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L’effetto Corbyn, di Manuel Castells, La Vanguardia

Mentre si estinguono i partiti politici che hanno inseguito le larghe intese e le politiche centriste (come il Pasok in Grecia, il Partito Laburista in Olanda e il PS in Francia) si aprono nuove strade per le forze di sinistra, che dimostrano come «la decadenza della socialdemocrazia non sia inevitabile, ma questa deve rimanere fedele ai propri valori socialisti, adattandoli alla nuova società, piuttosto che essere subalterna all’egemonia neoliberista». A sottolinearlo è Manuel Castells in due articoli per la sua colonna settimanale sul quotidiano liberale e catalanista La Vanguardia (L’effetto Corbyn e La rigenerazione del PSOE). Così, sostiene il noto sociologo, ha fatto Jeremy Corbyn, che – con un programma nettamente socialista – alle ultime elezioni ha fatto arrivare il Labour al 40%, e così vuole fare Pedro Sánchez, recentemente rieletto alla guida del PSOE, riportando il proprio partito a sinistra.

«Corbyn – scrive Castells ne L’effetto Corbyn proviene da quella preistoria politica, precedente a Blair e alla sua “terza via, che non accetta la legge del mercato come parametro per la società, non si arrende alla globalizzazione finanziaria, non si beve la storia dell’inefficienza del pubblico, non considera inevitabile la mancanza di tutele per i lavoratori nella cosiddetta sharing economy – in cui alcuni condividono e altri se ne approfittano». Alle recenti elezioni nel Regno Unito, Corbyn ha presentato un manifesto «senza ambiguità, incentrato sulla lotta contro le politiche di austerità e ancorato ai temi classici della sinistra».

«Questo programma – aggiunge – è stato oggetto di derisione da parte di quasi tutti i media, degli opinionisti, delle élites politiche e finanziarie». Ma l’8 giugno il Labour di Corbyn ha preso il 40%, contro il 42,5% dei conservatori, che si sono ritrovati, sì, primi, ma con un “parlamento appeso” e la necessità di stringere un fragile accordo con gli ultraconservatori nord-irlandesi del DUP. Corbyn ha dimostrato l’esistenza di uno spazio politico socialdemocratico che gli stessi laburisti avevano abbandonato e, inoltre, che il laburismo può vincere con un programma di sinistra, senza “terze vie”. E oggi, dopo le elezioni dell’8 giugno, quasi tutti gli ultimi sondaggi danno avanti il Labour – anche di svariati punti – qualora si tornasse alle urne.

Le conseguenze del risultato ottenuto sono state immediate. Scrive ancora Castells: «I conservatori stanno già cercando di sostituire la May, considerata responsabile di una campagna nefasta e arrogante sulla Brexit. Il leader della Brexit, Boris Johnson, sarebbe il candidato naturale per rimpiazzarla, ma c’è una vera rivolta nel partito che cerca leader più giovani in grado di parlare alle nuove generazioni». Ma l’effetto Corbyn – che «indica come un’altra politica sia possibile e che il neoliberismo non è un destino inesorabile» – va oltre il Regno Unito. Lo stesso Bernie Sanders, che ha avuto il coraggio di parlare di socialismo negli Stati Uniti, nei suoi comizi e interventi cita spesso il caso britannico.

Una delle condizioni, però, per l’efficacia di una proposta autenticamente di sinistra è la credibilità. Per esempio, in Germania c’è Schulz, che per le elezioni tedesche ha deciso di virare a sinistra, preannunciando addirittura una alleanza con i Verdi e con la Linke. Però il problema di Schulz, sottolinea Castells, è che «non sembra avere possibilità di vincere perché è un politico tradizionale che non è mai stato di sinistra, a differenza di Corbyn».

L’effetto Corbyn arriva fino in Spagna, dove Pedro Sánchez vuole «ancorare» il PSOE a sinistra, dopo che la maggioranza dei parlamentari del suo partito, astenendosi, hanno permesso a Mariano Rajoy di formare il governo. A differenza del Regno Unito, però, scrive Castells (La rigenerazione del PSOE), «lo spazio a sinistra, in Spagna, è già occupato dagli eredi delle proteste di piazza iniziate il 15 maggio 2011: Podemos e i partiti che vi sono confluiti. E la questione catalana, trasversale a tutta la politica, complica estremamente il gioco delle possibili alleanze. […] Il ritorno al bipartitismo non è più possibile, semplicemente perché tanto il PP quanto il PSOE sono minoranza fra gli under 50. Sánchez, tuttavia, sta riuscendo a recuperare un po’ di voto giovanile (non tanto da Podemos quanto dall’astensione) e quello dei più anziani, disaffezionati per l’atteggiamento pusillanime del PSOE nei confronti di Rajoy». Tuttavia, Castells individua un punto di debolezza nella strategia di Sánchez, perché troppo legata alla «aritmetica parlamentare» e che sembra continuare a «inseguire l’impossibile alleanza a tre con Podemos e Ciudadanos».

Il PSOE e Podemos devono convergere, conclude Castells, perché da soli non hanno i numeri per farcela. Quello che serve in Spagna, però, è un’alleanza strategica e ampia, su obiettivi precisi, che segua il modello portoghese.

Il Portogallo, infatti, si è rivelato un significativo tassello di una nascente e crescente internazionale sinceramente socialista capace di offrire una prospettiva di governo.

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