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L’Europa non lasci sola l’Italia

Di rado mi è capitato di condurre conversazioni così diverse sullo stesso tema come in questi giorni. Quando parlo coi miei amici tedeschi delle recenti elezioni europee è come se il poco sole che scalda Berlino di colpo brillasse più forte: si parla di una rinascita del sentimento europeo, del ritorno a una politica fatta di contenuti e di una festa della democrazia.
Poi parlo coi miei amici in Italia e improvvisamente è una notte d’inverno: c’è chi parla di crisi umanitaria, chi dipinge scenari autoritari e chi – per non sapere dove sfogare la sua rabbia impotente – si scaglia in egual misura contro amici e nemici.
A rischio di essere scontato dico: la verità sta da qualche parte nel mezzo. Perché se guardiamo alle europee da una prospettiva – appunto – europea, ci sono sì motivi di preoccupazione. Ma anche valide ragioni per essere ottimisti. Eccone cinque:

1. C’è stata una grande mobilitazione democratica in tutta Europa. Sebbene bassa in Italia, l’affluenza è stata in generale sopra la media in quasi tutti i paesi: un elettore europeo su due è andato a votare. Di questo – dicono vari osservatori – possiamo essere grati proprio a populisti ed euroscettici, che hanno trasformato il voto in un referendum sul futuro dell’Unione.

2. Più di tre quarti dei cittadini europei hanno votato a favore di partiti europeisti. Dopo quasi un decennio di crisi dell’Eurozona e critiche – spesso condivisibili – alle istituzioni europee, il voto si configura come un atto di fiducia.

3. L’onda sovranista si arresta dove la società civile è più forte. In Europa Nord-occidentale (Germania, Austria, Olanda, Danimarca, Finlandia) i partiti della destra populista hanno subito forti perdite. Questo è dovuto a una pluralità di fattori: dall’ “Ibizagate” in Austria allo concorrenza tra formazioni simili in Olanda. C’è però un elemento comune: i sondaggi indicano che in questi paesi il terrorismo psicologico della destra anti-immigrazione e anti-Islam sembra aver esaurito la sua efficacia.

4. Il voto ha premiato prese di posizione forti. Molti partiti di massa tradizionali – sia centristi e conservatori che socialdemocratici – hanno pagato lo scotto del proprio cerchiobottismo. E’ successo a Tories e Laburisti britannici, ai Cristiano-Democratici e ai socialdemocratici tedeschi.

5. Vincono invece le forze che si posizionano in maniera netta contro la deriva nazionalista e populista: i Verdi tedeschi e francesi e i socialisti di Pedro Sanchez in Spagna.

Tutto bene, dunque? Non proprio.

Il voto ha rivelato nuove linee di frattura all’interno dell’Unione. Da un lato si profila un crescente conflitto generazionale: in Germania e in Francia i Verdi possono contare soprattutto sul voto dei giovanissimi – quasi la metà dei tedeschi tra i 18 e i 24 ha votato il Partito ecologista. Partiti centristi come i cristiano-democratici tedeschi e il francese “En Marche” dipendono, invece, in larga misura dal consenso delle fasce più attempate – dai 50 in su. Inoltre si approfondisce la frattura tra micro-regioni – soprattutto tra città e campagne. Questa dinamica è da tempo consolidata in paesi come la Francia e l’Austria, dove a aree urbane progressiste si contrappongono aree rurali più conservatrici e nazionaliste.

La novità: anche in Italia molte città votano a sinistra, mentre le campagne circostanti sono saldamente in mano alla Lega. Una possibile spiegazione: in campagna la retorica anti-immigrazione di Salvini e Co. fa più presa – proprio perché ci sono meno immigrati. Per coloro che vivono in città invece gli immigrati – anche al netto di conflitti culturali e sintomi di disagio – appartengono ormai alla quotidianità. Insomma: è più difficile convincermi che gli immigrati sono tutti ladri, assassini e stupratori quando il mio vicino di casa è marocchino, il mio collega di lavoro è albanese e il barista all’angolo è cinese.

E questo è secondo me l’ammonimento più severo che ci viene da questa elezione. Salvini ha puntato molto sull’idea di un grande fronte sovranista europeo. E questo fronte è di fatto unito da un solo comun denominatore: la lotta all’immigrazione. Per questo la “Lega” non ha nemmeno ritenuto necessario proporre un vero programma per le europee. Il programma si sintetizza infatti in un solo punto: non vogliamo più immigrati. E in Italia il programma sembra funzionare.

Giusto qualche settimana fa la Fondazione Friedrich Ebert (vicina al Partito Socialdemocratico tedesco) ha pubblicato uno studio (https://ec.europa.eu/migrant-integration/librarydoc/still-divided-but-more-open-mapping-european-attitudes-towards-migration-before-and-after-the-migration-crisis) sul sentimento europeo nei confronti del tema immigrazione. Il risultato: in quasi tutti i paesi il “sentiment” è rimasto stabile nell’ultimo decennio. Solo in quattro paesi è peggiorato in maniera sensibile: Italia, Lituania, Austria e Ungheria.

Il caso dell’Ungheria è particolarmente preoccupante: qui circa il 62 per cento della popolazione dice di avere sentimenti negativi nei confronti degli immigrati. L’aspetto più inquietante è che questo trend è cominciato giusto nel 2012, quando il presidente Viktor Orbán ha dato avvio a una serie di riforme – molto controverse – che hanno posto giustizia e media sotto stretto controllo del governo.

L’Italia non è (ancora) l’Ungheria di Orbán. Ed è improbabile che possa diventarlo a breve. Ma l’esempio della deriva radicale subita da questo paese deve fungere da ammonimento. Anche perché non è escluso che in Europa ci sia chi fa il tifo per un “cordone” di Stati autocratici e poco rispettosi dei diritti umani che creino un secondo argine ai movimenti migratori – oltre a quello formato da altri stati autocratici e poco rispettosi dei diritti umani come la Turchia e la Libia.

Per questo – spiego ai miei amici tedeschi – è importante che in questa fase l’Europa non lasci sola l’Italia. Perché se paesi fondatori dell’Unione come l’Italia e la Francia dovessero incamminarsi veramente verso una svolta nazionalista e isolazionista, il segnale di unità uscito da quest’ultima elezione non sarebbe servito a nulla.

Fabio Ghelli è autore e produttore di un podcast su populismo, razzismo e altri mostri. Lo trovate qui: www.m-podcast.it

Foto in evidenza: Berlino, la porta di Brandeburgo

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