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Thomas Piketty: partiti di sinistra, per tornare a vincere “go left”

Traduzione e sintesi dell’articolo di Keith A. Spencer pubblicato su Alternet con il titolo “Thomas Piketty Sees Only One Way to Defeat the Rise of the Radical Right” (27 marzo 2018).

In una nuova pubblicazione, l’economista francese Thomas Piketty […] sostiene che i partiti politici occidentali di destra e di sinistra siano diventati partiti delle “élite”.

Il paper […], dal titolo “Sinistra dei bramini vs. destra dei mercanti: le disuguaglianze crescenti e la struttura in evoluzione del conflitto politico”, è tuttavia più interessante per le lezioni che serba per la sinistra politica nel mondo occidentale. Infatti, l’ala populista di sinistra dei partiti occidentali, incluso il movimento progressista americano rilanciato da Bernie Sanders, ha motivo di festeggiare: Piketty, infatti, si allinea con la loro strategia fuori dagli schemi secondo la quale spostare il partito Democratico più a sinistra è una tattica vincente. Così, infatti, è possibile riavvicinare gli elettori disaffezionati della classe lavoratrice e quelli meno istruiti, che al momento magari non votano per nulla o si identificano con il populismo di destra.

“Utilizzando indagini post-elettorali condotte in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, questo paper documenta una sorprendente evoluzione, sul lungo periodo, nella struttura dei blocchi elettorali” scrive Piketty nell’abstract. Poi spiega i cambiamenti politici avvenuti dagli anni ’50 e ’60, quando “il voto per i partiti di sinistra (socialista-laburista-democratica) era associato con una minore istruzione e redditi più bassi” […]

Ma col tempo, quei partiti, spiega Piketty, “sono stati gradualmente associati ad elettori più istruiti”, il che ha creato un sistema di “molteplici partiti delle élite”, dove “le élite più istruite adesso votano per la ‘sinistra’, mentre élite dal redditto più alto/più ricche votano ancora per la ‘destra’ (anche se sempre meno)”. In altre parole, entrambe le parti sono diventate vicine alle élite, con nessun partito a rappresentare le persone meno istruite o la classe lavoratrice.

Piketty sostiene che questa situazione “contribuisca all’aumento delle disuguaglianze e alla mancanza di una risposta democratica in merito a queste”. E anche all’ascesa di populisti come Trump, Marine Le Pen in Francia e Nigel Farage in Gran Bretagna. “Senza una solida piattaforma egalitaria e internazionalista è difficile unire gli elettori meno istruiti e più poveri di tutte le provenienze all’interno dello stesso partito” scrive.

Se il Partito Democratico fosse saggio, potrebbe vedere nel paper di Piketty una possibilità per migliorare la propria strategia elettorale. Infatti, i Democratici sembrano essere intrappolati in una battaglia per la loro anima, una battaglia anticipata da tempo e che è scoppiata durante le primarie presidenziali del 2016. In un angolo c’è l’ala clintoniana, d’establishment, del partito, convinta che strategia vincente per il partito Democratico sia andare verso il centro per attirare gli elettori conservatori moderati che si sentono estraniati dalla virata verso l’estrema destra del partito Repubblicano. […]

Nell’altro angolo ci sono quelli che sostengono che il partito Democratico guadagnerà più elettori se parlerà direttamente agli interessi e alle preoccupazioni di classe. […] Questa strategia di “andare a sinistra” allude a quello che Piketty chiama “un sistema partitico basato sulle classi sociali” che dominò le democrazie occidentali negli anni ’50 e ’60. […]

La coalizione clintoniana faceva affidamento […] a una sorta di multiculturalismo vago che ipotizzava che miliardari, aziende e poveri potessero vivere in una specie di armonia perfetta, anche se i primi si basano sullo sfruttamento dei secondi per esistere.

[…] La Clinton e i suoi lacchè della dirigenza del partito Democratico non sono riusciti a capire che quel timido liberalismo mancava di un’ideologia comprensibile: non c’erano capri espiatori e l’“America era già grande”, nei discorsi di Hillary Clinton. Quelle parole sono suonate stonate ai milioni di americani che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, che cercavano un capro espiatorio e che hanno trovato una spiegazione alle loro sofferenze più convincente nelle parole di Donald Trump.

Al contempo, la strategia di Bernie Sanders […] è di offrire un’analisi materiale più seria delle ragioni dell’oppressione e delle sofferenze negli USA, e di trovare nelle élite il colpevole delle disuguaglianze causate da un sistema economico iniquo. Sanders e le sue controparti d’oltreoceano, in particolar modo il leader del Labour britannico Jeremy Corbyn, offrono, come scrive Piketty, quella “solida piattaforma egalitaria e internazionalista” di cui si parlava prima e che ha il potenziale per “unire gli elettori meno istruiti e più poveri di tutte le provenienze”.

Anche se Sanders ha perso le primarie, è stato vendicato nel post-elezioni in svariati modi. Prima di tutto, molti degli Stati della Rust Belt conquistati da Trump […] erano stati vinti da Sanders nelle primarie, Michigan e Wisconsin inclusi. Secondo, studi post-elettorali suggeriscono che se Sanders fosse stato il candidato Democratico, avrebbe battuto Trump con un ampio margine. Terzo, Sanders rimane il politico più popolare negli Stati Uniti […]. Infine, la vittoria della Clinton è stata favorita in maniera considerevole da un apparato di partito corrotto, che già l’aveva scelta come candidata, come ha descritto l’ex presidente a interim del Comitato democratico nazionale (DNC), Donna Brazile.

Per i sostenitori di Bernie, i socialisti democratici e coloro che sono ancora più a sinistra, ci sono molte cose da amare nel paper di Piketty. La sua conclusione, riecheggiata dall’ala filo-Sanders del partito Democratico, è fondamentalmente che i partiti apparentemente di “sinistra” […] hanno perduto il loro elettorato di riferimento […] e adesso si rivolgono alle élite, lasciando un’ampia classe sociale senza rappresentanza e senza guida. Piketty dà loro delle dritte, se i partiti sono in grado di coglierle.

(Foto di copertina: Charles Platiau/Reuters)

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