivere io quel testo e in un attimo mi sono passati davanti i fotogrammi di tutti gli incontri istituzionali, le assemblee pubbliche o le riunioni di Partito in cui mi sono trovato a discutere di questi temi.

Per anni mi sono sentito dire dagli alfieri delle fusioni societarie e delle quotazioni in borsa che l’unica gestione virtuosa dell’acqua era quella garantita dalle grandi società multiservizi. Aziende non sempre vicine al territorio e che vivono nella contraddizione di dover gestire sia servizi sul mercato che attività assegnate con concessioni pubbliche.

Tra il referendum 2011 ed il 2018 il centrosinistra ha partecipato a tutti i governi che si sono susseguiti (tranne i pochi mesi dell’ultimo governo Berlusconi) e nessuna norma ha sostenuto le realtà locali che volessero gestire l’acqua con aziende a totale controllo pubblico. Anzi, la situazione è peggiorata.

In tante occasioni mi è stato detto che non si poteva superare un determinato livello di raccolta differenziata e che la riduzione del numero di inceneritori della mia Regione sarebbe stata utopia. L’unico atto sostenuto dai governi nazionali di questi anni è stata la liberalizzazione degli impianti di incenerimento pubblici e privati, come se la pianificazione della gestione dei rifiuti non fosse una competenza delle istituzioni da definire sulla base di principi di sostenibilità ambientale.

E che dire del consumo di suolo? Le norme che in Parlamento sono state proposte non sono mai andate a buon fine ed addirittura sono state redatte norme, come quella della Regione Emilia-Romagna, che hanno ridotto la capacità pubblica di limitare i nuovi insediamenti. Solo la Regione Toscana, in merito al consumo di suolo, ha avuto il coraggio di approvare una norma avanzata.

L’unico vero successo in campo ambientale che abbiamo registrato a livello nazionale in questi anni è stata la norma sugli ecoreati e non a caso è stata approvata in maniera quasi unanime dal Parlamento.

Nel programma “legastellato” si parla di acqua pubblica, di raccolta differenziata spinta (da realizzare attraverso la tariffa puntuale con il graduale superamento degli impianti di smaltimento) e di consumo di suolo. Non sempre le forze politiche che stanno scrivendo questo programma sono state coerenti. Se le gestioni pubbliche dell’acqua e dei rifiuti nei territori amministrati dalla Lega sono tra le più virtuose del paese, sul consumo di suolo quel partito non si è certo distinto per innovazione e basta vedere lo sviluppo urbanistico delle pianure venete e lombarde. Parallelamente il Movimento 5 Stelle non ha portato a termine nessun proposito di rendere pubblica l’acqua nelle realtà che amministra.

Tuttavia, da assessore all’ambiente di una città – Reggio Emilia – che a fine 2018 arriverà a circa il 75% di raccolta differenziata dopo aver disattivato l’impiantistica di smaltimento e da amministratore che ha lavorato per anni sulla possibilità di gestire l’acqua con un’azienda a totale controllo pubblico, penso che su questo fronte la mia parte politica a livello nazionale – ed in tante realtà locali – ha sbagliato tante cose.

In tutta sincerità fatico ad attribuire questi errori solamente alla stagione renziana del PD. Se è vero che Matteo Renzi ha sostenuto la bocciatura del referendum sulle trivellazioni ed ha autorizzato – con lo sblocca Italia – la piena liberalizzazione degli inceneritori, è anche vero che diversi esponenti politici candidati (come me) nelle liste di Liberi e Uguali hanno decantato per anni i benefici dei processi di privatizzazione dei servizi pubblici a rilevanza ambientale. Lo hanno fatto sia da amministratori locali che da politici nazionali e credo che questo sia parte dello scarso risultato che abbiamo ottenuto.

Non sosterrò mai un Governo che ha come perno un partito di destra come la Lega. Su temi cruciali come l’immigrazione o la progressività fiscale mi sento ad anni luce di distanza dalle proposte che sono contenute nel “contratto“. Ma ritengo di avere sufficiente autonomia di pensiero ed onestà intellettuale per poter dire che se parliamo di ambiente come centrosinistra abbiamo perso sul piano culturale e politico perché non abbiamo avuto un pensiero forte. E quando sono state espresse tesi più avanzate, come nell’ultima campagna elettorale, non sempre abbiamo avuto un personale politico credibile per poterle portare avanti.

Le rivoluzioni si costruiscono con le pratiche quotidiane e con la coerenza tra i principi che si enunciano e le scelte che si compiono. Ci sono decine di città in cui il centrosinistra ha sostenuto progetti virtuosi in campo ambientale ed ha difeso la qualità dei propri servizi pubblici locali. Tuttavia in queste realtà siamo stati lasciati soli da chi ci rappresentava a livello nazionale e spesso siamo anche stati contrastati.

La nuova sinistra deve ripartire anche da questo e dalla capacità di sostenere in ogni livello di governo un’inversione di tendenza rispetto ai luoghi comuni che per anni abbiamo sentito. Ai parlamentari di LeU e del PD chiedo, su questi temi, di entrare nel merito delle proposte della nuova maggioranza senza arroccarsi nel ruolo di opposizione. Facciamolo incalzando e chiedendo di più, forti di tante positive esperienze locali. Proponiamo che alle parole scritte nelle bozze di queste ore seguano strumenti legislativi e finanziari efficaci. Per esempio non basta evocare “l’acqua pubblica” se poi non vengono modificate le norme sulle aziende pubbliche locali o se non si individuano strumenti finanziari per sostenere gli investimenti sulle reti. Se si parla di rifiuti non basta fare l’esempio dei risultati locali di Treviso se poi non si costruiscono strumenti di programmazione nazionali e regionali che possano estendere le buone pratiche su contesti più importanti.

Su questi temi, che sono cruciali per il nostro futuro, abbiamo lasciato per strada tanti consensi e se vogliamo ridare speranza a milioni di elettori, dobbiamo riprendere la parola.

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