Quello portato ieri al Quirinale da Mario Draghi, e che in queste ore giura nelle mani del capo dello Stato, non è “il governo dei migliori” enfatizzato in questi giorni da molti organi di stampa e nemmeno quella soluzione di alto profilo alla quale pure Mattarella aveva fatto riferimento nel conferimento dell’incarico. Rappresenta, comunque, una soluzione equilibrata, a conferma del fatto che i governi alla fine sono quelli che un Paese si può dare e che lo stato della politica gli consente di darsi.
Eccolo allora il governo Draghi con 8 ministri tecnici e 15 provenienti dalle forze politiche, perché poi alla fine è il Parlamento a dovere votare la fiducia e fare un Esecutivo con tutti dentro, meno il partito della Meloni, non era un compito facile. Cominciamo allora dai tecnici che tra i quali ci sarà il pacchetto di mischia con il quale Draghi cercherà di spingere il Paese verso una politica economica in grado di guadagnare credibilità a Bruxelles e non soltanto lì. Ancora una volta il ministro dell’Economia, Daniele Franco, verrà dalla Banca d’Italia. E certamente sono significative le scelte fatte per la Giustizia: qui, sì, una nomina di altro profilo, la ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia.
E’ indubbio, comunque, che la maggior forza del governo Draghi dovrà essere lo stesso Draghi, il quale ha condotto la crisi con grande saggezza e, soprattutto, con una sobrietà e riservatezza di altri tempi. Il tutto mentre il contorno di partiti, ma anche di giornale e gruppi di pressione, si agitava tra proclamazioni di vincitori e vinti e improbabili retroscenismi.
Colpisce, inoltre, l’alto numero di ministri senza portafoglio, ben 9. Probabilmente una scelta fatta per accontentare, ma al tempo stesso diluire, le richieste dei partiti. Importante e non senza significato poi la conferma di Roberto Speranza al ministero della Salute: per combattere la pandemia e portare avanti il piano di vaccinazioni la continuità può rappresentarla meglio un ministro che non soluzioni commissariali.
Per il resto, sopravvalutata la rappresentanza di Forza Italia: Brunetta, Carfagna e Gelmini. Mentre tra i leghisti spicca il ministero di peso (sviluppo economico) attribuito a Giorgetti. Infine, mancano ministri dei cosiddetti gruppi centristi: nè Calenda nè Bonino da molti totoministri indicati in dicasteri prestigiosi. Vede ridotta alla sola Bonetti la propria rappresentanza Italia Viva, nonostante che Renzi, sostenuto da buona parte dei media, si fosse dichiarato come il vero vincitore e playmaker della prima parte della crisi.
A proposito, almeno un terzo dei minsitri proviene dal governo Conte: a cominciare da Luigi Di Maio che in un movimento Cinquestelle pur attraversato da polemiche e divisioni, conferma il ministero degli Esteri.
Qualcuno, e per la verità io stesso, ha più volte osservato che questo Esecutivo è stato formato seguendo il modello del governo Ciampi del 1993. Un esempio che vale però fino a un certo punto. Ciampi potè contare sui partiti della prima repubblica. I quali, pur duramente colpiti dalle vicende di Tangentopoli e invisi a gran parte della pubblica opinione, rappresentavano qualcosa di molto più solido di quelli di ora.
E questo è ancora il maggior problema che si ritrova dinanzi la nostra Repubblica parlamentare. Quella che Pietro Scoppola aveva definito non certo dispregiativamente “la repubblica dei partiti“. Ecco se non si rianimeranno i partiti la politica non riprenderà vigore. Io sono e resto pessimista, ma al governo dell’equilibrio realizzato da Draghi potrebbe affiancarsi un risveglio delle forze politiche, in grado di fare almeno una buona legge elettorale prevalentemente proporzionale. Questo per la buona politica servono prima i partiti e poi le alleanze. E le cronache di questa cosiddetta seconda repubblica lo ha fino in fondo dimostrato.
—
Foto in evidenza. Sergio Mattarella e Mario Draghi (rielaborata da Fanpage)
Una soluzione equilibrata: il Governo c’è ma la politica è quella che passa il convento
Quello portato ieri al Quirinale da Mario Draghi, e che in queste ore giura nelle mani del capo dello Stato, non è “il governo dei migliori” enfatizzato in questi giorni da molti organi di stampa e nemmeno quella soluzione di alto profilo alla quale pure Mattarella aveva fatto riferimento nel conferimento dell’incarico. Rappresenta, comunque, una soluzione equilibrata, a conferma del fatto che i governi alla fine sono quelli che un Paese si può dare e che lo stato della politica gli consente di darsi.
Eccolo allora il governo Draghi con 8 ministri tecnici e 15 provenienti dalle forze politiche, perché poi alla fine è il Parlamento a dovere votare la fiducia e fare un Esecutivo con tutti dentro, meno il partito della Meloni, non era un compito facile. Cominciamo allora dai tecnici che tra i quali ci sarà il pacchetto di mischia con il quale Draghi cercherà di spingere il Paese verso una politica economica in grado di guadagnare credibilità a Bruxelles e non soltanto lì. Ancora una volta il ministro dell’Economia, Daniele Franco, verrà dalla Banca d’Italia. E certamente sono significative le scelte fatte per la Giustizia: qui, sì, una nomina di altro profilo, la ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia.
E’ indubbio, comunque, che la maggior forza del governo Draghi dovrà essere lo stesso Draghi, il quale ha condotto la crisi con grande saggezza e, soprattutto, con una sobrietà e riservatezza di altri tempi. Il tutto mentre il contorno di partiti, ma anche di giornale e gruppi di pressione, si agitava tra proclamazioni di vincitori e vinti e improbabili retroscenismi.
Colpisce, inoltre, l’alto numero di ministri senza portafoglio, ben 9. Probabilmente una scelta fatta per accontentare, ma al tempo stesso diluire, le richieste dei partiti. Importante e non senza significato poi la conferma di Roberto Speranza al ministero della Salute: per combattere la pandemia e portare avanti il piano di vaccinazioni la continuità può rappresentarla meglio un ministro che non soluzioni commissariali.
Per il resto, sopravvalutata la rappresentanza di Forza Italia: Brunetta, Carfagna e Gelmini. Mentre tra i leghisti spicca il ministero di peso (sviluppo economico) attribuito a Giorgetti. Infine, mancano ministri dei cosiddetti gruppi centristi: nè Calenda nè Bonino da molti totoministri indicati in dicasteri prestigiosi. Vede ridotta alla sola Bonetti la propria rappresentanza Italia Viva, nonostante che Renzi, sostenuto da buona parte dei media, si fosse dichiarato come il vero vincitore e playmaker della prima parte della crisi.
A proposito, almeno un terzo dei minsitri proviene dal governo Conte: a cominciare da Luigi Di Maio che in un movimento Cinquestelle pur attraversato da polemiche e divisioni, conferma il ministero degli Esteri.
Qualcuno, e per la verità io stesso, ha più volte osservato che questo Esecutivo è stato formato seguendo il modello del governo Ciampi del 1993. Un esempio che vale però fino a un certo punto. Ciampi potè contare sui partiti della prima repubblica. I quali, pur duramente colpiti dalle vicende di Tangentopoli e invisi a gran parte della pubblica opinione, rappresentavano qualcosa di molto più solido di quelli di ora.
E questo è ancora il maggior problema che si ritrova dinanzi la nostra Repubblica parlamentare. Quella che Pietro Scoppola aveva definito non certo dispregiativamente “la repubblica dei partiti“. Ecco se non si rianimeranno i partiti la politica non riprenderà vigore. Io sono e resto pessimista, ma al governo dell’equilibrio realizzato da Draghi potrebbe affiancarsi un risveglio delle forze politiche, in grado di fare almeno una buona legge elettorale prevalentemente proporzionale. Questo per la buona politica servono prima i partiti e poi le alleanze. E le cronache di questa cosiddetta seconda repubblica lo ha fino in fondo dimostrato.
—
Foto in evidenza. Sergio Mattarella e Mario Draghi (rielaborata da Fanpage)
Commenti
Guido Compagna
Articoli correlati
Sara Nocentini: Quando manca la politica si chiudono i porti
Quale processo unitario può ricostruire in Italia una sinistra utile alle classi popolari