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Napolitano politico, uomo delle istituzioni, gentiluomo della Napoli migliore

Di Giorgio Napolitano hanno scritto in molti e di più. Soprattutto ha scritto lui stesso. Il suo libro “Dal Pci al socialismo europeo” che non copre gli anni delle presidenze delle Repubblica è una lucida autobiografia della sua attività politica nel Pci, spesso in posizione critica, mai di rottura. Così non fu nel 1956 ai tempi dell’Ungheria. Così in altre occasioni, nelle quali il dissenso tra miglioristi e soprattutto berlingueriani fu palpabile. Questo per due motivi. Il primo è che i miglioristi più di altri furono anche e soprattutto togliattiani. Il dissenso si poteva anche esplicitare e nei verbali delle direzioni riguarderà non pochi da Di Vittorio ad Amendola, ma la linea, una volta decisa, riguarderà tutti. Del resto non solo nel Pci valeva il postulato che era meglio sbagliare con il partito che aver ragione contro.
Fin qui il Napolitano partitico. C’è poi il rigoroso servitore delle istituzioni: alla presidenza della Camera alla presidenza della Repubblica al Viminale. Una cosa è certa, nessuno più di Napolitano ha servito il Paese in tempi difficilissimi, spesso drammatici. Lo ha fatto in tempi nei quali Berlusconi aveva vinto le elezioni contenendo le sue invasioni di campo, senza limitare i diritti del presidente che aveva vinto le elezioni, forte di una rigorosa difesa dei confini istituzionali. Altrettanto rigorosa la sua difesa da presidente della Camera delle prerogative parlamentari. Era il periodo nel quale la Lega esponeva un cappio in Parlamento. Quanto alla presidenza della Repubblica direi ineccepibile il primo settennato. Qualche dubbio sul secondo non richiesto e soprattutto non voluto e accettato soltanto per spirito di servizio verso il Paese.
Infine c’è un terzo Napolitano il gentiluomo e uomo di cultura della sua città. Napoli è stata la città di Benedetto Croce, delle riviste di cultura politica, liberaldemocratiche, Nord e sud, Cronache meridionali, socialista e comunista e anche Il tetto che faceva riferimento alla cultura cattolica, uomini come Giuseppe Galasso sono morti recentemente, ora anche Napolitano. In una città che ha già tanti problemi si apre un grande vuoto di cultura politica.
Infine, un breve ricordo personale. Quando morì mio padre Napolitano venne alla confraternita dei Pellegrini a portarmi le condoglianze di Berlinguer e della direzione del Pci. Poi mi prese da parte e dandomi quel tu che non sono mai riuscito a ricambiare mi disse: “Guido, qui fuori mi aspettano Tonino Ghirelli, Franco Rosi, Dudu’ La Capria. Possiamo passare al Chiatamone (casa dei miei genitori) a dare un saluto a Donna Licia”?
Ghirelli, La Capria, Rosi e con loro Rosellina Balbi, a suo tempo capo della cultura a Repubblica, erano compagni di classe di papà. Napolitano più giovane un paio di classi più indietro. Una Napoli migliore.

Immagine in evidenza: Giorgio Napolitano (rielaborazione foto Ansa)

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