Un vero e proprio manifesto per un’altra Italia con un fine preciso: rinnovare il patto tra cittadini e istituzioni nella nostra democrazia parlamentare. Questo credo sia il senso del discorso con il quale Il presidente della Repubblica appena rieletto ha illustrato al suo principale interlocutore (il Parlamento) quello che a suo giudizio dovrà essere il terreno sul quale ricostruire la qualità della politica. Un discorso che per molti versi ha ricordato quelli dei migliori protagonisti della nostra storia repubblicana e della nostra cultura politica: da De Gasperi a Moro per restare nel campo dei cattolici democratici, da La Malfa e Valiani per quanto riguarda l’eredità del partito d’azione, da Nenni ad Amendola per quella di socialisti e comunisti.
Lo ha fatto senza mettere sotto accusa nessuno con il suo stile garbato nei toni i ma fermissimo nei contenuti. E lo ha fatto anche capovolgendo tanti luoghi comuni che hanno accompagnato gli ultimi anni di eclissi della politica. Per esempio, Mattarella ha messo al centro delle cose da fare quello della questione sociale: in un momento nel quale i più zelanti sostenitori non di Draghi, ma di un draghismo a proprio uso e consumo, sembra preoccupato soprattutto di strizzare l’occhio alla “parte buona” della Lega e a quel che resta di un belusconismo a pezzi, ha messo in chiaro che non basta riempirsi la bocca di crescita e di riforme.
Bisogna anche spiegare cosa si intende per esse e quali sono i loro confini. Confini che segnano la dignità di un Paese. E che crescita e riforme degradano se persistono diseguaglianze territoriali e sociali. Di qui la ferma denuncia della precarietà del lavoro. E visto che siamo in tema di giovani anche la ferma denuncia senza se e senza giustificazione la ferma denuncia delle violenze ingiustificate verso gli studenti che manifestano, anche e soprattutto se da parte di uomini in divisa.
“Troppi giovani, ha detto, sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali“. E poi le morti sul lavoro (aggiungerei anche quelle che hanno segnato la cosiddetta scuola-lavoro) che “feriscono la società e la coscienza di ognuno di noi“. Insomma, non basta dire crescita e riforme. Bisogna dire quali e come.
E qui il presidente della Repubblica prova a restituire la palla alla politica che può e deve “rinnovare il patto tra italiani e istituzioni“: Come? Attraverso la centralità del Parlamento e il ruolo dei “corpi intermedi“, cioè i partiti e i sindacati a torto bistrattati talvolta anche da chi si dichiarava di sinistra in questi ultimi anni.
Infine la giustizia e qui il presidente della Repubblica, che guida il Consiglio superiore della magistratura, non esita a denunciare come essa sia diventata “terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della comunità” e chiede interventi adeguati e immediati.
Naturalmente mettere mano agli strumenti della politica tocca al Parlamento, ma Mattarella non si nasconde che la questione della riforma elettorale riguarda “la qualità della politica“. Soprattutto in tempi nei quali il populismo e il sovranisno e con loro le tentazioni antieuropeiste sono alle porte entro e fuori dei confini nazionali.
Certo nel suo breve e denso discorso alle Camere, anzi ai grandi elettori, Mattarella ha disegnato, lui sì, un campo ampio. Le forze politiche (queste forze politiche) sapranno riempirlo? Basterà la richiesta del Pd, magari raccolta da altri, di un dibattito parlamentare sui temi del discorso di Mattarella? Essere ottimisti è difficile. Molto difficile.
C’è chi ai temi dell’altra Italia di Mattarella preferisce da subito avventurose fughe in avanti di chi anche nella maggioranza di governo chiede l’elezione diretta del presidente della Repubblica. E qui invece si dovrebbe tornare alla politica, anzi alla cultura politica. Ma De Gasperi, Moro, La Malfa, Nenni, Amendola sono da tempo alle nostre spalle e presidiare l’altra Italia tocca a Mattarella, Amato e Draghi, magari senza draghismo. Insomma le istituzioni ci sono, i corpi intermedi non ancora.
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Foto in evidenza: Il giuramento di Sergio Mattarella (rielaborazione da Quirinale.it)
L’altra Italia di Mattarella, la questione sociale e la qualità della politica
Un vero e proprio manifesto per un’altra Italia con un fine preciso: rinnovare il patto tra cittadini e istituzioni nella nostra democrazia parlamentare. Questo credo sia il senso del discorso con il quale Il presidente della Repubblica appena rieletto ha illustrato al suo principale interlocutore (il Parlamento) quello che a suo giudizio dovrà essere il terreno sul quale ricostruire la qualità della politica. Un discorso che per molti versi ha ricordato quelli dei migliori protagonisti della nostra storia repubblicana e della nostra cultura politica: da De Gasperi a Moro per restare nel campo dei cattolici democratici, da La Malfa e Valiani per quanto riguarda l’eredità del partito d’azione, da Nenni ad Amendola per quella di socialisti e comunisti.
Lo ha fatto senza mettere sotto accusa nessuno con il suo stile garbato nei toni i ma fermissimo nei contenuti. E lo ha fatto anche capovolgendo tanti luoghi comuni che hanno accompagnato gli ultimi anni di eclissi della politica. Per esempio, Mattarella ha messo al centro delle cose da fare quello della questione sociale: in un momento nel quale i più zelanti sostenitori non di Draghi, ma di un draghismo a proprio uso e consumo, sembra preoccupato soprattutto di strizzare l’occhio alla “parte buona” della Lega e a quel che resta di un belusconismo a pezzi, ha messo in chiaro che non basta riempirsi la bocca di crescita e di riforme.
Bisogna anche spiegare cosa si intende per esse e quali sono i loro confini. Confini che segnano la dignità di un Paese. E che crescita e riforme degradano se persistono diseguaglianze territoriali e sociali. Di qui la ferma denuncia della precarietà del lavoro. E visto che siamo in tema di giovani anche la ferma denuncia senza se e senza giustificazione la ferma denuncia delle violenze ingiustificate verso gli studenti che manifestano, anche e soprattutto se da parte di uomini in divisa.
“Troppi giovani, ha detto, sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali“. E poi le morti sul lavoro (aggiungerei anche quelle che hanno segnato la cosiddetta scuola-lavoro) che “feriscono la società e la coscienza di ognuno di noi“. Insomma, non basta dire crescita e riforme. Bisogna dire quali e come.
E qui il presidente della Repubblica prova a restituire la palla alla politica che può e deve “rinnovare il patto tra italiani e istituzioni“: Come? Attraverso la centralità del Parlamento e il ruolo dei “corpi intermedi“, cioè i partiti e i sindacati a torto bistrattati talvolta anche da chi si dichiarava di sinistra in questi ultimi anni.
Infine la giustizia e qui il presidente della Repubblica, che guida il Consiglio superiore della magistratura, non esita a denunciare come essa sia diventata “terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della comunità” e chiede interventi adeguati e immediati.
Naturalmente mettere mano agli strumenti della politica tocca al Parlamento, ma Mattarella non si nasconde che la questione della riforma elettorale riguarda “la qualità della politica“. Soprattutto in tempi nei quali il populismo e il sovranisno e con loro le tentazioni antieuropeiste sono alle porte entro e fuori dei confini nazionali.
Certo nel suo breve e denso discorso alle Camere, anzi ai grandi elettori, Mattarella ha disegnato, lui sì, un campo ampio. Le forze politiche (queste forze politiche) sapranno riempirlo? Basterà la richiesta del Pd, magari raccolta da altri, di un dibattito parlamentare sui temi del discorso di Mattarella? Essere ottimisti è difficile. Molto difficile.
C’è chi ai temi dell’altra Italia di Mattarella preferisce da subito avventurose fughe in avanti di chi anche nella maggioranza di governo chiede l’elezione diretta del presidente della Repubblica. E qui invece si dovrebbe tornare alla politica, anzi alla cultura politica. Ma De Gasperi, Moro, La Malfa, Nenni, Amendola sono da tempo alle nostre spalle e presidiare l’altra Italia tocca a Mattarella, Amato e Draghi, magari senza draghismo. Insomma le istituzioni ci sono, i corpi intermedi non ancora.
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Foto in evidenza: Il giuramento di Sergio Mattarella (rielaborazione da Quirinale.it)
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Guido Compagna
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