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Brusco ultimatum di Mattarella ai partiti. Si prova l’intesa tra centrosinistra e 5Stelle, ma resta in campo anche il forno leghista che tenta i grillini. Tanti retroscena, ma la scena è vuota

La brutta crisi del peggior governo della storia della Repubblica è ancora in alto mare. Al termine del suo giro di consultazioni lo ha detto chiaro e tondo, e con toni quanto mai bruschi, il presidente della Repubblica con un ultimatum ai partiti ai quali ha concesso altri quattro giorni (fino a martedì) per trovare un’intesa su una maggioranza e un nome certi, non nascondendo, tuttavia, la precarietà di una situazione nella quale lo scioglimento delle Camere resta ipotesi quanto mai concreta e ravvicinata.

La giornata di ieri di consultazioni è servita più a disfare che a costruire

La giornata di ieri di consultazioni è servita più a disfare che a costruire. Il Pd era riuscito a ritrovare una unanimità in direzione sulle richieste da rappresentare al capo dello Stato. Ma proprio mentre queste, imperniate sulla discontinuità di contenuti e di nomi rispetto al governo precedente, venivano illustrate a Mattarella, Matteo Renzi e alcuni suoi sostenitori riproponevano il nome di Conte (persona degnissima ma non il più chiaro esempio di discontinuità) e, soprattutto, non condividevano l’opportunità di superare e cambiare i decreti sicurezza, di salviniana memoria, anche alla luce delle dure riserve con le quali il presidente della Repubblica aveva sottolineato le rilevanti criticità costituzionali del provvedimento in una lettera con la quale sveva accompagnato la controfirma del decreto bis.

A loro volta i Cinque Stelle, dopo aver rappresentato a Mattarella 10 punti (un vero programma per una sorta di monocolore sul quale non c’è alcuna maggioranza), insistevano su una sorta di condicio sine qua non: l’approvazione in quarta lettura della legge costituizionale che taglia i parlamentari sulla quale il Pd ha già votato contro per tre volte. Il tutto mentre il movimento grillino non ha ancora escluso in via definitiva di servirsi del forno leghista. Dal quale continuano ad arrivare lusinghe e profferte per incarichi prestigiosi a Luigi Di Maio. Senza contare che alcuni retroscena parlano del fatto che il secondo forno leghista sarebbe particolarmente gradito a quel Davide Casaleggio che tanto conta nel funzionamento pratico dell’organizzazione grillina. Quest’ultimo, comunque, ha smentito queste pur consistenti voci.

Insomma le distanze tra i due possibili principali contraenti sono più che palpabili. E più che filo da tessere il Pd e quella parte dei Cinquestelle favorevoli ad un accordo di governo hanno da guardarsi da coloro che quel filo esile hanno fatto di tutto per tagliare. E questo è avvenuto, anche e soprattutto nel Pd, da parte di coloro (Renzi soprattutto) hanno rimesso in discussione (sul nome di Conte e non solo) l’unanimità raggiunta in direzione. Indebolendo così proprio Zingaretti che ora si trova (lui scettico sin dal primo momento) a dover condurre una trattativa fattasi ancora più in certa e difficile.

In giornata dovrebbe esserci un primo incontro tra le delegazioni dei due partiti. E i Cinquestelle vogliono ripartire dal taglio dei parlamentari. Il quale, è bene dirlo subito, avrebbe effetti moltiplicatori sui già numerosi danni che il cosiddetto Rosatellum ha inferto alle garanzie del nostro sistema politico. Una via di uscita sarebbe quella di cercare di inserire l’adeguamento della composizione delle assemblee parlamentare nell’ambito della costruzione di una seria riforma parlamentare in grado di garantire con un proporzionale chiaro la massima rappresentatività del Parlamento. Ma l’impressione è che i grillini puntino, soprattutto, a fissare una bandierina che non va certamente in direzione del rafforzamento della democrazia rappresentativa, ma piuttosto del suo superamento con strumenti di democrazia diretta.

Questo sinora il non confortante stato dell’arte, nel quale dovrebbero cominciare ad operare le delegazioni grilline e del Pd. Riusciranno le prime a resistere alle lusinghe del forno leghiste e le seconde ai tentativi di condizionamento renziani? La ragione e soprattutto gli accadimenti più recenti inducono alle ragioni del pessimismo. Se il tentativo fallirà a Mattarella non resterebbe che la strada dello scioglimento preceduto naturalmente dalla messa in campo di un Esecutivo di garanzia elettorale.

Sono possibili altre soluzioni? Sulla carta sì. E i precedenti non mancano. Così come le formule e gli espedienti parlamentari. Una volta era pratica utile quella dell’appoggio esterno. Così come c’erano i cosiddetti governi di decantazione, che consentivano di mettere alla prova alleanze non ancora stabilmente costruite. Michele Ainis ha ricordato il governo Goria. Ma si potrebbe ricordare il Fanfani terzo del 1960, altrimenti noto come governo delle convergenze parallele, un monocolore Dc con il sostegno del Pli, Pri e Psdi e l’appoggio esterno del Psi e dei monarchici di Covelli, che consentì di arrivare prima ad un successivo Governo Fanfani senza i liberali e con l’astensione determinante dei socialisti, il quale a sua volta portò al governo Moro-Nenni, primo vero esecutivo di centro-sinistra organico.

Sono possibili ai giorni nostri soluzioni di questo tipo? Direi di no. E per una ragione molto semplice. Ci vorrebbero partiti veri. Magari un po’ ideologici ma nati e cresciuti nel gorgo della politica. Oggi c’è altro. E così l’alternativa è un’intesa di governo ai limiti dell’impossibile, un ritorno a una maggioranza che più fallimentare di così non si può, e lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate. Con due soli contrappesi forti e tra loro connessi: la Costituzione e la presidenza della Repubblica, intesa come istituzione e per fortuna affidata a Sergio Mattarella.

Foto in evidenza: Il presidente ddella Repubblica Sergio Mattarella

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