Un genere musicale quasi destinato all’oblìo ma in voga sino a non moltissimi anni fa, è la cosiddetta “sceneggiata napoletana”. Uno dei brani più famosi di questo genere è “ ‘O zappatore”. Si narra di un figliolo ingrato che, incurante degli enormi sacrifici che il babbo contadino ha affrontato per regalargli un futuro migliore del suo (della serie: quando l’ascensore sociale funzionava), una volta elevatosi socialmente non ha più alcun rapporto con la sua umile famiglia d’origine, non disdegnando, invece, luculliane feste con il jet set napoletano (si presume). Il babbo, indignato da tale comportamento, fa letteralmente irruzione nel bel mezzo di una delle tante feste e dopo avergli fatto un memorabile e straordinario cazziatone, conclude intimandogli quanto segue: “agginucchit e vasame ‘sti man” (inginocchiati e baciami queste mani).

Tutto ciò mi è venuto in mente ascoltando babbo Eugenio Scalfari consigliare a Pierluigi Bersani, in una trasmissione televisiva, di chiedere scusa e di rientrare nel PD. Ovviamente l’invito non era rivolto solo a Bersani ma a tutti quelli che hanno fatto la scelta di abbandonarlo, immagino.
Bene, per quanto mi riguarda, e con tutto il rispetto dovuto a Scalfari, declino gentilmente l’invito e lo motivo: non rientro in un partito non più di sinistra, con tutto ciò che questa parola non solo ha significato, ma significa.
E motivo anche questa affermazione.

La presunta natura di sinistra di quel partito ci viene, e ci è stata, ossessivamente spiegata con alcune riforme soprattutto in materia di diritti civili. Bene, quelle riforme non sono la cifra della sinistra di un partito o di una coalizione di governo, ma della sua laicità. Caratteristica apprezzabilissima, oltre che auspicabile in ogni forza politica, ma non ascrivibile esclusivamente alla sinistra. Se così fosse nel nostro Paese non avremmo, tanto per citare due semplici esempi, né la legge sul divorzio e nemmeno quella sull’aborto approvate in stagioni in cui la sinistra nel suo complesso (ci metto anche i socialdemocratici italiani che non erano la stessa cosa di quelli degli altri paesi europei, diciamo.) non era maggioranza in Parlamento.
Il campione, poi, dei diritti civili è stato senza dubbio il Partito Radicale che, al di là della sua bizzarra collocazione nell’emiciclo parlamentare, di sinistra ha avuto sempre ben poco visto che ha sempre orgogliosamente rivendicato la sua natura “liberale e liberista”.
Quindi, unioni civili e “dopo di noi” sono una conquista laica e di civiltà. Punto.

La sinistra, storicamente, ha senso in natura se ha nel suo mirino la conquista e la difesa dei diritti e della dignità del lavoro. Anche quando ha (giustamente) superato alcune storture leniniste e accettato di misurarsi all’interno della società capitalista, senza più metterla pregiudizialmente e politicamente in discussione, si è mossa non solo nel solco di garantire sempre maggiori diritti ai lavoratori ma di guidare e gestire politicamente la crescita capitalista governandone e indirizzandone le scelte. Si chiama “redistribuzione della ricchezza” e “lotta alle diseguaglianze”. E sarebbero concetti superati e appartenenti al secolo scorso, e a quello prima, se fossero presenti (la redistribuzione) o superate (le disuguaglianze). Il problema è che la ricchezza lungi dall’essere redistribuita si è concentrata nelle mani di pochissimi e le disuguaglianze aumentate a dismisura. E’ ciò che li rende, purtroppo, attualissimi.

Bene, come si pone il PD al cospetto di tali fenomeni? In maniera oggettivamente schizofrenica.
Se le mozioni congressuali hanno un senso, servono a delineare un’idea di società, oltre che di partito, in quella di Renzi si prospetta un ruolo dello Stato propulsore dell’iniziativa privata, ma non tramite massicci investimenti pubblici o una selezione degli incentivi, quanto piuttosto tramite una serie di agevolazioni indifferenziate nella convinzione che poi sia il mercato ad autoregolarsi e a trovare le strade più idonee allo sviluppo. In materia di diritti si accenna, ambiguamente, al superamento della difesa di diritti appartenenti al secolo scorso e alla tutela di nuovi ma non specificati. Di contro, la “mozione Orlando” presenta aspetti che scavalcano a sinistra persino Potere al Popolo!
Entrambe le “visioni”, sia ben chiaro, sono assolutamente legittime. Il problema è che sono inconciliabili. O prevale l’una, o prevale l’altra, ma chiunque prevalga toglie naturalmente spazio e prospettive alla perdente. Insomma per dirla ancora più chiara, qualcuno è di troppo.
Il superamento di tale schizofrenia, di tali ambiguità strutturali non sembrano essere all’ordine del giorno nell’attuale dibattito dei democratici. Per questo motivo non posso accogliere il monito di Scalfari e non baciare, pentito, la mano a nessuno.

Guarderemo con interesse e rispetto a ciò che avviene in quel partito perché è necessario ricomporre una sinistra di governo e non puramente identitaria, però i tempi non coincidono. Durante una trasmissione di molti anni fa, un conduttore televisivo chiese a Giancarlo Pajetta un giudizio su “Reds”, un film americano di Warren Beatty sulla rivoluzione d’Ottobre, tratto dal libro di John ReedI dieci giorni che sconvolsero il mondo”. Il presentatore sbagliò il titolo del libro, parlando di cento anziché di dieci giorni. Pajetta, come era nella sua indole, non perse l’occasione di correggerlo a modo suo: “veramente i giorni erano dieci. Sa, a quell’epoca avevamo un po’ di fretta”. Ecco, abbiamo una certa fretta.

L’alternativa, allora, per la mia e per un milione e centomila altre coscienze è ritirarsi pure noi nel bosco o provare a costruire altro. Magari evitando marchiani ed evidenti errori del recente passato.
Proprio questo è emerso dalla recente assemblea nazionale dei “comitati promotori” di Art. 1 MDP e cioè la volontà di costruire un nuovo partito con idee, proposte e programmi credibili e capaci di essere meglio veicolate. Molto più e molto meglio di quanto fatto in questa breve e terribile campagna elettorale. I tratti organizzativi ed ideali sono stati chiaramente delineati da Enrico Rossi e a lui, su questa stessa testata, vi rimando.

Io proverei ad aggiungerne qualcuno.
Vorrei un partito che quando a Bari, o in qualsiasi altro luogo, un’azienda impone tempi strettissimi e controllatissimi ai suoi dipendenti anche per espletare bisogni fisiologici, un minuto dopo è fuori da quei cancelli a manifestare solidarietà e vicinanza umana ai lavoratori. Un partito che difronte al rischio di delocalizzazione imponga la restituzione di tutte le agevolazioni finanziarie concesse e le utilizzi per garantire un futuro a chi rischia il proprio posto di lavoro. Un partito che faccia proposte per coniugare l’esigenza di sicurezza dei cittadini con il dovere di solidarietà verso chi scappa dalla guerra o dalla fame, privilegiandole entrambe. Un partito che non faccia finta di non conoscere la geografia e sappia dov’è Afrin e che si schieri al fianco dei Curdi. Un partito che tuteli l’interesse nazionale non necessariamente assecondando despoti e tiranni come Erdogan. Un partito che si interroghi e faccia interrogare l’Italia e l’Europa sul fatto che mentre noi ci appassioniamo a vicende surreali (in quanto non realisticamente realizzabili) come reddito di cittadinanza e flax tax, nel mondo succede che Trump adotta misure ultra protezionistiche, Putin viene plebiscitariamente rieletto alla presidenza della Russia e il Segretario generale del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping, si è garantito a vita la rielezione. Si ha il senso di quanto ciò che sta accadendo all’interno delle tre maggiori super potenze mondiali potrà incidere sui destini dell’Europa e su quello di ognuno di noi perché sono fatti che hanno un’enorme rilevanza politica, commerciale ed economica?
E, infine, vorrei un partito con una classe dirigente credibile. Una classe dirigente che, per dirla ancora una volta con Peppino Caldarola, ambisca più ad una lisa poltrona di “segretario di federazione” che ad una felpata poltrona di parlamentare.

Foto in evidenza:Eugenio Scalfari

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