Alla fine è davvero tutta una questione di terra. Da una parte esiste una pensiero – quello sionista – il quale propone “il ritorno alla terra promessa dopo l’espulsione” quasi duemila anni prima. Dall’altra il nazionalismo palestinese che inizia a manifestarsi con maggior vigore proporzionalmente all’aumentare del numero di ebrei dislocati sulle terre della vecchia Filastin.
Dal 1948 in poi l’idea del “ritorno alla terra” nel cuore e nelle azioni palestinesi non tramonterà mai.

Quarantadue anni fa, la polizia israeliana sparava e uccideva sei cittadini palestinesi durante una protesta contro l’espropriazione da parte del governo israeliano di migliaia di ettari di terra palestinese nelle terre del nord.
Da allora, il 30 marzo è stato ribattezzato come “Yam al-Ard”, o “Land Day”: il giorno della Terra , diventando di fatto un’importante data commemorativa nel calendario politico oltre che un evento importante nella narrativa collettiva palestinese per dare maggior enfasi alla resistenza e alla fermezza palestinese contro la colonizzazione israeliana.

Le proteste del 1976 furono il risultato di un’azione collettiva di massa all’interno della Palestina storica, che videro le comunità palestinesi resistere non solo al furto di terra ma, più in generale, alle politiche coloniali sostenute da Israele, orientate alla cancellazione di ogni residuo palestinese.

E se vigorose proteste andarono in scena in varie città nella regione del Naqab e Wadi Ara, il fulcro dell’azione si registrò maggiormente in sei villaggi della Galilea posti sotto coprifuoco: Sakhnin, Arraba, Deir Hanna, Tur’an, Tamra e Kabul. Alle manifestazioni seguirono gravi aggressioni e numerose violenze; il bilancio fu di sei morti e centinaia di feriti.

La commemorazione di quest’anno assume una rilevanza notevole in quanto, oltre a ricordare la resistenza palestinese, ha l’obiettivo politico di ricordare come il “dominio dello spazio” sia un aspetto integrale del progetto coloniale sionista. La comunità palestinese vuole ricordare al mondo come sempre più popolazioni indigene diffuse in tutti i continenti vivono sulla propria pelle un costante processo di colonizzazione che li rilega, da ultimo, in spazi minuscoli con il rischio diffuso – questo l’auspicio dei “grandi” – di vederli sparire definitivamente.
In Palestina, la colonizzazione e l’appropriazione della terra continuano imperterrite dalla fondazione dello Stato d’Israele e oggi conoscono un’accelerazione sorprendente. Il tutto, nell’assordante silenzio della comunità internazionale.

Per i palestinesi, la Giornata della Terra rappresenta un’opportunità non solo per segnalare un evento passato, ma anche per pensare a modi creativi e resilienti di resistere ulteriormente al furto di terra israeliano.

Intanto si contano i primi morti civili (ben 17 nelle prime ore di marcia) e più di 1.500 feriti. E questo accade mentre gli ospedali di Gaza sono sprovvisti da mesi anche di numerosi medicinali di prima necessità. Un’emergenza sopra l’altra che necessita della massima attenzione e allerta da parte dell’opinione pubblica internazionale; di azioni solide e unitarie da parte della comunità internazionale – nonostante Trump – per evitare ulteriori spargimenti di sangue innocente. Una nuova “Nakba(catastrofe) che peserebbe sulle spalle di tutti noi.

Foto di Ibraheem Abu Mustafa

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