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Tito Barbini: Lettera aperta a Cuperlo dopo aver letto il suo libro

Caro Gianni, mi sento sempre più sollevato e sereno per aver lasciato il PD. Il fatto è che, dopo l’imbroglio della legge elettorale e della ferita inferta alla democrazia, non ho più ragione di preoccuparmi e interrogarmi sulla mia scelta di lasciare il PD di Renzi e di negargli il mio voto. Un partito che oramai non ha più nulla di quei valori e ideali che mi avevano visto tra i protagonisti della sua nascita. E non è una questione di arroganza, semplicemente sono arrivato a un punto della mia vita in cui non mi piace più perdere tempo con ciò che mi dispiace o ferisce. Non ho pazienza per il cinismo di Renzi e del suo cerchio magico , per le inossidabili certezze arricchite giorno dopo giorno dalla presunzione di una persona bugiarda e inaffidabile. Ho perso la voglia di dialogare con i prepotenti e non dedico più di un minuto a chi cerca di manipolare la verità. E purtroppo non sopporto più coloro che continuano a dirmi che ho ragione, ma che dovevo rimanere dentro, per combattere al suo interno. A loro rispondo che ho davvero fatto un grande sforzo, quello che potevo fare, in questi mesi per continuare a dialogare. Ho anche ascoltato con rispetto il sincero grido di dolore che proveniva dai tuoi ragionamenti e dall’impegno della sinistra democratica interna al PD. Niente, Renzi e la sua maggioranza sono andati avanti senza esitazione in una strada, che a parer mio ha, non solo abbandonato i valori fondanti del PD non ascoltando nessuno, ma con un’idea di partito e di comunità che non appartiene certo ai valori e alla storia della sinistra. Quello che sta accadendo in questi giorni in Parlamento mi sta dando purtroppo ragione.

A quei compagni e amici che sono rimasti nel PD in posizione critica ora chiedo di fare un bilancio delle loro inutili battaglie e interrogarsi su come sono andate le cose. Pensavamo a un PD capace di unire tutte le forze progressiste del Paese, sia di centro sia di sinistra. E invece vi trovate in un partito che pare aver smarrito la capacità di accogliere e dare piena cittadinanza ai bisogni delle persone in carne e ossa, con i loro carichi di sofferenze e speranze, con le loro riserve preziose di sentimenti ed emozioni che non si fanno contenere in una carica o in un ruolo che forse un segretario compiacente e riconoscente vi potrà riservare nella lista elettorale dei nominati. Con angoscia e scoramento vedo un PD che cerca di assimilare la destra più indigesta, fondando oggi il suo asse di governo con Verdini e progettando un futuro con un ammiccante Berlusconi, tutti e due con il loro pesante carico di condanne definitive e su una base culturale e morale che rinnega e isola la sostanza del patrimonio storico della sinistra italiana e del cattolicesimo democratico. Mai come adesso la sinistra è stata così minoritaria, nel Paese, dopo aver perso anche la capacità di ricerca dell’egemonia culturale. Proprio questo progressivo slittamento verso l’ideologia neoliberista, questa incapacità di ammettere che abbiamo sbagliato non solo prima, ma anche oggi, seppure in modo diverso, questa ostinazione a non volersi fermare per cambiare finalmente strada, è quello che sta progressivamente allontanando una parte di cittadini dalla politica e segnato il fallimento riformista del PD. E tutto questo contribuisce anche a scavare un fossato sempre più profondo tra persone che hanno militato insieme.

Possiamo ritrovarci? Certo, siamo ancora in tempo. Costruendo insieme un grande soggetto unitario della sinistra italiana, aperto e inclusivo, senza nostalgie. Ma, soprattutto, come abito mentale e modo di vita, individuale e collettivo, che contraddice l’ordine e il disordine delle cose esistenti. Sono in atto cambiamenti profondi, fino a ieri impensabili, direi addirittura antropologici, roba da far impallidire perfino le straordinarie intuizioni di Pasolini. Al centro di tutto c’è la crisi della democrazia moderna e il nuovo rapporto tra l’economia e la società. L’aumento pauroso delle disuguaglianze. Ma soprattutto non c’è sinistra che possa permettersi di guardare al futuro senza ricostruire i valori e le ragioni di un nuovo “umanesimo”. Nuove culture dei diritti e dei doveri, nuova idea della cittadinanza. E, prima di ogni altra cosa, il diritto e la dignità del lavoro. Con affetto, Tito.

Nella foto di copertina: Gianni Cuperlo e Matteo Renzi

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