Elezioni in Sicilia con la Destra favorita e la mafia silenziata da tutti meno uno
Che la destra possa rilanciarsi partendo da un successo elettorale in Sicilia non è una sorpresa e neanche una novità. Non è una sorpresa perchè il vuoto di argomenti di forze politiche che si dichiarano di sinistra (il Pd, ma non solo il Pd) ma che hanno praticato e praticano, soprattutto nel Mezzogiorno, modelli clientelari che sono stati sempre prevalentemente patrimonio della destra, ha aperto ancora una volta un vuoto etico e politico che, naturalmente, i seguaci nell’ isola di Berlusconi, Salvini e Meloni hanno subito occupato. Non è una novità perchè la Sicilia e più in generale il Sud, sono stati sempre il terreno più fertile per le scorribande elettorali dei partiti di Destra. Si comincia per i separatisti siciliani di Finocchiaro Aprile, si passa per il qualunquismo e per il laurismo, si arriva prima ai moti di Reggio Calabria capitanati da Ciccio Franco e, poi, ai successi elettorali almirantiani del 1972 e, poi e infine, al sessantuno a zero in Sicilia agli esordi del berlusconismo.
Queste scorribande elettorali sono sempre state prima contenute e poi battute dai partiti di sinistra del Mezzogiorno. Soprattutto dal Pci, ma non soltanto del Pci. Visto che anche forze della sinistra cattolica e democristiana, e della cultura liberale e democratica, non hanno mai mostrato accondiscendenza verso il volto più becero con il quale le destre si presentavano nelle regioni meridionali. In questo modo la plebe meridionale che aveva sostenuto il separatismo in Sicilia e il laurismo a Napoli è diventata un proletariato cosciente in grado di partecipare nel migliore dei modi alla vita pubblica grazie al Pci. E in questo modo anche i ceti medi non si sono esauriti in quella sottoborghesia ricca e parassitaria tutta dedita alla speculazione edilizia che il regista Franco Rosi ha così ben descritto nel suo bel film “Le mani sulla città” sugli intrecci perversi tra politica e affari. Non a caso Rosi è anche il regista di “Salvatore Giuliano“, quello (a proposito del separatismo siciliano) della strage di Portella della Ginestra.
Eppure le cose nel Mezzogiorno e in Sicilia in questi anni sono cambiate e non in meglio. Sulla “Stampa” di questa mattina, a proposito del voto siciliano, un giornalista che più di altri ha approfondito le commistioni tra mafia e politica, Francesco La Licata scrive un commento dall’eloquente titolo: “se Cosa nostra non interessa più nessuno” concludendo amaramente che forse la politica ha scelto di seguire il vecchio detto popolare per il quale “la meglio parola è quella che non si dice“.
In questo contesto il candidato favorito per fare il presidente della Regione è Nello Musumeci, missino per storia e “galantuomo” a detta dell’opinione pubblica, indicato in primo luogo dal partito della Meloni. Certo le liste che lo sostengono sono, per sua ammissione, piene di “impresentabili“. Ma questa ammissione del candidato “galantuomo” è stata vituperata in pubblico e in privato da Berlusconi, alla cui corte e ai cui comizi continuano ad affollarsi i vari Miccichè, Cuffaro e Lombardo. I “pupari” di sempre.
Naturlamente, in un quadro di astensionismo robusto e diffuso, c’è poi il movimento 5Stelle che con il suo candidato Cancelleri proverà a contendere a Musumeci la vittoria. Ma tanto il movimento di Grillo che il suo candidato preferiscono in campagna elettorale parlare di vitalizi piuttosto che di mafia. E poi c’è il Pd, dato in forte calo dai sondaggi, con una limitatissima partecipazione alla campagna elettorale del suo capo Matteo Renzi impegnato altrove. Prima in giro per l’Italia (Sicilia esclusa) per ascoltare la gente, poi a Chicago per incontrare i big della politica americana, Obama compreso. Il tutto mentre i pochi dirigenti impegnati sull’ isola a sostegno del candidato rettore Micari (sostenuto insieme al partito di Alfano e scelto da Leoluca Orlando), si affannano (che tristezza Fassino) a spiegare che l’unica cosa certa è che il candidato della sinistra non piddina, Claudio Fava non sarà il presidente della Regione.
Eppure nel suo articolo sulla “Stampa” La Licata scrive che l’unico candidato a non aver rimosso dalla campagna elettorale la parola “mafia” è proprio il candidato indicato da Articolo 1, “che il marchio dell’antimafia lo porta sulla pelle“. E non a caso la sua lista si chiama “Centopassi per la Sicilia“. E che quello di Fava e della sinistra che non teme di presentarsi come sinistra, non sarà soltanto un mero esercizio di testimonianza, con buona pace di Fassino e altri, lo indicano per ora i sondaggi. E potrebbero confermarlo con il voto di domenica quegli elettori per i quali la Sicilia e, più in generale il Mezzogiorno, non devono più essere territori di conquista per le destre, nè serbatoi elettorali affidati in gestione a galantuomini dai “pupari” del momento.
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Nella foto di copertina: Claudio Fava, candidato alla Presidenza della Sicilia