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Una sconfitta, qualche proposta, una provocazione

Quando si perde la cosa più sciocca da fare è negare la sconfitta. E ora non c’è dubbio che nelle elezioni di domenica scorsa anche la lista di Liberi e Uguali ha perso. La sua proposta politica non è riuscita a tirare fuori coloro che si erano rifugiati nel bosco e che magari quel bosco lo hanno attraversato, ma per andare dall’altra parte: verso i 5Stelle e magari anche la Lega o altre forze della destra più estrema. Perchè abbiamo perso? Probabilmente perchè siamo stati percepiti come un tentativo tardivo e troppo fragile di sottrarci alla più generale caduta del Pd e del centro-sinistra: quando andavamo a volantinare non erano pochi coloro che ci dicevano: in fondo siete come quegli altri e noi questa volta vogliamo dire soprattutto di no.

L’altra domanda da porsi e se si poteva fare qualcosa di diverso. E qui la risposta è certamente no. Non si poteva restare nel Pd a dominazione renziana che non si accorgeva neanche di essere ormai in caduta libera, e non si poteva scegliere la strada dell’astensionismo nè l’attrazione verso improbabili, quelli sì, massimalismi di vecchia sinistra. La nascita della lista Liberi e Uguali ci ha consentito di fare una campagna elettorale sui temi nostri, soprattutto quello del lavoro, avendo una casa, certo da arredare meglio, probabilmente da allargare e aprire ad altri, ma comunque un tetto sopra le nostre teste. Poi i risultati sono stati quelli che sono stati. Alcuni molto dolorosi, visto che tra gli eletti mancano coloro che più generosamentie si erano spesi per questo pur limitato progetto: da Massimo D’Alema ad Anna Falcone.

Ecco allora che la nostra sconfitta, pur dura e rilevante, non si è trasformata in un a catastrofe. In Parlamento ci siamo sia pure a ranghi ridotti e un milione di voti, da non tradire ma da ringraziare con il nostro impegno ad andare avanti e oltre, lo abbiamo portato a casa. Insomma, abbiamo perso ma la partita l’abbiamo fatta e continueremo a farla: E allora, per restare nella metafora sportiva, cosa dice un allenatore alla sua squadra in difficoltà durante un time out? Dice: ragazzi proviamo a fare le cose semplici, quelle che facciamo meglio e proviamo a rimontare.

Quali possono essere queste cose semplici dalle quali chi si è riconosciuto nella nostra lista può ricominciare? Ne enuncio due.

La prima: chiedere al Governo che si formerà o che comunque si cercherà di formare (il problema al momento riguarda soprattutto il presidente della Repubblica e poi chi ha vinto) tre cose e prioritarie: lo ius soli, la regolazione dei conflitti di interesse, e una decente legge elettorale fatta per tutti e non per far vincere qualcuno. Anche perchè, come si è visto domenica scorsa, a vincere poi finiscono per essere proprio coloro che si provava a far perdere:

La seconda cosa dalla quale ripartire è fare un partito. Un partito vero, solido e non liquido, che non si metta paura di essere definito dai nuovisti dell’ultima ora come novecentesco: un partito che metta al centro della sua azione politica il lavoro e che magari nel suo nome abbia un chiaro riferimento al socialismo (non è obbligatorio ma ci starebbe bene). Guardando al secolo scorso mi vengono in mente due esempi. Il primo è quello del partito della democrazia del lavoro di Meuccio Ruini (una quindicina di seggi alla Costituente, ma poi toccò alla Commissione presieduta da Ruini scrivere materialmente la Costituzione) E l’altro (i compagni di lunga storia comunisti non si spaventino e non inorridiscano) è il Psli (Partito socialista dei lavoratori italiani) come si chiamò in un primo tempo il partito di Saragat uscito dalla scissione socialdemocratica di palazzo Barberini del 1948. Per i nomi si può comunque trovare anche di meglio. E, se si vuole, il riferimento a Saragat e Ruini è comunque una semplice scherzosa provocazione davanti a cose terribilmente serie. Quando si parla di partito si deve parlare anche di tempi per costruirlo. Penso che i tempi debbano essere nè affrettati nè sbrigativi. Ma tanto meno da calende greche. Direi tempi strettamente necessari, secondo una vecchia formula nenniana. Partendo da subito con l’avvio di una sorta di costituente socialista o per il partito del lavoro.

Naturalmente intorno a noi il mondo continua a scorrere. E quindi Liberi e Uguali non può estranearsi dal partecipare a dibattito politico generale perchè impegnati a costruire il suo partito. E naturalmente quello che abbiamo da dire anche sulla formazione del governo la diremo e abbiamo già cominciato a dirla. Magari senza farci coinvolgere in un prematuro dibattito su cinque stelle sì, cinque stelle no. Quando sarà il momento (prima bisogna scegliere i presidenti delle Camere) toccherà al presidente della Repubblica con lo strumento delle consultazioni provare a dipanare la matassa. E non mancherà certamente l’attenzione il contributo fattivo di una forza politica come la nostra, particolarmente sensibile al buon funzionamento delle istituzioni.

Altrettanta attenzione dedicheremo a quanto comincia a muoversi all’interno del partito democratico, in particolare a quanto diranno alcuni rappresentativi esponenti della minoranza: da Cuperlo a Orlando. Anche se al momento i riflettori sono accesi su una non esaltante contrapposizione tra la corrente di quel che resta dell’arroganza renziana e una sorta di corrente che, con un po’ di cattiveria, definirei “dei carini“, impersonata da Calenda e Gentiloni e, all’occorrenza, dalla Bonino.
Insomma: mentre proverà ad avviare la formazione del partito del Lavoro Liberi e Uguali dovrà restare nel “gorgo” della politica. E che ci chiamino pure novecenteschi.

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