Enrico Rossi

Lo schema Rossi_Zeman e il futuro della sinistra

Un’altro termine è in voga in questa fase politica: “lo schema”. C’è chi evoca per la Sicilia, sperando di poterlo replicare a livello nazionale, lo “schema Orlando” con riferimento al sindaco di Palermo e alla sua formula vincente: chi ci sta, dentro. Michele Emiliano ha seriamente meditato di reclamare i diritti d’autore avendo già sperimentato tale formula, con un certo successo, in Puglia nel 2015. Ci sarebbe lo “schema Pisapia” che, mutuando quanto già scritto da Peppino Caldarola, lo si potrebbe definire lo schema del “ma anche”.

Ho già scritto in passato della mia granitica e, a tutt’oggi, incrollabile passione per lo “schema Zeman”, non tanto e non solo per il calcio piacevole e spettacolare che riesce ad esprimere, quanto per la “filosofia”, l’ispirazione sportiva che ne è alla base. Zeman (e Sacchi) hanno sempre predicato che non bisognava adattarsi al gioco degli avversari ma imporre il proprio. Tutto questo pistolotto in premessa è per ribadire che, in politica, io sono ancora graniticamente affezionato allo “schema Rossi”. Del resto è proprio per tale convinzione che ho deciso di aderire ad Art. 1 MDP. La mia incolmabile distanza dal PD, dal suo gruppo dirigente e dalle politiche degli ultimi due governi, potevano semplicemente indurmi a rinunciare alla militanza politica attiva, non essendoci altre forze politiche che mi rappresentassero. Ho seguito, invece, Enrico Rossi perché ritenevo che il suo schema, appunto, se poteva essere valido nel PD, ancor più potesse e dovesse valere in questa nuova formazione politica. Ritenevo, e testardamente voglio ancora sperarlo, che parte dell’ex minoranza avesse compreso che non si costruisce nessuna alternativa, ieri a Renzi, oggi al PD, denunciando le dichiarazioni o le scelte di questo o quell’altro esponente democratico, ma individuando obiettivi e strategie per realizzarli. Questa era la piattaforma di Rossi: cambiare radicalmente il partito con un’idea nuova e necessariamente radicale, visti i tempi, di società. Qualche mese dopo Sanders, qualche anno dopo Corbyn, hanno dimostrato la validità di tale impostazione ma da noi, temo, fa ancora fatica ad affermarsi. Essere alternativi al PD, non significa (credo e spero) considerarlo il nostro nemico o farlo apparire come tale. Ciò sarebbe tatticamente accettabile se il nostro obiettivo fosse quello di rosicchiare quanti più voti possibili ai democratici. Abbiamo piuttosto detto e ripetuto che ci rivolgiamo principalmente a quel vasto elettorato che ha smesso di votare, perché deluso e disilluso, e ai tanti elettori di sinistra ammaliati dal populismo grillino. E leghista, se Monfalcone insegna qualcosa.

 

Nella foto : Zdenek Zeman, allenatore del Pescara

 

Immediatamente dopo la scissione di Livorno (lo so, la prendo un po’ lunga), il Partito Comunista d’Italia, a conduzione bordighiana, si caretterizzò soprattutto per l’assoluto disprezzo nei confronti dei socialisti e della loro scarsa fedeltà all’URSS. Fu l’URSS stessa, come è noto, a decidere di togliersi dalle scatole Bordiga e i suoi, e di affidarsi al duo Gramsci – Togliatti. La nuova leadership individuò nella contrapposizione al nascente regime fascista il terreno d’azione prioritario e, nonostante la successiva clandestinità, su quel terreno crebbe in consensi e radicamento sociale. Con la “svolta di Salerno” del 1943, lo stesso Togliatti accantonò la pregiudiziale antimonarchica e decise che la liberazione dal nazifascismo fosse la priorità politica, ritenendo che in quella fase anche i “badogliani” potessero essere della partita. Il PCI e i suoi uomini furono determinanti nella lotta di liberazione e in virtù di ciò, di tale accresciuta credibilità contribuì, in modo altrettanto determinante, ad introdurre nella nostra Carta Costituzionale valori che ancora oggi sono nostro punto di riferimento e guida. Vale ancora la storia, la nostra storia, per interpretare il presente e delineare le strategie per il futuro? Credo di sì, non fosse altro per il fatto che ce lo ripetiamo quotidianamente e accusiamo qualche altro di approssimazione e superficialità .

Qual’è oggi la priorità politica? Lo “schema Rossi” l’ha, e da tempo, individuata chiaramente: non solo sbarrare la strada ai populismi reazionari e nazionalistici, non solo opporsi alle politiche sociali ed economiche liberiste che hanno provocato disastri a livello planetario inaccettabili, ma indicare un nuovo modello di sviluppo economico, sociale (un nuovo welfare) e culturale che si fondi chiaramente sui valori della dottrina sociale cristiana e del socialismo. Una sfida ambiziosa, ambiziosissima, ma ineludibile. Il riformismo debole dell’ultimo ventennio è stato sonoramente sconfitto dappertutto e, vedi la Germania, è destinato ancora a perdere.
Di coseguenza, se riusciremo a creare un ampio fronte che, ovunque sia necessario, batta le destre e i populisti, non solo (ne sono certo) ne trarremo vantaggio in termini di consensi, ma soprattutto in termini di credibilità e ci permetterà di porre con forza le nostre proposte, far prevalere le nostre opzioni e priorità.

Oggi la sinistra non può permettersi un “salubre bagno all’opposizione”. La situazione interna ed internazionale è drammatica e si propongono soluzioni vecchie a problemi nuovi. Nuovi sia perché geopoliticamente diversi dal recente passato, sia perché provocati da una globalizzazione distorta.
Per fare un solo esempio, la strategia di Minniti è intrisa di realpolitik da guerra fredda, da un mondo diviso in due blocchi. Allora cercare accordi, armare e finanziare le milizie di Haftar poteva avere un senso per continuare a salvaguardare gli interessi economici del nostro Paese in quell’area. Oggi, esultare per aver stoppato l’osannato (da alcuni) Macron e le sue mire in Libia, non può bastare. Perché oggi, a differenza di allora, non c’erano decine di migliaia di esseri umani rinchiusi in lager e ridotti in schiavitù. Siamo certi che la garanzia degli approvvigionamenti energetici e la difesa della vita e della dignità di quelle donne e uomini non possono tenersi insieme?

E’ un fatto che anche autorevoli dirigenti del PD hanno espresso uguale dubbio. Perché non offrirgli una solida sponda che permetta, insieme, di cambiare le politiche di sicurezza, di accoglienza e di integrazione?
Io sono convinto che abbiamo un enorme spazio politico, ma bisogna conquistarlo. Non lo conquisteremo se il nostro orizzonte politico non sarà ambizioso. Questo è per me lo “schema Rossi” e lo ripropongo.

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