Luigi Pizzolo

Luigi Pizzolo: L’abbaglio di una domenica di mezza estate

Sono un fedele lettore de “la Repubblica” da quasi trent’anni. Anche quando Eugenio Scalfari abbandonò la direzione del quotidiano, ho sempre letto con interesse il suo “fondo” domenicale. Spesso ho condiviso le sue posizioni, alcune volte meno, ma ho sempre apprezzato la sua capacità di analisi, sempre approfondita e motivata e mai superficiale. Per questo motivo mi ha lasciato a dir poco perplesso il suo editoriale di domenica 13 agosto. Il titolo, “Ma Renzi si sente un uomo di sinistra?”, era oggettivamente intrigante in considerazione del fatto che le critiche indirizzate da più parti al segretario del PD sono la conseguenza dalla risposta negativa a questa domanda. Scalfari identifica la sinistra con uomini del secolo scorso (Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, i fratelli Rosselli, Lombardi, Antonio Giolitti, Pertini, per citarne alcuni), o di secoli precedenti (da Diderot a Voltaire, da Ricardo a Hobbes), e ideali (quelli dell’azionismo e del socialismo) che dovrebbero essere riscoperti, rivalutati e adeguati alla complessità della società moderna, alle disuguaglianze diffuse e crescenti, per sollevare le condizioni del popolo, la sua occupazione, il suo reddito, la sua consapevolezza culturale e politica.

La domanda che pone, quindi, a Renzi è: “si sente un uomo di sinistra, di quella che ho qui cercato di ricordare nei pensieri e nei fatti degli ultimi tre secoli d’Europa? Se la risposta è affermativa allora non ha bisogno di Pisapia, di Bersani e di D’Alema”. La perplessità deriva dal fatto che Scalfari non si pone il problema di un’eventuale risposta negativa che non provenga tanto da Renzi ma, piuttosto, da quello che ha fatto e che annuncia di fare.

In Europa e nel mondo, il movimento Socialista e i partiti che ad esso, ai suoi valori, si ispirarono nacquero essenzialmente non tanto e non solo per creare nuova occupazione, quanto piuttosto per rendere dignitoso il lavoro stesso e il suo corrispettivo: diritti e salario. Non è, allora, indicatore di “sinistra” l’aver creato nuovi posti di lavoro, soprattutto quando questi sono a termine e poco garantiti. Non vi è governo che non punti a incrementare lo sviluppo economico di un Paese e, di conseguenza, l’occupazione. Non esistono culture o ideologie di destra che si fondino sulla crescita della disoccupazione. Esistono culture e ideologie di destra e liberiste che legano l’incremento dell’occupazione alla contrazione dei diritti dei lavoratori. Nel 1970 il Parlamento italiano approvò una legge, lo Statuto dei lavoratori, il cui “padre” fu quel Gino Giugni, che guidò la commissione istituita dal ministro del lavoro e della previdenza sociale Giacomo Brodolini, rigoroso e integerrimo giuslavorista, socialista e riformista che Scalfari, ne siamo certi, può tranquillamente inserire nel suo Pantheon storico-politico.

Quella legge oggi, a quasi 50 anni dalla sua entrata in vigore, mostra certamente molti limiti perché il mondo del lavoro è profondamente cambiato. Non è cambiato, purtroppo, un particolare aspetto legato al mondo della produzione: la discriminazione in virtù delle proprie idee e convinzioni socio-politiche. Il famoso art. 18 cercava di porre un limite a possibili discriminazioni prevedendo il reintegro in caso di licenziamento. Quindi non un divieto assoluto di licenziare, ma un divieto a licenziare chi legittimamente esprimeva il proprio punto di vista sulle condizioni di vita e di lavoro in un’azienda. Null’altro che la riaffermazione e la valorizzazione dell’art. 3 della Costituzione. Non si tratta, per dirla sempre con Scalfari, di un’inutile esibizione culturale, quanto piuttosto il dubbio che chi di fatto depotenzia la portata di quella norma, chi immagina una flax tax uguale per tutti, chi ritiene di dover destinare risorse pubbliche unicamente alla riduzione della pressione fiscale e non agli investimenti, siamo sicuri si inserisca nel filone di Pertini, Lombardi, Giugni, Spinelli, ecc.?

Scalfari ha storicamente la tendenza a scegliere e promuovere il leader che gli aggrada. Fu così negli anni ’80 con Ciriaco De Mita, un decennio più tardi cercò di sbarrare la strada alla segreteria del PDS a Massimo D’Alema, puntando su Walter Veltroni. Tali scelte, però, non sono frutto di simpatia di natura personale, ma hanno avuto sempre un preciso obiettivo, una preoccupazione politica. E così De Mita gli parve l’unico, in una democrazia bloccata e senza alternanza, che potesse contrastare l’ascesa e le ambizioni di Bettino Craxi. Veltroni gli sembrava quello che potesse meglio garantire la completa evoluzione e rottura con le incrostazioni del passato degli ex comunisti. Oggi, la preoccupazione principale di Scalfari, quasi un’ossessione, è il futuro dell’Europa. Da europeista convinto ed irriducibile avverte il rischio che il Vecchio Continente possa deflagrare in tanti piccoli e miopi nazionalismi, sovranismi, e perdere quella fragilie e incompiuta unità sino ad oggi realizzata. Per scongiurare questo pericolo, ha individuato in Renzi e Angela Merkel gli unici due leader europei capaci di evitarlo.

In realtà la domanda che pone Scalfari è retorica. Egli sa bene che Renzi non ha nulla a che fare con la tradizione azionista e socialista e non a caso gli consiglia di dotarsi di un’oligarchia, di una classe dirigente, saldamente erede di quei valori, di quella esperienza. Sa, però, altrettanto bene che Renzi è l’unico che in Italia può raggiungere l’obiettivo politico che egli auspica per la Germania: la vittoria dell’Unione Democratica Cristiana e un nuovo governo con i socialdemocratici. Ritiene, cioè, che il futuro dell’Europa possa e debba giocarsi con accordi, anche a livello nazionale, tra socialisti e popolari. Quindi, che il futuro dell’Europa passi necessariamente in questa fase anche tra l’accordo tra PD e FI, senza alcuna contaminazione leghista o della destra post fascista.

Questa è la priorità per Scalfari. L’unità dell’Europa e il suo rilancio è questione fondamentale per il futuro. Lo è soprattutto per chi al Manifesto di Ventotene è genuinamente e politicamente legato. Per questo riteniamo che non ci possa essere futuro per l’Europa se non in senso socialista. Proprio quello che volevano e scrivevano Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni …
Solo l’egemonia di uomini e politiche di sinistra potranno realizzare il sogno di Scalfari. In mezzo ci sono solo politiche di sopravvivenza.

Nella foto di copertina: Luigi Pizzolo

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