Un filo corre all’interno del PSE: è un filo rosso. Divide i blariani fuori tempo massimo, fautori dell’aggiustamento a margine delle logiche di mercato e i “socialisti di ritorno” pentiti della deriva antipopolare assunta dai loro partiti. Divide i convinti della “identity politics” cioè la difesa delle minoranze e di segmenti di popolazione in quanto tali (di sesso, razza, orientamento sessuale) e coloro che vorrebbero un ritorno alla rappresentanza per interessi materiali della società (lavoro, ceto, condizioni di accesso ai servizi ecc.). Un filo rosso che è andato dipanandosi dal 2008 ad oggi con alcuni passaggi fondamentali: la presa d’atto del fallimento del neoliberismo, della globalizzazione finanziaria, della trickle down economics; l’aumento vertiginoso delle diseguaglianze che hanno bloccato la crescita e l’ascensore sociale con pesantissime ricadute in termini di paura del futuro e disperazione di intere generazioni; la diffusione della consapevolezza che la classe media occidentale ha pagato una crisi che un’élite cosmopolita e sovranazionale ha causato e della quale si è avvantaggiata; la rivolta di questa classe media, dei ceti popolati e dei perdenti della globalizzazione contro quelle élites di cui la dirigenza del PSE, e dei partiti nazionali della famiglia del socialismo europeo, è stata parte, complice, connivente. Lo stesso filo rosso corre nel Partito Democratico statunitense, dove si divaricano le strade del clintonismo da salotto e di chi vorrebbe un soggetto radicato, popolare, antagonista alle logiche del capitalismo finanziario.
Quel filo rosso rende coloro che si pongono in antitesi alle politiche neoliberiste portate avanti dallo stato maggiore dei socialdemocratici tradizionali molto più simile a coloro che stanno fuori da quella famiglia: non si può tornare indietro rispetto alla feroce globalizzazione senza ripensare il ruolo dello Stato almeno come protettore di società e patto sociale oltre che di regolatore dei rapporti economici, non si possono combattere le diseguaglianze senza una proposta di redistribuzione di reddito e ricchezza di primaria entità, non si può pensare di modificare le logiche del profitto capitalistico senza avere un piano di riconversione ecologica e arresto del riscaldamento globale, non si può ottenere l’universalità dell’istruzione, della sanità e del welfare senza affermare un modello di società antitetico a quello di inorganizzabili atomi che si è costruito negli ultimi 30 anni.
In un momento storico nel quale il centrosinistra non può più esistere perché non c’è più il centro, perché gli animi sono esasperati e la rivolta della classe media sta diventando reazione, abbiamo già pagato caro il divorzio fra sinistra radicale e sinistra riformista. Abbiamo già pagato con l’irrilevanza la confusione contenutistica unita all’intransigenza delle pratiche dei radicali e abbiamo già pagato con la perdita di credibilità di fronte alla maggioranza delle persone in difficioltà il lassismo ideologico che tende a giustificare e approvare tutto dei riformisti. Kairos era la parola greca che significava “momento opportuno“, momento supremo: quello spazio di tempo la cui occasione si coglie o non si può cogliere più. Lisippo lo raffigurava come statua che recava un epigramma nel quale a Kairos si chiedeva “E perché hai dei capelli davanti al viso? Per colui che mi incontra per prendermi per il ciuffo” e dietro ha il capo pelato perché una volta passato non si possa più afferrare. Prendere il ciuffo oggi significa creare un fronte che abbia pratiche riformiste, vocazione popolare e contenuti radicali, anti sistema. Ma chiusa questa finestra alto è il rischio di ricadere nell’antica divisione o, peggio, di finire a proporre contenuti riformisti con pratiche protestatarie fini a se stesse.
Quel filo rosso deve diventare faglia, speculare a quella che si è determinata fra l’alto e il basso della società, per liberare energie che stiano dalla parte opposta rispetto a quella delle oligarchie economico finanziarie e dei loro esecutori politici ma che vi porti il patrimonio di maturità e organizzazione che solo le grandi tradizioni consegnano ai loro interpreti. “la sinistra” del PSE è pietra d’inciampo del sistema iniquo e feroce contro cui oggi i cittadini si rivoltano trovando risposta alle proprie domande solo nella destra estrema. Da pietra d’inciampo può diventare argine: a entrambe le destre, quella neoliberista che ha pervaso anche il PSE e quella xenofoba.
In Italia l’opportunità è duplice: non solo si è determinata la sconfitta della stagione di riforme regressive sul piano dei diritti sociali e dell’assetto istituzionale ad opera di milioni di cittadini che hanno difeso la Costituzione nata dalla resistenza (e non, come nel mondo anglosassone, dall’elezione di Trump o dall’uscita dall’Unione Europea), ma si è riconfigurato un sistema politico basato sul proporzionale. Questo consente dopo anni di illusione maggioritaria e forzato bipolarismo mai attuatosi, di ricostruire un’opzione politica sulla rappresentanza di interessi, sulla difesa dei diritti, sull’avanzamento delle condizioni di vita delle persone, invertendo il pericoloso ricatto del “meno peggio” che ha consegnato gli Stati Uniti ad un miliardario razzista, misogino e difensore della finanza sregolata e che rischia di consegnare la Francia ad altrettante sorti reazionarie. Il ricatto del meno peggio, la narrazione dell’argine ai populismi, il continuo gridare allo scandalo del politicamente scorretto allontanano sistematicamente gli elettori, aumentano l’astensione, creano coalizioni di proposte contraddittorie e inconciliabili che annullano la credibilità di chi ne fa parte. Ma il 4 Dicembre ha determinato il Kairos: si può tornare, con i comitati referendari, con i corpi intermedi, con una proposta e una strategia rinnovate, a costruire un legame con una parte di società. Si può superare la divisione fra riformisti e radicali, lo stesso superamento che si deve determinare in Europa fra Hamon e Mélenchon, fra Corbyn e l’SNP, fra Podemos e l’ala sinistra del PSOE, in nome di una prospettiva eco-socialista, in nome del laburismo del XXI secolo, in nome della prospettiva rosso-verde di ripensamento del sistema e riorganizzazione del conflitto sociale per opporre quello vigente.
Ogni altra via è fallimentare: ha potuto governare Tzipras perché il Pasok si era pasokizzato. Podemos sembra assestarsi mentre lo stato maggiore del PSOE si suicida nel sostegno a Rajoy, Corbyn senza Scozia difficilmente potrà portare il Labour al governo e il disgraziato Hamon non potrà in poche settimane di campagna elettorale far dimenticare al popolo francese di venire da un partito che ha governato contro i lavoratori fino all’ultimo giorno del suo esercizio.
Kairos: oggi c’è e domani non ci sarà più l’occasione di mettersi a servizio di un progetto più ampio, di rinnovata credibilità verso l’opinione pubblica e di più ambiziosa proposta politica. Un progetto con radici antiche, valori incrollabili ma rinnovato nella base e nelle modalità di crescita. Un progetto che non si arreda a vivere in quello che è stato definito “capitalism without working class opposition” ma che quell’opposizione la sappia ricostruire, come pietra d’inciampo di un sistema che ha mostrato tutti i suoi limiti. La sinistra socialista, coraggiosa ma utile che da troppo tempo l’Italia e l’Europa non hanno più.
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Nella foto di copertina: Benoît Hamon vince le primarie socialiste francesi.