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Una grande Associazione Socialista e Democratica, inflessibile sui principi di fondo

In attesa di conoscere gli sviluppi della situazione politica, la sinistra, in tutte le sue espressioni, appare a tre settimane dal voto del 4 marzo ancora sotto choc: del tutto inconsapevole di quanto è successo, e della cesura profonda che si è determinata con la propria storia, e col popolo che in passato aveva guardato con speranza ai tentativi “riformistici” dei DS, dell’Ulivo e del Partito Democratico.
Tutto sembra chiuso in una discussione tattica – se appoggiare o meno un tentativo 5S, oppure, sotto traccia, il centrodestra -, e non si sente una voce che chieda un profondo ripensamento del rapporto tra la sinistra e la società. Walter Veltroni in una recente intervista, con molti aspetti su questo punto interessanti, sembrava accennare a questa prospettiva, con un’implicita riflessione critica e autocritica sul rapporto così fragile tra il partito (in questo caso il PD) e la società. Il faticoso lavoro di cucitura interna di Maurizio Martina sembra in grado di mediare tra le differenti correnti: ma, probabilmente a ragione, perché questo non è il suo compito, non affronta i nodi strategici del voto. L’elezione degli uffici di presidenza delle Camere, a dispetto da qualsiasi criterio di equilibrio proporzionale tra le forze politiche, con un dominio ipermaggioritario dell’asse 5S-Lega, racconta in modo palese questo cambiamento radicale.

E’ un ventennio che si è chiuso. Quello dell’Ulivo, e dell’idea – per usare le parole che in quell’epoca adoperò Romano Prodi – di temperare il capitalismo e il suo appetito famelico. Questa linea – assunta dalla sinistra e dai democratici su scala globale – , che pur ha avuto dei meriti nel favorire l’irrompere sulla scena delle grandi potenze economiche mondiali di nuovi soggetti e di nuove aree geografiche, ha aggravato diseguaglianze e ingiustizie. La politica è stata serva dell’economia e del mercato, finché in tutto l’Occidente, e oggi anche in Italia, si è determinata una rottura sociale non più componibile.

E’, quindi, il Partito Democratico stesso, in primo luogo, non già nel suo nome – bellissimo, perché la democrazia in senso integrale è uno straordinario progetto attuale -, ma nella sua connotazione storica e politica, ad aver esaurito il suo compito. Potrebbe rinascere come partito democratico sociale, o socialista, per distinguersi dal centrismo senz’anima che è stato punito dagli elettori, con le sue torsioni familistiche e notabilari che nel Mezzogiorno ne hanno consumato la credibilità morale. Ma così com’è oggi può tutt’al più rimanere un contenitore per orientamenti moderati, sopravvivere scommettendo (ma ne siamo davvero così certi?) sugli errori degli altri.

Ma anche Liberi e Uguali, così come si è configurata in questi mesi, non ha alcuna prospettiva davanti a sé. Da un lato è ceto politico, che ha largamente condiviso le stesse responsabilità del PD, almeno fino al 4 dicembre del 2016; e dall’altro è una forza anch’essa senz’anima, senza identità, non riconoscibile. E’ certamente significativo avere una pattuglia di deputati e senatori eletti sotto le insegne di Leu. Ma davvero è ben poca cosa.

Il tema vero per questa parte della sinistra che ha cominciato a ripensarsi fuori dal PD non è invece quello del Bosco? Davvero siamo convinti che il popolo che non riconosce questa sinistra – che non ci riconosce – stia, come ha ripetuto Pierluigi Bersani, nel Bosco? O non siamo noi che viviamo nel Bosco della nostra storia recente, delle nostre parole rassicuranti (come riformismo), che, invece, spaventano tante persone, oppure in piani talmente alti dei Palazzi della politica, da aver perso di vista quello che c’è sotto, che non è Bosco: sono quartieri, appartamenti, case, ospedali, scuole, treni regionali, traffico, sofferenze e speranze che non incontrano più la sinistra e la politica democratica in forme partecipative e inclusive. Non sono selvaggi, né abitanti del bosco, né nazisti o fascisti. Certo: nuove ideologie di estrema destra e di xenofobia fanno presa, e vanno combattute prima di tutto, come fa l’ANPI, sul terreno delle idee e della cultura. Ma crescono in una società in cui c’è tanta solitudine, e tanto bisogno di futuro, tanta ricerca di strade nuove. Ieri Matteo Renzi sembrava incarnare questa domanda, oggi la incarnano Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ma si tratta di soluzioni provvisorie, non consolidate.

Ecco perché l’unica strada oggi per chi ha a cuore il futuro della sinistra, è quella di dare vita a un’idea di politica sociale, che attraversi le attuali forme politiche della sinistra, dando vita ad una grande Associazione Socialista e Democratica, inflessibile sui principi di fondo e alla ricerca di soluzioni concrete nuove, capace di promuovere in prima persona mutualismo, aiuto concreto alle famiglie e ai lavoratori, impegnando medici, avvocati, insegnanti, professionisti in una gigantesca opera di riorganizzazione della coesione sociale. In tanti territori sono solo le parrocchie, sulla base del magistero di Papa Francesco, a svolgere una funzione attiva. Oggi questo Pontefice, anche al di là dei credenti, è una concreta speranza per promuovere i principi più profondi del socialismo e della sinistra.

Prima di tutto quello della fraternità, dell’amore come progetto politico, dell’impegnare le forze vive e più privilegiate in una grande opera, al fianco del sindacalismo e dell’associazionismo democratico, di redistribuzione non affidata solo allo Stato.
So che è una prospettiva che richiede tempo, fatica, ricerca di risorse economiche e morali. Ma so anche che rapidamente il vento può cambiare. E penso che sia l’unica prospettiva che può ridare un futuro alla sinistra, e ricostruire un orizzonte di speranza per il Paese. Le due cose, sinistra e Italia, indissolubilmente si tengono.

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