Elezioni

Antipolitica e declino dei partiti: così proliferano i populismi. L’antidoto è nella Costituzione

Se dovessi indicare la data di quando hanno iniziato a diffondersi vigorosamente i populismi in Italia indicherei quella del 1994. I partiti e i loro gruppi dirigenti, sotto i colpi di Mani pulite erano entrati in crisi e Silvio Berlusconi scendeva in campo, forte delle sue televisioni, dei suoi sondaggisti e soprattutto dei suoi slogan anti politici e anti partiti. Un pezzo del lavoro già glielo avevano fatto (involontariamente e con ragionevoli motivi) i magistrati delle Procure: Quelli stessi con i quali Berlusconi sarebbe poi stato (e lo è tuttora) in colluttazione permanente effettiva. Non sempre con successo.

Ma torniamo alla discesa in campo e alla fondazione di Forza Italia. Berlusconi tiene subito a precisare che sarà un movimento di popolo e non un partito perchè a lui i partiti e la politica fanno venire l’orticaria. E così dei partiti evita tutti i riti: niente congressi, niente gruppi dirigenti. Ma un presidente (nei fatti a vita) coadiuvato da alcuni collaboratori fedelissimi da lui stesso nominati e sostituiti che formeranno quello che con termine pomposo viene chiamato l’ufficio di presidenza. Qualche anno dopo un esponente, proprio di Forza Italia, l’ex ministro Guardasigilli Filippo Mancuso definirà le riunioni del movimento berlusconiano “luoghi nei quali si pratica il culturismo dell’adulazione“.  Naturalmente Berlusconi cerca di imporre questa sua antipolitica anche ai suoi alleati che dalla politica e dai suoi riti vengono. E così prima Casini recupera una sua autonomia e poi Fini si fa addirittura cacciare: ma lui Silvio va avanti lo stesso a colpi di predellino cercando con alterne vicende di schivare i colpi dell’avversa fortuna che lo conducono ai nostri giorni in posizione subalterna rispetto all’ ultimo alleato (?) leghista.

Ma l’antipolitica non è stata soltanto una prerogativa del centro destra. Pensiamo dunque anche al centro-sinistra, all’Ulivo. La nascita è frutto di un’intelligente operazione politica, condotta soprattutto da D’Alema e Andreatta che individuano in Prodi una figura terza (quasi) tra ex democristiani ed ex comunisti in grado di sfidare e battere Berlusconi e la destra alla elezioni. L’operazione in buona parte riesce. E qui però iniziano le difficoltà. L’Ulivo, ci si chiede, è figlio più dei partiti o della società civile? E va scritto con o senza il trattino? Deve fare riferimento ai partiti o al popolo delle primarie? Problemi questi che si riproporranno pari pari nel PD: prima, e soprattutto dopo l’avvento alla leadership di Matteo Renzi. Il quale cerca il più possibile di subordinare il partito e i suoi iscritti a una sorta di popolo esterno. Quello che viene definito delle primarie, ma nei fatti è della Leopolda, sostenuto e finanziato grazie al solido collegamento con le fondazioni renziane. Del resto al giovane leader del Pd che cerca di accreditarsi come un anti casta piace l’abolizione del finanziamento dei partiti, e non a caso imposta la campagna referendaria per abolire il Senato su slogan del tipo: “meno politici“. I quali vengono recepiti come “meno politica“. Quasi copiando i vecchi adagi berlusconiani contro “il teatrino della politica“.

Intanto, e siamo ad oggi, prende piede un fortissimo movimento antipolitico guidato da un comico di successo, al quale non manca intelligenza e spregiudicatezza politica. Ecco allora i cinque stelle, che non vogliono essere chiamati partito, ce l’hanno con i vitalizi e i parlamentari, sostengono di affidarsi per la vita interna ad un non statuto, che in pratica affida il funzionamento di quello che dovrebbe essere uno strumento, con il quale gli iscritti possono partecipare alla vita pubblica “con metodo democratico”, al funzionamento di una piattaforma digitale che fa capo ad un’azienda privata, vale a dire la Casaleggio associati. Partito di maggioranza relativo i 5 stelle affidano poi al loro leader (Luigi Di Maio candidato del movimento alla presidenza del Consiglio) ogni decisione ultima anche sul funzionamento dei gruppi parlamentari.
Va osservato in questo contesto che la Lega di Salvini con tutta la sua retorica, spesso ai confini della violenza (ricordiamo i comizi di Bossi sul pratone di Pontida) ha mantenuto e talvolta osservato regole democratiche tradizionali tipo i congressi, che, tra un’acclamazione e un’invettiva, hanno sempre eletto i propri organismi dirigenti a livello nazionale e locale.

Questo un sommario quadro dell’Italia a rischio populismo uscita dall’ultima consultazione elettorale. Vale la pena a questo punto ricordare cosa prevede l’articolo 49 della Costituzione, quello dedicato ai partiti politici. Con efficace sintesi recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. vale la pena notare che il richiamo costituzionale al “metodo democratico” è fissato in relazione non ai fini ma allo svolgersi dell’azione politica. Cioè, i partiti possono anche preseguire finalità contrarie alla Costituzione. Si pensi ai partiti monarchici o alla stessa Lega che perseguiva l’indipendenza della cosiddetta Padania. La Costituzione cioè si è preoccupata di tutelare non la democraticità dei fini, ma la democraticità del funzionamento interno dei partiti. Tutto questo nella tanto vituperata prima Repubblica ha funzionato anche senza una legge ordinaria sui partiti.

Ora le cose rischiano di andare diversamente. Sotto la spinta delle polemiche anti casta anti politica e anti partiti si è andata via via affermando l’idea di democrazie sbrigative e senza controlli, affidate ora agli iscritti a una piattaforma digitale, ora a elezioni primarie alle quali partecipa chiunque disponga di due euro e dichiari genericamente di condividere l’indirizzo di quel partito. Consentendo così che, senza essere associati a quel partito, di sceglierne il capo. Insomma si sta facendo strada una sorta di democrazia plebiscitaria a partecipazione limitata e controllata attraverso il web nel caso grillino, e, a partecipazione casuale (il popolo dei 2 euro) nel caso delle primarie a uso interno ma con partecipazione esterna. Forse sarebbe il caso di pensare seriamente a una legge che tuteli la democrazia interna dei partiti e quindi i diritti costituzionali degli iscritti. Non ci sarebbe neanche bisogno, visto che si tratta di legge ordinaria, della macchinosa procedura ex articolo 138. Lo stesso varrebbe anche per poter fare una decente legge elettorale. Due cose semplici per la qualità della democrazia. Due buoni propositi di inizio Legislatura che darebbe un senso importante alla sua durata.

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